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Art. 76 - Altre sanzioni penali

1. La persona che, avendo ottenuto l’autorizzazione di cui all’articolo 12, non rientri nel termine stabilito nel comune di soggiorno obbligato, o non osservi le prescrizioni fissate per il viaggio, ovvero si allontani dal comune ove ha chiesto di recarsi, è punita con la reclusione da due a cinque anni; è consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza.

2. Chiunque violi il divieto di cui all’articolo 3, commi 4 e 5, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. Gli strumenti, gli apparati, i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati sono confiscati ed assegnati alle Forze di polizia, se ne fanno richiesta, per essere impiegati nei compiti di istituto.

3. Il contravventore alle disposizioni di cui all’articolo 2, è punito con l’arresto da uno a sei mesi. Nella sentenza di condanna viene disposto che, scontata la pena, il contravventore sia tradotto al luogo del rimpatrio.

4. Chi non ottempera, nel termine fissato dal tribunale, all’ordine di deposito della cauzione di cui all’articolo 31, ovvero omette di offrire le garanzie sostitutive di cui al comma 3 della medesima disposizione, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni.

5. La persona a cui è stata applicata l’amministrazione giudiziaria dei beni personali, la quale con qualsiasi mezzo, anche simulato, elude o tenta di eludere l’esecuzione del provvedimento è punita con la reclusione da tre a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque anche fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta la persona indicata a sottrarsi all’esecuzione del provvedimento. Per il reato di cui al comma precedente si procede in ogni caso con giudizio direttissimo.

6. Chi omette di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 34–bis nei confronti dell’amministratore giudiziario è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Alla condanna consegue la confisca dei beni acquistati e dei pagamenti ricevuti per i quali è stata omessa la comunicazione. (1)

7. Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell’articolo 80 è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.329 a euro 20.658. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati. Nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati ovvero del corrispettivo dei beni alienati, il giudice ordina la confisca, per un valore equivalente, di somme di denaro, beni o altre utilità dei quali i soggetti di cui all’articolo 80, comma 1, hanno la disponibilità.

8. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il contravventore al divieto di cui all’articolo 67, comma 7 è punito con la reclusione da uno a sei anni. La stessa pena si applica al candidato che, avendo diretta conoscenza della condizione di sottoposto in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede al medesimo di svolgere le attività di propaganda elettorale previste all’articolo 67, comma 7 e se ne avvale concretamente. L’esistenza del fatto deve risultare anche da prove diverse dalle dichiarazioni del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione. (2)

9. La condanna alla pena della reclusione, anche se conseguente all’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dal comma 8, comporta l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. A tal fine la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza trasmette copia dell’estratto esecutivo, chiusa in piego sigillato, all’organo o all’ente di appartenenza per l’adozione degli atti di competenza. Nel caso in cui il condannato sia un membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio regolamento. Dall’interdizione dai pubblici uffici consegue l’ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell’interdizione dai pubblici uffici.

(1) Comma così sostituito dall’ art. 24, comma 1, L. 161/2017.

(2) Comma così modificato dall’ art. 24, comma 2, L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

Inottemperanza alle disposizioni del foglio di via

L’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio si caratterizza per la duplice intimazione di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel comune, oggetto dell’ordine di allontanamento, con la conseguenza che la mancanza di una delle due prescrizioni determina l’illegittimità del provvedimento, rilevabile dal giudice penale al fine di disapplicarlo per difformità dalla fattispecie tipica, con la conseguente insussistenza del reato di cui all’art. 76, comma 3 (fattispecie nella quale il foglio di via obbligatorio emesso nei confronti dell’imputato conteneva soltanto l’ordine di allontanamento dal comune oggetto del provvedimento ma non anche quello di fare ritorno nel luogo di residenza. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al reato di cui all’art. 76 comma 3  perché il fatto non sussiste) (Sez. 2, 8250/2022).

È principio di diritto quello secondo cui, in tema di misure di prevenzione (foglio di via obbligatorio), ex art. 2, , la relativa fattispecie legale preveda la necessaria compresenza dell’ intimazione di non fare ritorno nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento e quella di fare rientro nel Comune di residenza; di conseguenza la violazione di anche solo una delle imposizioni integra l’elemento oggettivo positivo del reato di cui all’art. 76, comma 3 del medesimo decreto (Sez. 1, 33108/2019).

La condotta sanzionata dall’art. 76, comma 3, consiste nella contravvenzione alle disposizioni di cui all’art. 2 dello stesso decreto legislativo, che prevede testualmente che “qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate”. Dalla lettura di detta norma emerge che la legittima emissione del provvedimento da parte del Questore postula la sussistenza di due condizioni, costituite, da un lato, dal giudizio di pericolosità che deve essere formulato nei confronti della persona appartenente a una delle categorie indicate nel precedente art. 1, e, dall’altro, dal dato di fatto che la persona si trovi fuori del luogo di residenza. In modo analogo il contenuto del provvedimento, che rende l’atto amministrativo conforme alla fattispecie tipica descritta dalla legge, deve prevedere, quale presupposto necessario del divieto di rientro della persona nel comune dal quale viene allontanata, l’ordine di fare ritorno nel luogo di residenza con foglio di via obbligatorio. Quanto al primo profilo, si è osservato che è legittima da parte del giudice penale la disapplicazione del provvedimento amministrativo motivato quanto al profilo della pericolosità sociale soltanto sulla base di illazioni, congetture o meri sospetti o sull’astratta probabilità della commissione dei delitti, poiché l’ordine, alla cui violazione consegue l’illecito penale, deve essere fondato su indizi da cui desumere che il soggetto destinatario rientri in una delle categorie previste dall’art. L. 1423/1956. Quanto al profilo della necessaria coesistenza nel foglio di via obbligatorio disciplinato dall’art. 2 dell’ordine di fare rientro nel luogo di residenza e del divieto di ritornare nel luogo dal quale la persona è allontanata, ad un primo orientamento secondo cui l’illegittimità del provvedimento del Questore che si limiti a imporre il solo divieto di ritorno nel comune di allontanamento (ovvero, alternativamente, il solo rimpatrio nel comune di residenza, senza il divieto de quo), non può essere rilevata dal giudice ordinario al fine di disapplicare il provvedimento amministrativo, non comportando una lesione di diritti soggettivi facenti capo al destinatario del provvedimento, è seguito un secondo orientamento in modo del tutto condivisibile supera il precedente sulla scorta di una lettura sistematica (Sez. 1, 4074/2019). Si osserva, invero, premesse l’imprescindibilità e l’inscindibilità delle prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio, che la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro) rende l’atto amministrativo difforme dalla fattispecie tipica e carente di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 2, la cui mancanza è idonea a produrre la nullità (di natura strutturale) dell’atto prevista dall’art. 21–septies L. 241/1990 sul procedimento amministrativo. Si evidenzia, che la giurisprudenza di legittimità, con specifico riferimento al provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, ha affermato il potere–dovere del giudice penale di verificare e sindacare la conformità alla legge dell’atto amministrativo sotto il profilo dell’insussistenza di vizi che ne determinino l’annullabilità che deve essere accertata alla luce dei parametri tradizionali dell’incompetenza, della violazione di legge e dell’eccesso di potere, con la precisazione, per quanto riguarda quest’ultimo, che esso è suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario non solo nella classica configurazione dello sviamento di potere, ma anche nelle varie figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza amministrativa. Si rileva che non vi è, pertanto, ragione di limitare o circoscrivere l’ambito e la portata della sindacabilità, quando esso investa addirittura l’accertamento della presenza degli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, la cui mancanza sia idonea a comportare la più grave sanzione della nullità. Si osserva che entrambe le intimazioni sopra menzionate devono concorrere a integrare, sul piano oggettivo, la fattispecie legale tipica del provvedimento, la cui corretta formazione ed esistenza costituisce il presupposto del reato derivante dall’inosservanza di una delle sue prescrizioni; con la conseguenza che la mancanza dell’una o dell’altra prescrizione, facendo venir meno la validità e dunque la legittimità dell’atto, fa venir meno lo stesso presupposto logico–giuridico della condotta incriminata, costituita dalla violazione della disposizione di un provvedimento validamente e legittimamente formato (Sez. 1, 36654/2019).

 

Inottemperanza all’ordine di deposito della cauzione

La norma incriminatrice di cui all'art. 76 comma 4, finalizzata a garantire il rispetto degli obblighi imposti alla persona sottoposta a misura di prevenzione personale, è soggetta alle regole ordinarie in tema di colpevolezza in materia penale. Delineando la responsabilità in ordine a tale condotta omissiva, la norma incriminatrice pretende, per la punizione, l'esigibilità della condotta che si sarebbe dovuta legalmente tenere. Può dunque configurarsi il reato in parola soltanto se l'imputato sia in condizioni di adempiere, con la conseguenza che la materiale impossibilità di provvedere al versamento della cauzione, causata da insufficienza di mezzi economici, comporta l'esenzione da responsabilità (Sez. 1, 13950/2021).

Il certificato dei redditi ISEE, in quanto autodichiarazione dell’interessato e non frutto di alcun reale accertamento delle sue effettive condizioni reddituali, non è in grado di giustificare il mancato deposito della cauzione ex art. 31 (Sez. 7, 58089/2018).

L’impossibilità economica di far fronte all’obbligo della cauzione, imposta in sede di applicazione della misura di prevenzione personale, è deducibile anche nel giudizio penale, ai fini della responsabilità per il reato costituito dall’inosservanza di tale obbligo, ed incombe al giudice il dovere di accertare la reale condizione economica dell’imputato nel momento in cui si è verificata l’inottemperanza, gravando su quest’ultimo soltanto un onere di allegazione dei fatti che hanno impedito il pagamento (Sez. 5, 38310/2016).

Il reato di omesso versamento della cauzione (entro il termine stabilito dal giudice della prevenzione) risulta attualmente previsto dall’art. 76, comma 4, in termini del tutto corrispondenti alla previgente disposizione incriminatrice (art. 3–bis, comma 4, L. 575/1965). Resta punibile la condotta di inottemperanza, anche colposa, così come restano attuali le considerazioni operate dalla Corte costituzionale nella decisione 218/1998In tale pronunzia, si è affermato – in modo significativo – che la materiale impossibilità di provvedere al versamento della cauzione, causata dalla mancanza di disponibilità economiche, evidentemente non preordinata o colposamente determinata, comporta l’esenzione da responsabilità per assenza di “colpevolezza” (intesa quale rimproverabilità concreta dell’agente). Su detta scia si è attestata la successiva giurisprudenza di legittimità, tesa a riconoscere il rilievo della “impossidenza” a fini di esclusione della penale responsabilità, sempre che l’imputato assolva in concreto un “onere di allegazione” di circostanze idonee a rappresentare la condizione de quaSi è evidenziato, in alcune di dette decisioni, che a fronte di tale allegazione concreta il giudice investito della decisione sulla responsabilità ha il potere/dovere di accertare – anche servendosi delle verifiche operate in sede applicativa della misura di prevenzione – la reale condizione economica del soggetto tratto a giudizio nel momento in cui si è verificata l’inottemperanza (Sez. 1, 49578/2016).

Il reato di inottemperanza all’ordine di versamento si perfeziona al momento della scadenza del termine fissato giudizialmente (Sez. 6, 39957/2012).

 

Omissione delle variazioni patrimoniali indicate nell’art. 80

La delibazione circa la sussistenza del fumus del reato ex art. 76, comma 7, non può limitarsi alla mera verifica dell’omissione della comunicazione richiesta da detta norma, ma deve estendersi alla delibazione della sussistenza dell’elemento soggettivo tipico – nella specie il dolo omissivo – con esclusione di quelle componenti, come l’impossibilità materiale di adempiere all’obbligo o anche il carattere colposo dell’omissione, che si riflettono sulla struttura stessa del reato, negandola. Invero, ove si accertasse – sia pure a livello di mera delibazione – che l’interessato abbia omesso colposamente di adempiere l’obbligo di comunicazione, il reato non potrebbe ritenersi nemmeno astrattamente configurato, non essendo previsto in forma colposa (Sez. 1, 51404/2018).

Il ricorrente interpreta restrittivamente la norma che prescrive l’obbligo di comunicazione (art. 30 L. 646/1982) come se riguardasse esclusivamente gli incrementi patrimoniali: al contrario, l’obbligo è più ampio e concerne tutte le variazioni del patrimonio, non solo quanto alla sua entità, ma anche quanto alla sua composizione. In sostanza non è evento affatto irrilevante, ai fini dell’obbligo di comunicazione, che il patrimonio del soggetto obbligato sia composto di denaro contante o di quote di fondi obbligazionari (Sez. 2, 4667/2011), così come non sono irrilevanti diminuzioni del patrimonio in misura superiore alla soglia di legge. L’interpretazione che qui si adotta è imposta dal tenore letterale della norma ed è coerente con la natura di reato di pericolo presunto del delitto di cui all’art. 31 e con la funzione preventiva dell’istituto, diretto a permettere una verifica sistematica ed analitica a cura della Guardia di Finanza di tutte le variazioni che intervengano nella composizione del patrimonio del soggetto condannato (Sez. 1, 7215/2018).

Quesito posto alle Sezioni unite: se l’obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali di cui all’art. 80 possa ritenersi configurabile, con rilevanza penale della sua violazione, in ipotesi di soggetto destinatario di misura di prevenzione personale per pericolosità cosiddetta semplice (ai sensi dell’art. 1 L. 1423/1956) divenuta definitiva in epoca antecedente alla riformulazione dell’art. 30 L. 246/1982, adottata con L. 136/2010 (Sez. 1, 51652/2018).

Soluzione adottata dalla Sezioni unite: l’art. 80, relativo all’obbligo, per i soggetti già sottoposti a misura di prevenzione personale ex lege 1423/1956, di comunicare le variazioni del proprio patrimonio, la cui omissione è penalmente sanzionata dall’art. 76, comma 7, si applica anche quando il provvedimento che ha disposto la misura è divenuto definitivo in data anteriore all’introduzione di tale obbligo (SU, 16896/2019).