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Art. 94 - Effetti delle informazioni del prefetto

1. Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque

consentire le concessioni e le erogazioni. (1)

2. Qualora il prefetto non rilasci l’informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all’articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell’articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91 comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. (1)

3. I soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi.

4. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano anche nel caso in cui emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione.

(1) Comma così modificato dall’ art. 8, comma 1, lett. a), D. LGS. 218/2012.

Rassegna di giurisprudenza

La controversia risarcitoria relativa a pretesi danni derivati dalla reiezione di istanze di revoca, per circostanze sopravvenute, di un provvedimento di sospensione della concessione provvisoria nel settore dell’intrattenimento e del gioco legale, adottato a seguito di nota informativa sul tentativo di infiltrazione mafiosa, spetta alla cognizione del GA, atteso che il pregiudizio di cui si invoca il ristoro è riconducibile, non già ad una asserita inerzia del Prefetto nell’aggiornamento dei dati presupposti, privi di autonoma rilevanza, bensì ad un provvedimento amministrativo, di natura interdittiva e dotato di margini di discrezionalità, rispetto al quale anche la sua mancata revoca costituisce espressione di una decisione autoritativa, implicando uno speculare esercizio di potestà amministrativa, insindacabile dal giudice ordinario (SU civili, 23301/2016).

Ai sensi dell’art. 37, commi 18 e 19, del Codice dei contratti, quando una misura interdittiva antimafia colpisce un’impresa mandante o mandataria di un RTI, è consentito all’Amministrazione di proseguire il rapporto di appalto con l’impresa superstite (naturalmente, alle condizioni del possesso dei necessari requisiti di qualificazione richiesti dal bando).

Dette disposizioni confermano la ratio, già insita nell’art. 12, DPR 252/1998, di contemperare il prosieguo dell’iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze afferenti alla sicurezza e all’ordine pubblico connesse alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso, ogni volta che, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini volontariamente l’allontanamento e la sterilizzazione delle imprese in pericolo di condizionamento mafioso.

Sembra corretto desumere da dette ultime disposizioni l’esclusione di qualsiasi “automatica” considerazione della sussistenza di rischi di infiltrazione mafiosa in capo ad una impresa per il solo fatto che si fosse associata ad altra impresa ritenuta controindicata; e ritenere, conseguentemente, che la “vicinanza” tra una impresa controindicata ed una impresa oggetto di valutazione nel procedimento volto alla definizione di un provvedimento interdittivo vada apprezzata caso per caso, in relazione alle concrete vicende collaborative tra le due imprese, che vanno adeguatamente approfondite allo scopo di accertare la sussistenza di fattori oggettivi di condizionamento, non della impresa controindicata rispetto a quella in valutazione, ma da parte delle medesime organizzazioni criminali che hanno compromesso la posizione della prima (Cons. Stato, Sez. 3, 923/2016).

Nello specifico settore ambientale, l’art. 191 D. Lgs. 152/2006 – che disciplina le ordinanze contingibili e urgenti in tale ambito – stabilisce, al comma 1, che “qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell’ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili e urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente (.....) ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi”.

Al comma 4, lo stesso art. 191 dispone che “Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini”.

Va ancora rilevato che l’art. 94 del codice antimafia stabilisce che, in caso di comunicazione della definitività di tale informazione, l’ente pubblico è tenuto alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni o al recesso dai contratti stipulati con il soggetto attinto dall’informazione stessa, salvo che non ricorrano le condizioni di cui al comma 3, cioè “nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”.

Non può non essere rilevato l’inevitabile intersecarsi delle due disposizioni di cui ai citati 191, comma 1, e 94, comma 3, nel caso in cui il precedente concessionario del servizio pubblico sia attinto da un’informazione antimafia e debba pertanto essere revocato.

In relazione a detta ipotesi, v’è invero da chiedersi se la “non sostituibilità in tempi rapidi” – che appunto legittima la prosecuzione del rapporto col soggetto attinto dall’informativa – si riferisca alla possibilità di procedervi avviando le procedure per la scelta del contraente previste dal Codice per i contratti pubblici – ordinarie o per il caso d’urgenza ex art. 63 stesso Codice – ovvero se includa anche l’affidamento diretto mediante l’adozione di un’ordinanza ex artt. 50, comma 5, D, Lgs. 267/2000 e 191 D. Lgs. 152/2006, che appunto postula una situazione eccezionale d’urgenza di intervenire in materia.

Orbene, per un verso, occorre considerare che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, la facoltà di revoca o di recesso dal contratto di appalto della Pubblica Amministrazione – nell’ipotesi in cui gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto (prevista dall’art. 11, comma 3, DPR 152/1998) – rappresenta una specificazione della fattispecie più generale della sopravvenienza in corso di rapporto di elementi incompatibili con il prosieguo della sua esecuzione; incompatibilità sulla quale la legge non attribuisce alcun sindacato all’Amministrazione appaltante, stante il divieto di stipulare o approvare i contratti e i subcontratti previsto dall’art. 10 comma 2 allorché, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate (Cons. Stato, Sez. 5, 5247/2005).

Il supremo giudice amministrativo ha quindi rilevato che – sebbene l’art. 11, commi 2 e 3, DPR 252/1998 (Procedimento per la certificazione antimafia), l’art. 4, comma 6, D. Lgs. 490/1994 (Disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia) e quindi del già citato 94, riconoscano alla stazione appaltante una qualche facoltà di non revocare l’appalto nonostante il collegamento dell’impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato – “trattasi di ipotesi che, data l’evidente ratio di pieno sfavore legislativo alle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici, è, all’evidenza, remota e residuale, e dunque consentita al solo fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza in relazione a circostanze particolari, quali il tempo dell’esecuzione del contratto o la sua natura, o la difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata” (Cons. Stato, Sez. 6, 197/2012).

In applicazione di tale principio di diritto, il Consiglio di Stato ha dunque affermato che la scelta di proseguire nel rapporto contrattuale, adottata dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 94, comma 3, per eccezionali e tassative ragioni, richiede circostanziata motivazione, a differenza della diversa decisione, da parte della medesima stazione appaltante, di revocare l’aggiudicazione o di recedere dal contratto, decisione che si fondi proprio sull’informativa antimafia, senza bisogno di ulteriore motivazione (Cons. Stato, Sez. 3, 6195/2017) e, ancora, che, in caso di informativa antimafia, il recesso costituisce un atto necessitato, per la stazione appaltante, salvo che questa non decida, in base ad un prudente e motivato apprezzamento discrezionale, di esercitare l’eccezionale potere conferitole dall’art. 94, comma 3, (Cons. Stato, Sez. 3, 6045/2017).

In altri termini, in presenza dell’informativa antimafia prefettizia attestante la mafiosità dell’impresa ovvero il collegamento della stessa con organizzazioni malavitose (informativa non sindacabile da parte dell’Amministrazione), la stazione appaltante è tenuta a sciogliere il contratto di fornitura del servizio da parte dell’impresa sospettata, salvo che non sussista un interesse pubblico così pregnante da legittimare la completa esecuzione del contratto ovvero la prosecuzione dell’attività, di cui nondimeno la Stazione appaltante deve dare puntuale e motivato riscontro.

Per altro verso, va considerato come l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente da parte del Sindaco ai sensi dell’art. 191 D. Lgs. 152/2006 – proprio perché “eccezionale”, là dove consente di bypassare le regulae iuris in materia di scelta del contraente fissate nel Codice dei contratti pubblici – possa ritenersi legittima a condizione che sia emanata per affrontare situazioni temporanee di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente e sia congruamente motivata in tale senso.

In questo senso è la costante lezione ermeneutica di legittimità, secondo cui – ribadendo la giurisprudenza consolidatasi con riferimento alla precedente, ma identica, disciplina in materia – l’ordinanza contingibile e urgente che il Sindaco può emanare in materia di smaltimento dei rifiuti (ai sensi dell’art. 13 D. Lgs. 22/1997, ora prevista dal citato dell’art. 191), ha come presupposti: a) una necessità eccezionale ed urgente di tutelare la salute pubblica o l’ambiente, b) la limitazione nel tempo, c) l’inevitabilità del ricorso a forme di gestione straordinaria; mentre ha come requisito di legittimità formale una motivazione adeguata, che renda conto dei presupposti concreti dell’ordinanza stessa; a fronte di tale ordinanza, il giudice penale deve verificare se ricorrono i presupposti che legittimano l’esercizio concreto della potestà sindacale e se sussiste il requisito di legittimità di una motivazione adeguata.

Tirando le fila delle considerazioni che precedono, si ritiene che, in presenza di due fronti normativi entrambi connotati dall’eccezionalità dei presupposti e fra loro antinomici, ma tenuta attentamente in considerazione la ratio sottostante all’impianto complessivo della normativa antimafia, non possa ritenersi illegittima l’ordinanza sindacale emessa ai sensi dell’art. 191 D. Lgs. 152/2006 nel caso in cui l’impresa concessionaria del servizio di raccolta dei rifiuti urbani sia stata attinta da informativa antimafia definitiva.

Ed invero, per quanto già chiarito, la possibilità di far proseguire ex art. 94, comma 3, la fornitura del servizio ritenuto essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico (quale certamente è quello di raccolta dei rifiuti urbani) deve essere riservata a casi remoti e residuali, dunque, al solo fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza in relazione a circostanze particolari, quali il tempo dell’esecuzione del contratto o la sua natura, o la difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata.

È dunque rimessa all’apprezzamento discrezionale della situazione concreta da parte dell’Amministrazione la valutazione in ordine alla “sostituibilità in tempi rapidi” del contraente avviando le procedure ordinarie previste dal Codice degli appalti pubblici, eventualmente nella forma negoziata senza pubblicazione ex art. 63, comma 2 lett. c), ovvero attivando il potere eccezionale di emissione dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente di affidamento diretto del contratto.

Opzione, quest’ultima, che non è censurabile dall’AG allorché il provvedimento rechi una motivazione adeguata circa la ricorrenza dei presupposti, eccezionali, legittimanti l’esercizio concreto della potestà sindacale in luogo dell’attivazione delle procedure previste dal Codice dei contratti pubblici (Sez. 6, 24898/1019).