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Art. 599-bis - Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello

1. La corte provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo.
2. Sono esclusi dall’applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

3. Il giudice, se ritiene di non poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento.

4. Fermo restando quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 53, il procuratore generale presso la corte di appello, sentiti i magistrati dell’ufficio e i procuratori della Repubblica del distretto, indica i criteri idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pubblico ministero nell’udienza, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessità dei procedimenti.

Rassegna giurisprudenziale

Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello (art. 599-bis)

In tema di patteggiamento, principio estensibile al concordato in appello, la sospensione condizionale della pena può essere concessa non solo ove la stessa costituisca parte integrante dell’accordo, ma anche ove la relativa questione sia devoluta esplicitamente e specificatamente, da entrambe le parti, al potere discrezionale del giudice (Fattispecie nella quale la corte di appello aveva rideterminato la pena irrogata all’imputato, ritenendo che il concordato sulla pena raggiunto tra le parti determinasse la rinuncia agli ulteriori motivi di impugnazione, nonostante la difesa avesse invocato espressamente il beneficio della sospensione condizionale “se concedibile” . La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di sospensione condizionale della pena, con rinvio alla corte di appello competente per nuovo giudizio sul punto) (Sez. 2, 12475/2022).

In applicazione del principio tempus regit actum, deve considerarsi improduttivo di effetti l’assenso manifestato dal PG alla proposta di concordato prima che entrasse in vigore la norma che lo consentiva (Sez. 4, 20112/2018).

È illegittima la decisione del giudice di appello che si limiti ad applicare la pena nella misura concordata, senza statuire sulla richiesta del beneficio della sospensione condizionale della pena cui sia subordinato l'accordo delle parti, poiché il beneficio si pone come elemento determinante nel processo di formazione della volontà negoziale della parte, rappresentando, quindi, una componente costitutiva della piattaforma negoziale, sulla quale si è perfezionato il suddetto accordo e non è consentito al giudice di appello frazionare quella base negoziale, dovendo, invece, recepirla per intero ovvero disattenderla, procedendo, in tal caso, con le forme ordinarie, senza dare luogo al concordato (Sez. 4, 35946/2020).

In tema di concordato con rinuncia ai motivi in appello, è nulla, ai sensi degli artt. 178, lett. b) e c) e 180, la sentenza pronunciata immediatamente dopo il rigetto dell'accordo proposto dalle parti, senza che il giudice abbia disposto la prosecuzione del dibattimento, come previsto dall'art. 602 comma 1- bis,  atteso che, in tal modo, risulta impedita alle parti la discussione e la formulazione delle conclusioni nel merito (Sez. 4, 28311/2020).

L’art. 599-bis, introdotto dalla L. 103/2017, prevede che la Corte di appello provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il PM, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo. L’accordo comporta la rinuncia a qualsivoglia, differente motivo di gravame (Sez. 7, 45688/2018).

A seguito della reintroduzione del cd. patteggiamento in appello, di cui al nuovo art. 599-bis, ad opera della L. 103/2017, rivive il principio – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599, comma 4, e successivamente abrogato dal DL 92/2008 – secondo cui il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’art. 129, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato art. 599; determinando, invero, la rinuncia ai motivi una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto deve ormai ritenersi non gli sia devoluto (in punto di affermazione di responsabilità ed altro), con effetti sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 2, 44295/2018).

Prestando il proprio consenso all’applicazione nella misura concordata, l’imputato rinuncia a dedurre ogni altra questione di merito, ivi comprese quelle relative al trattamento sanzionatorio, fatta salva l’ipotesi di pena illegale (Sez. 2, 35669/2018).

Nel c.d. patteggiamento della pena in appello le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato – salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata – da chi lo ha promosso/ o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione (SU, 5466/2004).

Va sottolineata l’assenza di simmetria tra la limitazione dei motivi di ricorso avverso la sentenza di patteggiamento e la mancata previsione di simili od analoghe limitazioni ai motivi proponibili avverso la sentenza di cui all’art. 599-bis, poiché il ricorso avverso la sentenza del concordato in appello, ex artt. 599-bis e 602, non è circondato da analoghi limiti rispetto al patteggiamento; difatti la modifica legislativa introdotta con la L. 103/2017 non ha previsto per il concordato in appello alcuna ipotesi di censure ricorribili per cassazione stabilendo per esso soltanto la declaratoria di inammissibilità de plano. Deve pertanto ritenersi che le uniche doglianze proponibili siano quelle relative alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del PG sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice di appello mentre alcuno spazio può essere ammesso per doglianze attinenti motivi rinunciati (Sez. 2, 35479/2018).

Considerato che ai sensi dell’art. 599-bis la rinuncia ai motivi di merito con concordato sulla pena, per l’effetto devolutivo dell’appello, limita la cognizione del giudice di appello ai motivi non rinunciati, è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte, dall’art. 599-bis, non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 4, 53565/2017).

La disciplina di cui al comma 3 dell’art. 599-bis non vieta che la motivazione del rigetto, da parte del giudice di appello, dell’accordo sulla pena concordato fra le parti sia ricavabile dalla stessa sentenza di merito che definisce il giudizio. Ciò si ricava dal tenore della norma citata, che si limita a prevedere che il giudice «se ritiene di non poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento», in ciò evidenziando la natura interlocutoria del provvedimento, non occorrente di una motivazione dettagliata e specifica sulle ragioni del non accoglimento dell’accordo, che saranno comunque esplicitate in sentenza. Ma anche ammessa la necessità di una motivazione, non si può certo dire che il rigetto dell’accordo costituisca ineliminabile presupposto giuridico della sentenza. In altri termini, non sussiste alcun rapporto di dipendenza ex art. 185 fra il provvedimento interlocutorio di non accoglimento dell’accordo e la successiva sentenza di merito, di talché dalla nullità del primo non potrà mai derivare la nullità della seconda. (Sez. 4, 40952/2018).

La definizione concordata della pena in appello, conseguente al previo accordo delle parti sui relativi motivi, non implica rinuncia alla prescrizione da parte dell'imputato, essendo bandite dal sistema rinunce implicite e non potendo fondatamente ritenersi che una volontà «diversa», racchiusa in un modello legale di richiesta che sia orientata a tutt'altri fini, possa qualificarsi «espressa», nell'accezione del termine recepita dall'art. 157, settimo comma, c.p. Dovendosi quindi ritenere consentito dedurre, pur dopo un tale esito processuale e mediante ricorso per cassazione, l'estinzione del reato per  prescrizione, nel caso in cui il relativo termine sia decorso prima della pronuncia del giudice di appello e la causa estintiva erroneamente non sia stata dichiarata dal giudice medesimo (Sez. 3, 41953/2019).

Con riferimento alla disciplina, poi abrogata, e nuovamente reintrodotta all’art. 599-bis dalla L. 103/2017, l’accordo tra le parti previsto dall’art. 599  (cd. patteggiamento della pena in appello) può intendersi esteso implicitamente ai punti della sentenza impugnata in stretta correlazione con esso. Ne consegue che, qualora in dipendenza delle modificazioni apportate alla pena principale, quest’ultima non comporti più la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma solo quella temporanea, il giudice ha la potestà di operare modifiche anche alla pena accessoria. Il giudice di appello, in caso di accoglimento dell’accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena, è tenuto alla sostituzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicata con la sentenza di condanna a pena detentiva non inferiore a cinque anni, con quella dell’interdizione temporanea, ove la pena irrogata per i reati in continuazione sia complessivamente pari ad anni cinque di reclusione, pur quando la sostituzione non sia stata prevista nell’accordo tra le parti (Sez. 5, 11940/2020).