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Art. 384 - Fermo di indiziato di delitto

1. Anche fuori dei casi di flagranza, quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l’indiziato,  fanno ritenere fondato il pericolo di fuga, il pubblico ministero dispone il fermo della persona gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi o di un delitto commesso per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico.

2. Nei casi previsti dal comma 1 e prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono al fermo di propria iniziativa.

3. La polizia giudiziaria procede inoltre al fermo di propria iniziativa qualora sia successivamente individuato l’indiziato ovvero sopravvengono specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l’indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero.

Rassegna giurisprudenziale

Fermo di indiziato di delitto (art. 384)

Il pericolo di fuga che giustifica il fermo di indiziato di reato ex art. 384, inteso come rilevante probabilità che l'indagato si possa dare alla fuga, deve essere desunto non dal titolo di reato, che costituisce piuttosto un limite di applicabilità della misura, ma, con valutazione ex ante, da elementi specifici, ossia dotati di capacità di personalizzazione. Ne segue che ai fini della sua configurabilità non sono sufficienti l'allontanamento dal luogo in cui è stato consumato il reato o la momentanea irreperibilità e, in caso di reato concorsuale, il contegno mantenuto dal solo coindagato, ma è sempre necessario individuare un ulteriore elemento specifico, riferito al comportamento del ricorrente (Sez. 1, 37329/2021).

Il provvedimento di fermo da parte del PM può essere adottato, “anche al di fuori della flagranza del reato, quando sussistono specifici elementi che [...] fanno ritenere fondato il pericolo di fuga”. La norma, con evidenza, non reputa necessari gli elementi presi in considerazione dall’art. 274, comma 1, lett. b) che, anche a seguito della integrazione effettuata dall’art. 1 della L. 47/2015 che richiede che l’indagato si sia dato alla fuga o che sussista concreto ed attuale pericolo che egli si dia alla fuga. Evidente, quindi, la distanza intercorrente tra le ipotesi che legittimano la applicazione della misura cautelare rispetto a quella che legittima la applicazione del provvedimento precautelare. Ciò implica che il pericolo di fuga, come indicato dall’art. 384, richieda specifici elementi che facciano ritenere fondato il pericolo; elementi che devono essere specifici, in quanto direttamente riferiti alla persona sottoposta al fermo, e concreti, in quanto connotati da una loro effettività, con conseguente rilevante probabilità che l’indagato si dia alla fuga. La fondatezza del pericolo di fuga deve essere verificata con valutazione ex ante, desumendo da elementi concreti la rilevante probabilità che l’indagato si possa dare alla fuga (Sez. 6, 55729/2017).

In tema di convalida del fermo di indiziato di delitto, la fondatezza del pericolo di fuga va verificata con valutazione “ex ante”, desumendo da elementi concreti la rilevante probabilità che l’indagato si possa dare alla fuga (Sez. 2, 52009/2016).

Nella motivazione della convalida del fermo il giudice deve far riferimento a concreti e specifici elementi di fatto risultanti dagli atti con riferimento ai parametri normativi che nella realtà consentono e legittimano la misura precautelare nei confronti di persona gravemente indiziata di reato, non essendo a tal fine sufficiente l’utilizzazione di formule di stile, adattabili a qualsiasi situazione, senza che ciò comporti una verifica sulla ragionevolezza dell’operato della PG cui è attribuita una sfera di discrezionalità (Sez. 3, 39452/2013).

In tema di fermo, il requisito del pericolo di fuga non è ravvisabile nel temporaneo allontanamento dal luogo del delitto, dovendosi, invece, fondare su elementi specifici, dotati di capacità di personalizzazione e desumibili da circostanze concrete (Sez. 1, 5244/2006).

Ai fini della convalida del fermo, il pericolo di fuga non può essere presunto sulla base del titolo di reato in ordine al quale si indaga, ma deve essere fondato su elementi specifici, ossia dotati di capacità di personalizzazione, e desumibili da circostanze concrete. L’atto di colui che si allontana dal luogo in cui è stato commesso il reato e si rende momentaneamente irreperibile, non va pertanto confuso con il pericolo di fuga, altrimenti il provvedimento di fermo sarebbe legittimo in tutti i casi in cui l’indagato non sia stato arrestato nella flagranza ovvero il reato venga accertato successivamente (Sez. 3, 4089/2003).

In sede di giudizio di convalida, infatti, la sussistenza dei presupposti del fermo deve essere valutata operando un giudizio prognostico ex ante avendo riguardo alla situazione in cui la PG ha provveduto, senza tener conto degli elementi non conosciuti o non conoscibili dalla stessa, che siano successivamente emersi (Sez. 3, 35962/2010).

In presenza dei presupposti previsti dall’art. 384, comma 1, il fermo di persona indiziata di delitto può essere reiterato dal PM nei confronti di persona rimessa formalmente in libertà, ancorché ancora di fatto detenuta, in relazione ad un precedente titolo di custodia cautelare dichiarato inefficace per la nullità dell’interrogatorio di garanziaSe ne deduce allora che, quando il PM emette nei confronti della persona la cui misura cautelare sia divenuta inefficace per l’omesso interrogatorio, un decreto di fermo e la stessa sia posta pertanto nuovamente in custodia cautelare in carcere per tale titolo, il giudice, a cui unitamente alla convalida del fermo, sia chiesta l’emissione di una nuova misura, procede all’interrogatorio di garanzia dell’indagato, in stato di detenzione, sia ai fini della convalida del fermo sia al fine di emettere la nuova misura, non violando pertanto il disposto dell’art. 302, in tema di condizione dell’indagato al momento dell’interrogatorio, che attiene a diversa sequenza procedimentale (Sez. 5, 1840/2017).

Sussiste l’interesse dell’indagato ad impugnare il provvedimento di fermo, pur quando ad esso sia seguito, contestualmente, quello di applicazione della misura cautelare della custodia in carcereÈ condivisibile, infatti, la giurisprudenza di legittimità secondo cui, allorquando il giudice, con un’unica ordinanza, convalida il fermo della persona indagata e contestualmente gli applica una misura cautelare custodiale, permane l’interesse del fermato ad impugnare il provvedimento di convalida, in quanto costui è pur sempre portatore di un interesse concreto ed attuale a proporre ricorso per cassazione, quanto meno in rapporto alla previsione normativa dell’art. 657 - che disciplina la fungibilità della detenzione e della privazione della libertà personale subita senza titolo - ed alla stregua dei principi generali, derivanti dall’art. 111, comma 2, Cost., che attengono alla materia dei provvedimenti restrittivi della libertà personale. Può evidenziarsi, inoltre, a tal fine, che il provvedimento di fermo si fonda su presupposti e caratteri di tale portata restrittiva del bene giuridico di primario rilievo della libertà personale, da richiedere necessariamente una valutazione dell’esercizio del potere di disporlo in sede di legittimità, secondo le garanzie previste dall’art. 111, comma 2, Cost., ineludibili pur quando esso sia immediatamente confluito in un provvedimento restrittivo di detta libertà personale di diversa natura ed autonomamente impugnabile come è l’ordinanza di custodia cautelare disposta all’esito della convalida dal GIP. In caso contrario  e cioè qualora si ritenesse l’insussistenza dell’interesse all’impugnazione del provvedimento nel caso in cui sia emessa un’unica ordinanza con cui si convalida il fermo e si dispone la misura cautelare custodiale  si priverebbe l’indagato di un passaggio fondamentale delle proprie garanzie, rivolto a verificare la legittimità della forte compressione della libertà personale cui è stato sottoposto con un provvedimento che si caratterizza per immediatezza e sorpresa (e, non a caso, può essere disposto solo in presenza di presupposti stringenti e predeterminati specificamente dal legislatore), collegando tale garanzia necessariamente alla verifica sulla legittimità dell’ordinanza cautelare cui si accompagna. Del resto, è stata correttamente affermata l’autonomia dell’ordinanza con cui si convalida il fermo da quella con cui si dispone la misura cautelare, avendo ad oggetto, la prima, solo il controllo di legittimità dell’operato della polizia giudiziaria e non richiedendo, per la sua adozione, la sussistenza delle condizioni legittimanti la misura cautelare.

Ne consegue che i piani su cui agiscono i due istituti (arresto e fermo da un lato e misura custodiale dall’altra) sono diversi, poiché la convalida del fermo non necessariamente impone la protrazione dello stato di privazione della libertà del fermato e viceversa (Sez. 5, 54694/2017).

In sede di ricorso contro il provvedimento di convalida dell’arresto o del fermo, possono dedursi esclusivamente vizi di illegittimità, con riferimento, in particolare, al titolo del reato, all’esistenza o meno della flagranza o dei presupposti per disporre il fermo ed in relazione all’osservanza dei termini; i vizi inerenti alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari vanno dedotti, invece, mediante l’impugnazione dell’eventuale ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere. Il campo di intervento della Corte di cassazione nella verifica di legittimità dell’ordinanza di convalida del fermo (così come di quella dell’arresto) deve limitarsi, pertanto, alla valutazione del processo logico seguito dal giudice per pervenire all’adozione del provvedimento – al quale oggetto devono essere limitate, conseguentemente, anche le censure di parte ricorrente  essendo sottratta al giudice di legittimità quella valutazione di merito circa le condizioni in presenza delle quali il fermo o l’arresto furono eseguiti dalla PG, che deve rinvenirsi nella decisione sulla convalida e che costituisce, essa sì, il focus sul quale deve incentrarsi il sindacato di legittimità. I motivi di ricorso che non si attengano a tali principi incorrono nella sanzione di inammissibilità (Sez. 5, 54694/2017).

L’ordinanza che convalida o meno il fermo di indiziato di delitto può essere oggetto di ricorso per cassazione esclusivamente per violazione di legge. Per tale motivo il vizio di motivazione può essere dedotto solo qualora questa sia assente o soltanto apparente. Le censure relative alla logicità ovvero alla contraddittorietà sono inammissibili (Sez. 2, 24475/2018).

I provvedimenti impositivi delle misure cautelari personali, ancorché contestuali ai provvedimenti di convalida del fermo e dell’arresto dell’indagato, sono del tutto autonomi rispetto a questi ultimi, sicché le impugnazioni proposte avverso le ordinanze che dispongono misure cautelari non possono estendersi ai provvedimenti di convalida e viceversa. Ne consegue che il rimedio del ricorso per cassazione, esperibile contro il provvedimento del GIP che nega la convalida dell’arresto o del fermo, non è consentito avverso il diniego di applicazione della misura cautelare, che può essere bensì impugnato dal PM con l’appello al tribunale, come previsto in via generale dall’art. 310, comma 1 (Sez. 6, 34031/2003).