x

x

Art. 352 - Perquisizioni

1. Nella flagranza del reato o nel caso di evasione, gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono a perquisizione personale o locale quando hanno fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse ovvero che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l’evaso.

1-bis. Nella flagranza del reato, ovvero nei casi di cui al comma 2 quando sussistono i presupposti e le altre condizioni ivi previsti, gli ufficiali di polizia giudiziaria, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione, procedono altresì alla perquisizione di sistemi informatici o telematici, ancorché protetti da misure di sicurezza, quando hanno fondato motivo di ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi.

2. Quando si deve procedere alla esecuzione di un’ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 ovvero al fermo di una persona indiziata di delitto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizione personale o locale se ricorrono i presupposti indicati nel comma 1 e sussistono particolari motivi di urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione.

3. La perquisizione domiciliare può essere eseguita anche fuori dei limiti temporali dell’articolo 251 quando il ritardo potrebbe pregiudicarne l’esito.

4. La polizia giudiziaria trasmette senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero del luogo dove la perquisizione è stata eseguita il verbale delle operazioni compiute. Il pubblico ministero, se ne ricorrono i presupposti, nelle quarantotto ore successive, convalida la perquisizione.

Rassegna giurisprudenziale

Perquisizioni (art. 352)

La PG, all’atto di eseguire una perquisizione finalizzata ad accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, non deve avvisare l’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore (Sez. 3, 8097/2011).

Le perquisizioni eseguite di iniziativa della PG in materia di stupefacenti, siccome non presuppongono necessariamente la commissione di un reato, in quanto possono essere effettuate sulla base di informazioni confidenzialmente apprese, e siccome, quindi, non sono funzionali alla ricerca ed all’acquisizione della prova di un reato di cui risulti già l’esistenza, ma possono rientrare anche in un’attività di carattere preventivo, non implicano l’obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all’assistenza di un difensore (Sez. 3, 19365/2016).

Allorquando la perquisizione sia stata effettuata senza l’autorizzazione del magistrato e non nei “casi” e nei “modi” stabiliti dalla legge, come prescritto dall’art. 13 Cost., si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è compatibile con la tutela del diritto di libertà del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento dell’inviolabilità del domicilio.

Ne consegue che, non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa, la perquisizione è nulla e il sequestro eseguito all’esito di essa non è utilizzabile come prova nel processo, salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 253, comma 1, nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti (SU, 5021/1996).

Il principio che l’eventuale vizio della perquisizione non ha riflessi invalidanti sul sequestro (che costituisce un atto dovuto a norma dell’art. 253, comma 1) del corpo del reato, che venga ritrovato nel corso della perquisizione in quanto dimostrativo in via immediata del collegamento della cosa stessa con l’illecito penale, o delle cose pertinenti al reato, che siano indispensabili per l’accertamento dei fatti e della responsabilità penale ipotizzati a carico dell’indagato, costituisce ormai, ius receptum.

Questo principio non comporta peraltro alcuna la violazione dell’art. 8 della CEDU che recita testualmente: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2.

Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

L’interpretazione giurisprudenziale sopra indicata non è in alcun modo incompatibile con l’osservanza di detta disposizione sulla scorta della medesima giurisprudenza della Corte EDU in materia. In ordine alla tematica della acquisizione della prova nel processo penale e della interferenza in generale con i diritti garantiti dalla CEDU va premesso che la giurisprudenza di Strasburgo in tema di prove si muove secondo due direttive: l’una relativa al momento dell’acquisizione della prova e l’altra inerente il successivo utilizzo nel processo della prova eventualmente acquisita in violazione di un diritto convenzionale.

Per quanto riguarda il profilo dell’acquisizione della prova, qualora l’attività delle autorità investigative incida su un diritto garantito dalla Convenzione la Corte ritiene necessario un bilanciamento tra sacrificio del diritto ed interesse pubblico sotteso all’accertamento del reato.

Emerge dalla giurisprudenza della Corte EDU che il profilo di illegittimità eventualmente riscontrato dalla Corte nell’ acquisizione della prova non ha nulla a che vedere con l’eventuale violazione della normativa nazionale che disciplina quella materia: in sostanza la Corte, nell’affermare che “non è suo compito quello di prendere in considerazione errori di fatto o di diritto asseritamente compiuti da un tribunale interno, se non nella misura in cui tali errori possano aver minacciato diritti e libertà garantiti dalla Convenzione” (così, ex plurimis, Corte EDU, P.G. e J.H. c. Regno Unito, 25 settembre 2001, § 76), relega l’eventuale violazione di legge nazionale al ruolo di parametro alla luce del quale giudicare la coerenza del comportamento delle autorità nazionali con la Convenzione ed ovviamente questo comporta la possibilità che anche un comportamento rispettoso della legge nazionale possa essere giudicato lesivo della Convenzione.

Ciò premesso, il parametro utilizzato dalla Corte per giudicare dell’equità del processo nel quale sia utilizzata una prova illecita, illegittima e/o contraria alla Convenzione riguarda sempre l’equità dell’intera procedura anche alla luce dell’interesse pubblico all’accertamento.

Così significative appaiono le considerazioni (Corte EDU, Sez. II, 28 luglio 2009, Lee Davies v. Belgio) in merito ad una perquisizione illegittima che, tuttavia, non aveva influito negativamente sulla qualità delle prove raccolte. Pertanto occorre una verifica in concreto se la procedura nel suo insieme ha rispettato i canoni del giusto processo ed i diritti della difesa (Sez. 2, 47073/2017).

L’atto di perquisizione personale eseguito dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 352 è atto indifferibile ed urgente per il quale non è necessaria la traduzione immediata all’indagato di lingua straniera in quanto il reperimento di un interprete è incompatibile con la particolare urgenza dell’adempimento investigativo; la mancata comprensione dell’atto esplicherà i suoi effetti solo sul termine per l’impugnazione dell’eventuale conseguente sequestro (Sez. 4, 254/2004).

Qualora gli ufficiali e gli agenti della Guardia di Finanza, accedano nei locali di una impresa ai fini di investigazioni concernenti la materia fiscale e tributaria, gli stessi possono compiere, di propria iniziativa, atti di perquisizione e di sequestro, ai sensi degli artt. 352 e 354, in ordine a reati di natura non fiscale o finanziaria ove, nell’ambito degli accertamenti programmati, trovino elementi dai quali emerga la flagranza di un reato diverso, e, pertanto, devono considerarsi legittimamente eseguiti la perquisizione, ai sensi dell’art. 352, comma 1, e il sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti – in ossequio, tra l’altro, alla norma di cui all’art. 354, comma 2, ricorrendo gli estremi della flagranza, in ipotesi di detenzione a fine di commercio di prodotti industriali con i marchi contraffatti, integrando questa una forma di reato permanente (Sez. 5, 26882/2017).

Poiché la documentazione dell’attività procedimentale della PG – tanto più quando essa debba essere trasfusa in un processo verbale – è infungibile, non vale a sostituire validamente la mancata documentazione dell’avvertimento all’inquisito del diritto di farsi assistere da un difensore in ordine alle operazioni di perquisizione personale e di sequestro ai sensi del combinato disposto degli artt. 352 e 356 e 114 Att., l’avvertimento all’inquisito, al momento dell’arresto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (Sez. 3, 47587/2017).

La borsa professionale costituisce una sorta di “proiezione spaziale” di un ufficio legale, con la conseguenza che devono osservarsi, nel sottoporla a perquisizione, le guarentigie previste dall’art. 103 per i locali degli uffici dei difensori. Questa norma non è tuttavia applicabile quando la perquisizione sia diretta alla ricerca di un corpo del reato (Sez. 5, 8031/2017).

Le ispezioni e i controlli disciplinati dall’art. 103 DPR 309/1990 si differenziano dalle perquisizioni previste dall’art. 352 sia per la natura e la qualità dell’intervento, sia per la specifica funzione: infatti, mentre la perquisizione prevista dal codice di rito presuppone sempre la commissione di un reato, i poteri concessi alla PG dal citato art. 103 sono finalizzati anche ad attività di carattere preventivo, oltre che repressivo, ed hanno più ampio ambito.

Inoltre, quale che sia la tipologia della perquisizione, eventuali illegittimità dell’attività genetica non si trasmettono al sequestro di cose costituenti corpo di reato o cose pertinenti al reato la cui apprensione costituisce un atto dovuto a norma dell’art. 253, comma 1 (Sez. 2, 222/2017). 

Per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, non è prevista alcuna impugnazione avverso il decreto di perquisizione adottato dal PM ovvero il decreto di convalida della perquisizione eseguita in via d’urgenza dalla PG, emesso dal rappresentante della pubblica accusa.

Trattasi, infatti, di provvedimenti che non hanno natura decisoria, dunque non sono assimilabili alle sentenze, né che comportano una limitazione della libertà personale, di talché - in mancanza di un successivo sequestro o di altro provvedimento impugnabile per espressa previsione legislativa - non sottoponibili ad alcun gravame o a querela nullitatis, se non nei limiti in cui quella decisione possa avere avuto riflessi sul sequestro, ovvero su altro provvedimento impugnabile (Sez. 6, 46250/2012).