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Art. 276 - Provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte

1. In caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell’entità, dei motivi e delle circostanze della violazione. Quando si tratta di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo anche con una misura coercitiva.

1-bis. Quando l’imputato si trova nelle condizioni di cui all’articolo 275, comma 4-bis, e nei suoi confronti è stata disposta misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, il giudice, in caso di trasgressione delle prescrizioni inerenti alla diversa misura cautelare, può disporre anche la misura della custodia cautelare in carcere. In tal caso il giudice dispone che l’imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l’assistenza necessarie.

1-ter. In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità.

Rassegna giurisprudenziale

Provvedimenti in caso di trasgressione delle misure imposte (art. 276)

La giurisprudenza di legittimità ha delineato con sufficiente precisione i canoni ermeneutici che sovrintendono all’applicazione dell’art. 276, norma che definisce un sistema autonomo di interventi ripristinatori in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare già applicata.

Non vi è dubbio che la norma in esame, lungi dall’assolvere a finalità sanzionatorie estranee alle misure di custodia preventiva, le quali non possono soddisfare altro che esigenze di carattere cautelare o comunque strettamente inerenti al processo (Corte Cost. sentenze n. 1 del 1980 e n. 64 del 1970), costituisce una disposizione di natura eccezionale che va letta nel complesso del sistema cautelare e, dunque, coordinata con il principio secondo cui, in tema di sostituzione e revoca delle misure cautelari coercitive, il presupposto per l’aggravamento della misura non è la violazione delle prescrizioni, bensì la necessità di adeguare lo status libertatis alla eventuale sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravate le esigenze cautelari di cui all’art. 274.

Costituisce, altresì, ius receptum il principio, espresso sulla scorta del dato letterale della disposizione in esame (il giudice dispone) che, in caso di trasgressione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari precedentemente disposti, sia esso l’abitazione o altro luogo di privata dimora, l’art. 276, comma 1-ter rende obbligatoria la revoca degli arresti domiciliari ed il ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice possa essere riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari.

Tale previsione, lungi dall’assolvere a finalità sanzionatorie estranee alle misure custodiali, integra un’ipotesi di presunzione di inadeguatezza di ogni misura diversa dalla custodia cautelare in carcere una volta che la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si sia rivelata insufficiente allo scopo, per la trasgressione al suo contenuto essenziale. Solo con la legge n. 47 del 2015, peraltro, il rigore di tale automatismo è stato temperato con la previsione secondo la quale il giudice deve valutare se non si sia in presenza di fatto di lieve entità.

Il primo comma dell’art. 276, invece, consente (il giudice può disporre), la sostituzione della misura in atto con altra più grave, quale che sia la prescrizione violata, «tenuto conto dell’entità, dei motivi e delle circostanze della violazione».

Presupposto della sostituzione ovvero dell’aggravamento è la verifica, da parte del giudice, di una condotta di trasgressione e, cioè, di una condotta che, in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, presenti caratteri che rivelano la sopravvenuta inadeguatezza della misura in corso.

Non vi è ragione per non ritenere che possano fondare l’aggravamento ovvero la sostituzione della misura con altra più afflittiva, in presenza della constatata trasgressione, anche le violazioni di prescrizioni inerenti alla misura degli arresti domiciliari, diverse dall’allontanamento dal luogo di esecuzione della misura, che, come accennato, costituisce una violazione tipizzata dal legislatore con la previsione di cui all’art. 276, comma 1-ter.

Anche dopo l’entrata in vigore della L. 47/2015 la Corte di Cassazione ha ribadito l’esattezza della impostazione ermeneutica innanzi delineata affermando che la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere per la violazione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, disposta ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter, è automatica, salvo che vi sia la prova della lieve entità del fatto, senza che al giudice sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari.

In relazione ad entrambe le ipotesi di cui all’art. 276 l’apprezzamento del giudice attiene in primo luogo alla prova dell’avvenuta trasgressione e, con riferimento all’ipotesi della violazione concernente il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione, anche alla prova - negativa - dell’eventuale lieve entità del fatto. E, nel caso in cui tale ultima evenienza sia esclusa, la revoca degli arresti domiciliari è automatica, senza che al giudice sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari, tantomeno sotto il profilo della loro attualità, e neppure il potere di aggravare la precedente misura soltanto con ulteriori obblighi aggiuntivi. Il giudizio (positivo o negativo) sull’entità, sui motivi o sulle circostanze della violazione e, in definitiva, sulla gravità della condotta trasgressiva, è riservato al giudice del merito - giudice che procede e, in caso di impugnazione, tribunale dell’appello - il quale ha obbligo di fornire adeguata, corretta e logica motivazione apprezzando tutte quelle circostanze di fatto che, pur esulando dalle giustificazioni che scriminano la condotta elidendone l’antigiuridicità, consentono di connotare il fatto, in termini di minore, perché attenuata, gravità (Sez. 6, 32620/2018).

Configura il delitto di evasione e non l’ipotesi di trasgressione alle prescrizioni imposte, sanzionabile ex art. 276, l’allontanamento della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari - ovvero all’omologo istituto della detenzione domiciliare - dal luogo di detenzione in un orario che si ponga in termini di inconciliabilità con la fascia oraria prefissata dall’AG nel provvedimento cautelare (Sez. 7, 28961/2018).

In caso di sostituzione della misura domiciliare con quella carceraria in conseguenza della violazione delle prescrizioni imposte all’indagato ammesso agli arresti domiciliari per incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario, ai sensi dell’art. 276, non è necessario ricorra l’esistenza di “eccezionali esigenze” ex art. 275, comma 4 poiché dalla violazione del divieto di allontanarsi dalla propria abitazione deriva oggettivamente la perdita di rilievo delle particolari condizioni personali che giustificano la misura meno afflittiva, risultando evidente che esse non impediscono comunque l’elusione delle cautele imposte (Sez. 2, 30396/2018).

La valenza derogatoria delle previsioni degli art. 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, opera esclusivamente con riferimento alla misura coercitiva disposta in via di aggravamento di quella originaria e non già con riferimento all’autonomo titolo cautelare emesso in relazione al delitto di evasione (Sez. 6, 18856/2018).

La trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari determina, ex art. 276, comma 1-ter, la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice, una volta accertata la trasgressione, sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari (Sez. 4, 17421/2018).

La eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari richiesta per l’applicazione della misura custodiale di massimo rigore per i soggetti contemplati dall’art. 275, comma 4, è un presupposto che viene meno nel caso di trasgressione delle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari, che «palesa una situazione nella quale la sussistenza di dette condizioni perde effettivo rilievo, in quanto risulta evidente che esse non impediscono comunque la elusione delle regole dettate per la misura meno afflittiva, giustificandosi, conseguentemente, l’aggravamento ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter.

Questo principio è applicabile in caso di trasgressione delle prescrizioni anche da parte dei soggetti gravemente malati, indicati dall’art. 275, comma 4- bis, come peraltro risulta dalla lettera dell’art. 276, comma 1- bis, (il giudice «può disporre anche la misura della custodia cautelare in carcere»), dalla quale si evince che allo stesso giudice è affidato il compito non di prendere “meccanicamente” atto dell’avvenuta trasgressione per trarne una decisione obbligata, ma di valutare e quindi congruamente motivare la sua decisione sul punto all’interno del quadro di bilanciamento degli opposti interessi, quello cioè riguardante le esigenze cautelari e l’altro relativo alla tutela delle condizioni di salute (Sez. 2, 11029/2018).

Le ragioni che conducono all’aggravamento della misura cautelare in atto possono essere quelle previste dall’art. 276, in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte con la misura stessa o quelle disciplinate dal successivo art. 299, comma 4, nel caso in cui le esigenze cautelari risultino aggravate.

Tali ragioni restano, però, distinte perché, mentre nella previsione dell’art. 276 rientrano, per il principio di tassatività, solo le inosservanze agli obblighi espressamente previsti nel provvedimento cautelare e non anche ogni condotta, ancorché costituente reato, genericamente elusiva della finalità perseguita con l’imposizione del provvedimento limitativo della libertà personale, nella previsione dell’art. 299  che fa, appunto, salvo quanto previsto dall’art. 276  sono contemplate tutte le ulteriori condotte, anche non di autonoma rilevanza penale, che possano costituire un motivo di aggravamento delle esigenze di cautela.

In altri termini l’art. 276 disciplina una specifica ipotesi e l’art. 299 funge da norma di chiusura. Ne deriva pertanto che, qualora vi siano ragioni di aggravamento della misura, sia ai sensi dell’art. 276, sia in osservanza dell’art. 299, ciò, seppur è astrattamente possibile, non esime però il giudice dal motivare la ricorrenza di ciascuna di esse, non potendosi formulare una complessiva argomentazione che confonda ed impropriamente unisca le ragioni dell’una con i motivi dell’altra (Sez. 5, 2312/2018).