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Art. 733 - Presupposti del riconoscimento

1. La sentenza straniera non può essere riconosciuta se:

a) la sentenza non è divenuta irrevocabile per le leggi dello Stato in cui è stata pronunciata;

b)  la sentenza contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, ovvero quando le condizioni poste dallo Stato straniero per l’esecuzione della sentenza della quale è chiesto il riconoscimento sono contrarie a tali principi;

c) la sentenza non è stata pronunciata da un giudice indipendente e imparziale ovvero l’imputato non è stato citato a comparire in giudizio davanti all’autorità straniera ovvero non gli è stato riconosciuto il diritto a essere interrogato in una lingua a lui comprensibile e a essere assistito da un difensore;

d) vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali abbiano influito sullo svolgimento o sull’esito del processo;

e) il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana;

f) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile;

g) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è in corso nello Stato procedimento penale.

1-bis. Salvo quanto previsto dall’articolo 735-bis, la sentenza straniera non può essere riconosciuta ai fini dell’esecuzione di una confisca se questa ha per oggetto beni la cui confisca non sarebbe possibile se la legge italiana qualora per lo stesso fatto si procedesse nello Stato.

Rassegna giurisprudenziale

Presupposti del riconoscimento (art. 733)

La condizione ostativa al riconoscimento, prevista dall’art. 733, comma 1, lett. g) ha la funzione di raccordare l’istituto del riconoscimento della sentenza penale straniera con la possibilità, prevista dall’art. 11 Cod. pen., di rinnovare in Italia il giudizio già svoltosi all’estero, cosi da attuare in via prioritaria la giurisdizione nazionale (Sez. 6, 21348/2016).

Un sistema giuridico straniero che gravi il soggetto dei tempi necessari a che l’atto di impugnazione raggiunga l’ufficio di destinazione non integra condizioni tali, al fine dell’esecuzione della sentenza di cui è richiesto il riconoscimento, da risultare contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato italiano (art. 733, comma 1, lett. b) per lesione del diritto di difesa.

Le peculiari ed accessorie modalità secondo cui si declina l’esercizio dello ius impugnationis non rilevano ai fini indicati a meno che esse non siano definite per contenuti tali da precludere l’esercizio stesso del diritto, combinando forme e termini di impossibile osservanza. (Sez. 6, 27774/2018).

L’equità del processo svoltosi all’estero non può essere valutata sulla base delle regole processuali applicabili nell’ordinamento italiano, essendo invece necessario che l’ordinamento dello Stato emittente rispetti i principi in tema di «giusto processo» garantiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare dall’art. 6 CEDU, cui si richiama l’art. 111 Cost. (Sez. 6, 17632/2007).

La condizione ostativa al riconoscimento, prevista dall’art. 733, comma 1, lett. g), ha la funzione di raccordare l’istituto del riconoscimento della sentenza penale straniera con la possibilità, prevista dall’art. 11 Cod. pen., di rinnovare in Italia il giudizio già svoltosi all’estero, cosi da attuare in via prioritaria la giurisdizione nazionale.

La locuzione «è in corso nello Stato procedimento penale», al pari di quella analoga contenuta nell’art. 705, comma 1, in tema di estradizione passiva che persegue la medesima finalità, va intesa nel senso che non è sufficiente la mera iscrizione della notizia di reato ex art. 335, ma è necessario l’inizio dell’azione penale, in una delle forme di cui all’art. 405, perché si possa correttamente affermare la pendenza del procedimento penale (Sez. 6, 21348/2016).

Dovendosi far luogo all’applicazione di pene accessorie, è condizione necessaria per il riconoscimento della sentenza straniera che il fatto per il quale l’imputato è stato punito all’estero costituisca reato, secondo la legge italiana del tempo in cui fu commesso.

La natura sanzionatoria, appunto «penale», delle conseguenze correlate alla condanna straniera implica che la condizione ostativa al suddetto riconoscimento contenuta nell’art. 733, comma 1, lett. e) («il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana») vada coniugata con la previsione contenuta nell’art. 2, comma 1, Cod. pen. (Sez. 6, 21348/2016).

Nel giudizio di riconoscimento della sentenza straniera è sufficiente escludere la presenza delle condizioni ostative al riconoscimento per dare conto del controllo eseguito in proposito, poiché la legge richiede solo una verifica, del cui svolgimento è stato dato atto nella pronuncia e che, per la natura delle condizioni valutative ivi previste, può prevedere un’argomentazione solo in caso di rigetto dell’istanza (Sez. 6, 45207/2013).

La previsione dell’art. 733, comma 1, lett. c), nella parte in cui pone come preclusione al riconoscimento della sentenza estera il fatto che l’imputato “non è stato citato a comparire in giudizio”, implica, nella sua ratio, che nel procedimento estero siano state espletate le opportune formalità per portare alla conoscenza effettiva dell’imputato, per quanto possibile, l’atto di vocatio in jus (Sez. 6, 40961/2008).

L’art. 735-bis è stato introdotto in sede di ratifica della Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio dell’8 novembre 1990, al fine di consentire di dare esecuzione in Italia ad una tipologia di confisca, quella di valore, all’epoca non prevista dall’ordinamento italiano.

L’art. 7 della citata Convenzione impone invero a ciascuna Parte ad essa aderente di adottare le misure legislative e di altra natura eventualmente necessarie per consentirle di eseguire le richieste di cooperazione aventi ad oggetto la confisca consistente nell’imposizione dell’obbligo di pagare una somma di denaro pari al valore dei proventi.

Come chiarisce il Rapporto esplicativo al § 48 (Explanatory Report  ETS 141  Laundering of the Proceeds from Crime), tale obbligo implica che se uno Stato prevede solo il sistema di confisca di “proprietà” per i casi nazionali deve comunque introdurre una legislazione che consenta la confisca di valore al fine di poter soddisfare le richieste a tal fine di Paesi che prevedano tale sistema.

Proprio per garantire il suddetto obbligo, il legislatore ha introdotto all’art. 733, comma 1-bis la clausola di salvezza per la confisca di valore, non estendendo ad essa il requisito della doppia “confiscabilità” invece richiesto per la confisca di proprietà («Salvo quanto previsto nell’articolo 735-bis, la sentenza straniera non può essere riconosciuta ai fini dell’esecuzione di una confisca se questa ha per oggetto beni la cui confisca non sarebbe possibile secondo la legge italiana qualora per lo stesso fatto si procedesse nello Stato») (Sez. 6, 2189/2019).