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Art. 735 - Determinazione della pena ed ordine di confisca

1. La corte di appello, quando pronuncia il riconoscimento ai fini dell’esecuzione di una sentenza straniera, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato.
2. A tal fine essa converte la pena stabilita nella sentenza straniera in una delle pene previste per lo stesso fatto dalla legge italiana. Tale pena, per quanto possibile, deve corrispondere per natura a quella inflitta con la sentenza straniera. La quantità della pena è determinata, tenendo eventualmente conto dei criteri di ragguaglio previsti dalla legge italiana, sulla base di quella fissata nella sentenza straniera; tuttavia tale quantità non può eccedere il limite massimo previsto per lo stesso fatto dalla legge italiana. Quando la quantità della pena non è stabilita nella sentenza straniera, la corte la determina sulla base dei criteri indicati negli articoli 133, 133-bis e 133-ter del codice penale.

3. In nessun caso la pena così determinata può essere più grave di quella stabilita nella sentenza straniera.

4. Se nello Stato estero nel quale fu pronunciata la sentenza l’esecuzione della pena è stata condizionalmente sospesa, la corte dispone inoltre, con la sentenza di riconoscimento, la sospensione condizionale della pena a norma del codice penale; se in detto Stato il condannato è stato liberato sotto condizione, la corte sostituisce alla misura straniera la liberazione condizionale e il magistrato di sorveglianza, nel determinare le prescrizioni relative alla libertà vigilata, non può aggravare il trattamento sanzionatorio complessivo stabilito nei provvedimenti stranieri.

4-bis. Se la decisione prevede la concessione di benefici riconosciuti nello Stato di emissione, diversi da quelli di cui al comma 4, essi sono convertiti in misure analoghe previste dall’ordinamento giuridico italiano.

5. Per determinare la pena pecuniaria l’ammontare stabilito nella sentenza straniera è convertito nel pari valore in euro al cambio del giorno in cui il riconoscimento è deliberato.

6. Quando la corte pronuncia il riconoscimento ai fini dell’esecuzione di una confisca, questa è ordinata con la stessa sentenza di riconoscimento, fermo quanto previsto dall’articolo 733, comma 1-bis.

Rassegna giurisprudenziale

Determinazione della pena e ordine di confisca (art. 735)

Ai fini dell’esecuzione in Italia della pena detentiva inflitta all’estero, nei casi di applicazione della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, la corte d’appello, in forza del regime della continuazione dell’esecuzione scelto in sede di ratifica dalla L. 334/1988, non deve convertire  sulla scorta di criteri di proporzionalità e adeguatezza  la pena inflitta dal giudice straniero, ma, deve limitarsi a recepirla, salvo il limite previsto dall’art. 10 della Convenzione, espressamente richiamato dall’art. 3, comma 2, L. 257/1989 (avente carattere di specialità rispetto all’art. 735), della sua incompatibilità, per durata o natura, con quella edittale prevista dalla legislazione interna, nel qual caso può adattare la pena a quella prevista per reati della stessa natura, purché non sia più grave o più lunga.

L’art. 735 non richiede che il reato riceva un trattamento identico o analogo nei due ordinamenti e la pena può essere rideterminata (sulla base dei criteri stabiliti dagli artt. 133, 133 bis e 133-ter Cod. pen.) solo se non è stata stabilita nella sentenza straniera, diversamente l’unica condizione alla recezione della pena determinata nella sentenza straniera è che questa non ecceda il limite massimo previsto per lo stesso fatto dalla legge italiana (Sez. 6, 14505/2018).

Il principio del divieto di attuazioni più gravose trova fondamento negli artt. 735 comma 3 e 10, paragrafo 2 della Convenzione di Strasburgo del 1983, oltre che nell’art. 10, comma 5, D. Lgs. 161/2010.

Sulla scorta di quanto indicato dalle disposizioni richiamate è evidente che il profilo di maggiore gravità esecutiva della pena afferisce alla durata o alle modalità di esecuzione della pena stessa e si incentra sulla misura o sulle modalità esecutive della pena inflitta. Invero, gli artt. 731 e ss. assumono carattere residuale per effetto del disposto di cui all’art 696 e la Convenzione di Strasburgo del 1983 cede il passo alla disciplina di cui al D. Lgs. anzidetto con cui la normativa interna dello Stato italiano si è, appunto, conformata alle regole dell’UE (Sez. 1, 47071/2018).

Per quanto interessa i rapporti fra giurisdizioni italiana e svizzera ai fini dell’esecuzione, in tali Stati, delle sentenze penali di condanna da esse rispettivamente emesse, l’art. 10 della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate adottata il 21 marzo 1983 (sottoscritta anche da Italia e Svizzera) e ratificata con L. 334/1988, prevede che lo Stato di esecuzione della pena è vincolato quanto alla natura giuridica ed alla durata della sanzione così come stabilite dallo Stato di condanna, salvo il limite della compatibilità con la legge dello Stato di esecuzione quanto alla natura ed alla durata stessa della pena (ed in questo caso, è consentito allo Stato di esecuzione un circoscritto potere di adattamento); tale disciplina di fonte convenzionale, cui l’Italia ha adattato il proprio ordinamento, si coordina con quella recata dall’art. 735, comma 2, fondato sui criteri di ragguaglio della pena secondo la legge italiana nel caso di riconoscimento di una sentenza straniera ai fini della sua esecuzione in Italia; la disciplina dettata dal codice di procedura penale in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere ha, per quanto interessa i rapporti fra Italia e Stati non membri dell’UE, ha come principio direttivo quello della prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale (art. 696, comma 2); nel riconoscere ai fini della loro esecuzione in Italia due o più sentenze di condanna emesse da AG di Stato non membro dell’UE, è precluso al giudice che il riconoscimento effettua l’applicazione dell’istituto della continuazione, non potendo ritenersi operante per analogia il disposto dell’art. 671; inoltre, il principio direttivo in tema di rapporti fra Italia e Stati membri dell’UE quanto agli effetti in Italia delle sentenze emesse da giudici di altri Stati membri dell’Unione è quello della prevalenza delle norme dell’Unione (contenute nel TUE, nel TFUE, negli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi); disciplina non dissimile da quella recata dalla citata Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 (costituente fonte di diritto interno per effetto dell’ordine di esecuzione recato dalla L.334/1988), si rinviene nell’art. 10, comma 1, lett. f), del D. Lgs. 161/2010, di attuazione della decisione quadro 2008/909/GAI sull’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’UE, che, nel caso di trasmissione dall’estero, vincola il giudice italiano a rispettare la durata e la natura della pena stabilita dallo Stato di condanna, membro dell’Unione europea, salvo il caso della loro incompatibilità con la legge italiana (ricorrendo il quale è consentito un circoscritto potere di adattamento simile a quello previsto dall’art. 10 della citata Convenzione di Strasburgo; v. anche art. 8 della decisione quadro); pertanto, anche nel caso di riconoscimento, ai fini della loro esecuzione in Italia, di due o più sentenze emesse da AG di uno Stato membro dell’UE, è precluso al giudice italiano che quel riconoscimento attui l’applicazione della disciplina legale interna della continuazione, essendo egli vincolato a rispettare la durata e la natura della pena stabilita nello Stato di condanna (Sez. 6, 52235/2017); nello stesso ordine di concetti, la giurisprudenza di legittimità è costane nel ritenere non è applicabile in sede di esecuzione (art. 671) la disciplina di cui all’art. 81, comma 2, Cod. pen. tra reato giudicato in Italia e reato giudicato con sentenza straniera riconosciuta nell’ordinamento italiano, non essendo l’ipotesi del vincolo della continuazione contemplata tra quelle cui può essere finalizzato il riconoscimento della sentenza ai sensi dell’art. 12, comma 1, Cod. pen.; l’interpretazione in questione si inserisce nel solco delle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale che, con ordinanza 72/1997, dichiarò la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 12 Cod. pen., nella parte in cui impedisce il riconoscimento della sentenza straniera ai fini dell’individuazione del vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 671; con tale ordinanza il giudice delle leggi evidenziò che la disciplina del reato continuato postula il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati e pene) che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno, sicché «il riconoscimento della sentenza straniera agli effetti di quanto richiesto dal giudice a quo comporterebbe l’individuazione di un meccanismo che rendesse fra loro omologabili il reato giudicato all’estero e quello giudicato nello Stato nonché le pene in concreto irrogate nei due giudizi, posto che soltanto per questa via sarebbe possibile individuare la violazione più grave e determinare, in ragione di essa, l’aumento di una pena prevista dall’ordinamento interno» e che «l’applicazione della continuazione tra la condanna subita in Italia e le condanne all’estero determinerebbe una automatica invasione del giudicato estero al di fuori di qualsiasi meccanismo convenzionale, così restando totalmente eluso, fra l’altro, il principio della prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale, programmaticamente assunto a chiave di volta (art. 696) della disciplina dettata dal nuovo codice in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere»; le medesime considerazioni si impongono, a fortiori, nel caso, ricorrente nella specie, di richiesta di applicazione, rivolta al giudice dell’esecuzione italiano, della disciplina della continuazione fra reati per la cui commissione vi è stata condanna pronunciata da giudici elvetici con sentenze riconosciute in Italia ai fini della loro esecuzione nel territorio dello Stato; il giudice dell’esecuzione, al pari del giudice che il riconoscimento di tali sentenze effettuò in funzione della loro esecuzione in Italia, non può applicare la norma recata dall’art. 81, comma 2, Cod. pen. quanto ai reati accertati ed alle pene inflitte dal giudice elvetico, essendo obbligato, per vincolo derivato dal precetto contenuto nell’art. 10 della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, resa esecutiva con L. 334/1988, al rispetto della natura giuridica e della misura della sanzione così come stabilite dall’AG elvetica; l’interpretazione data della disciplina giuridica rilevante nel caso di specie non determina alcuna disparità di trattamento costituzionalmente rilevante (art. 3 Cost.) fra ipotesi di non applicazione, in sede di esecuzione della pena, della disciplina legale della continuazione fra reati accertati con sentenze di condanna emesse da giudice straniero in Italia riconosciute ai fini della loro esecuzione ed applicazione, ex art. 671, della medesima disciplina legale fra reati accertati con sentenze di condanna emesse da giudice italiano: e ciò sul rilievo della non identità fra discipline (Sez. 1, 16146/2018).

Nel caso di incompletezza o incertezza del dispositivo, il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il titolo esecutivo (sentenza passata in giudicato) e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi che siano necessari per le finalità esecutive con l’ausilio della motivazione, al fine di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per l’accoglimento o meno della richiesta avanzata dal condannato.

Tale potere di interpretazione si estende anche alle sentenze straniere, con la medesima estensione: cosicché si è ritenuto che la verifica dell’esistenza di circostanze aggravanti ostative alla concessione di misure alternative alla detenzione legittima il giudice, ove dal dispositivo della sentenza di riconoscimento di sentenza straniera non si traggano tutte le necessarie specificazioni, a far riferimento alla motivazione, e, se questa faccia integrale rinvio alla sentenza straniera, al testo di quest’ultima (Sez. 1, 49208/2016).

Il riconoscimento della sentenza penale straniera produce nell’ordinamento italiano i soli effetti indicati nell’art. 12 Cod. pen., tra i quali non è compresa, nemmeno quale effetto penale della condanna, la possibilità di rideterminare la pena “in melius” mediante l’unificazione del reato giudicato con detta sentenza ed altri oggetto di pronuncia del giudice nazionale, operazione che presuppone una valutazione di merito e, quindi, il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati e pene) che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno (Sez. 1, 35945/2015).

L’art. 3, comma 2, della L. 257/1989 (Disposizioni per l’attuazione di convenzioni internazionali aventi ad oggetto l’esecuzione delle sentenze penali) stabilisce che, con la sentenza di riconoscimento, la Corte d’Appello determina, sulla base della pena stabilita nella sentenza straniera, la pena, contemplata dalla legge italiana, che deve essere ancora eseguita e, inoltre, prevede che, nel determinare la pena, la corte di appello applichi i criteri previsti nell’articolo 10 della Convenzione.

Tale disposizione ha carattere di specialità rispetto all’art. 735, comma 2, che riguarda, in generale, tutti i casi di riconoscimento di una sentenza straniera ai fini dell’esecuzione Ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate e 3, comma 2, L. 257/1989, lo Stato di esecuzione è, quindi, vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione come stabilite dallo Stato di condanna, fatte salve la incompatibilità (per natura o durata) della sanzione e la possibilità di adattamento se la legge dello Stato di esecuzione lo esige.

Anche in quest’ultima ipotesi, peraltro, vanno rispettate, per quanto possibile, le “corrispondenze”, purché non ne risulti una sanzione più gravosa di quella imposta dallo Stato di condanna ovvero eccedente il massimo previsto dalla legge dello Stato di esecuzione (Sez. 1, 12297/2014).

È pacifico che laddove venga adottata dall’AG italiana una sentenza qual è quella esaminata in questa sede, non è più necessario un formale riconoscimento della sentenza di condanna straniera, discendendo la sua esecutività direttamente dalla legge interna di adeguamento e di implementazione della decisione quadro in materia di MAE: la pronuncia italiana di rifiuto della consegna per la causale innanzi, che contestualmente delibera il riconoscimento della sentenza di condanna straniera, determinando la pena che deve essere seguita nello Stato, costituisce valido titolo esecutivo in applicazione analogica dell’art. 735 (Sez. 6, 17960/2013).