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Art. 702 - Intervento dello Stato richiedente

1. A condizione di reciprocità, lo Stato richiedente ha la facoltà di intervenire nel procedimento davanti alla corte di appello e alla corte di cassazione facendosi rappresentare da un avvocato abilitato al patrocinio davanti all’autorità giudiziaria italiana.

Rassegna giurisprudenziale

Intervento dello Stato richiedente (art. 702)

L’intervento dello Stato richiedente è consentito, salvo diversa regolamentazione contenuta nelle convenzioni internazionali, sino a quando non siano compiuti gli adempimenti relativi al controllo della regolare costituzione delle parti nel procedimento camerale davanti alla Corte di appello competente a conoscere della domanda di consegna (Sez. 6, 14237/2017).

Nel procedimento di estradizione passiva, accanto ai soggetti giuridici essenziali (l’estradando con il suo difensore ed il PG presso la corte d’appello territorialmente competente ex art. 701, comma 4), è stata prevista dall’art. 702 la facoltà di intervento dello Stato richiedente, necessariamente rappresentato da un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi all’AG italiana.

Si tratta di una legittimazione “eventuale” a partecipare al giudizio dinanzi alla corte di appello ed alla Corte di cassazione, poiché l’intervento, di tipo volontario, è subordinato al rispetto della condizione derivante dal trattamento di reciprocità, ossia al consenso, da parte dell’Autorità straniera, alla piena partecipazione dello Stato italiano al procedimento, nella corrispondente evenienza di un’estradizione attiva.

Il codice di rito stabilisce, al fine di rendere paritaria la posizione del rappresentante dello Stato richiedente, una serie di adempimenti in funzione del contraddittorio che all’udienza camerale di cui all’art. 704 deve realizzarsi tra le parti interessate alla domanda estradizionale.

Tali adempimenti (la notificazione, ex art. 703, comma 5, dell’avvenuto deposito sia della requisitoria del PG, sia degli atti e delle cose sequestrate; la notificazione, ex art. 704, comma 1, del decreto di fissazione dell’udienza per la decisione) presuppongono in ogni caso, come chiaramente recitano le norme codicistiche, che lo Stato richiedente abbia nominato il suo rappresentante (dandone quindi comunicazione allo Stato italiano), al quale devono essere indirizzate le previste comunicazioni (Sez. 6, 10597/2018).

La condizione di reciprocità, alla quale è subordinata ai sensi dell’art. 702 la facoltà di intervento dello Stato estero nel procedimento di estrazione passiva, deve intendersi soddisfatta solo nella ipotesi in cui sia accertata la garanzia, da parte dello Stato richiedente, di una prestazione sostanzialmente “equivalente” in favore dello Stato italiano, corrispondente cioè al contenuto “materiale” del modello sostanziale di condotta delittuosa o dell’evenienza procedimentale che vengono in rilevo nel caso considerato (Sez. 6, 14237/2017).

L’assenza della condizione di reciprocità rende inammissibile la partecipazione dello Stato estero, per effetto di una declaratoria che può intervenire in qualunque stato del procedimento. In linea generale si distingue, al riguardo, fra una reciprocità internazionale stricto sensu intesa - le cui condizioni si verificano quando, in base ad una norma convenzionale, l’applicabilità di altre clausole dello stesso trattato è subordinata all’assunzione di analoga obbligazione da parte dell’altro Stato o all’esistenza di norme interne dell’altro Stato contraente che assicurino identico trattamento nella situazione prevista dalle norme del trattato - ed una reciprocità internazionale di fatto accertata attraverso il ripetuto comportamento reciproco degli Stati interessati alla collaborazione.

Secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, 301/1982), in materia di estradizione il principio di reciprocità non ha valore generale, automaticamente applicabile, ma trova applicazione solo se sia previsto da specifiche norme dello Stato italiano, come ad es. negli artt. 300 Cod. pen. o 16 Preleggi, oppure se la relativa clausola sia inserita nella convenzione internazionale, ovvero se sussista, in relazione a concreti rapporti, una reciprocità internazionale di fatto, indipendentemente da apposite clausole.

Salvo che la legge non estenda espressamente l’ambito di operatività del principio  il cui fondamento giustificativo è di carattere politico, sottolineando storicamente la sovranità piena e l’assoluta parità di posizione giuridica di ogni Stato nell’ordinamento internazionale  si riconosce per lo più l’esigenza di delimitarne in concreto l’ambito di applicazione per favorire la disponibilità degli Stati alla collaborazione, risultando assai problematico ipotizzare una reciprocità di carattere assoluto nei rapporti internazionali in conseguenza della difficile prospettabilità di situazioni identiche e perfettamente sovrapponibili nei relativi ordinamenti.

Pur dovendosi escludere, dunque, in ragione della inevitabile presenza di disposizioni normative non coincidenti o comunque non omogenee nelle legislazioni degli Stati interessati, che l’estradizione sia condizionata da un’identità di trattamento da parte dello Stato richiedente, e che il rispetto della condizione postuli necessariamente una simmetria di prestazioni, è evidente che la condizione di reciprocità deve intendersi soddisfatta solo nell’ipotesi in cui sia accertata la garanzia di una prestazione sostanzialmente “equivalente”, ossia corrispondente al contenuto non formale, ma “materiale”, del modello sostanziale di condotta delittuosa o dell’evenienza procedimentale che vengono in rilievo nel caso considerato (Sez. 6, 14237/2017).