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Art. 705 - Condizioni per la decisione

1. Quando non esiste convenzione o questa non dispone diversamente, la corte di appello pronuncia sentenza favorevole all’estradizione se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se esiste una sentenza irrevocabile di condanna e se, per lo stesso fatto, nei confronti della persona della quale è domandata l’estradizione, non è in corso procedimento penale né è stata pronunciata sentenza irrevocabile nello Stato.

2. La corte di appello pronuncia comunque sentenza contraria all’estradizione:

a) se, per il reato per il quale l’estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;

b) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l’estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato;

c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero alla pena di morte o a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.

c-bis) se ragioni di salute o di età comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta.

Rassegna giurisprudenziale

Condizioni per la decisione (art. 705)

In tema di estradizione esecutiva del cittadino italiano verso un paese dell'Unione Europea, la richiesta di esecuzione della pena detentiva nello Stato italiano, in ragione della cittadinanza dell'estradando e dei suoi legami familiari e lavorativi con il territorio, non può essere avanzata nella fase giurisdizionale della procedura, demandata alla corte di appello, non trovando applicazione il meccanismo di cooperazione giudiziaria disciplinato dalla decisione-quadro 2008/909/GAI, sul reciproco riconoscimento delle sentenze di condanna, e potendo la questione essere proposta dall'estradando nella fase amministrativa di competenza ministeriale (Sez. 6, 24559/2022).

La corte d’appello può fondare la propria decisione contraria, ai sensi degli artt. 705, comma secondo, lett. c), e 698, comma 1, sul provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni che abbia riconosciuto all’estradando lo “status” di protezione internazionale sussidiaria, per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l’estradizione. L’accertamento condotto dall’autorità amministrativa istituzionalmente chiamata a verificare la sussistenza dei presupposti di fatto legittimanti il riconoscimento della protezione internazionale non è vincolante per la giurisdizione a causa del principio della separazione dei poteri dello Stato: lo stesso, tuttavia, pur non determinando alcun effetto sospensivo della procedura estradizionale, ben può essere assunto dal Giudice come utile elemento di valutazione da porre a fondamento della propria decisione, ove sia ritenuto completo, certo e affidabile (Sez. 6, 3746/2014).

In tema di estradizione verso l’estero, la valutazione compiuta dalla corte d’appello concerne esclusivamente la legale possibilità della estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità, che rientra, invece, nell’esclusiva sfera di competenza del Ministro della Giustizia (Sez. 6, 26587/2008).

In tema di estradizione per l’estero, il divieto di pronuncia favorevole che l’art. 705, comma 2, lett. c), stabilisce per i casi in cui vi sia motivo di ritenere che l’estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui ciò sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, considerato nella sua veste istituzionale; si rimane pertanto al di fuori della previsione di legge nel caso in cui si prospetti il timore che l’estradando, una volta consegnato allo Stato richiedente, possa subire in quel paese atti di violenza ad opera di persone estranee agli apparati istituzionali, agenti di propria iniziativa, ben potendo tale pericolo essere tutelato con le opportune cautele di un ordinamento democratico (Sez. 6, 21647/2017).

Ai fini del dell’accertamento della condizione ostativa prevista dall’art. 705, comma 2, lett. c), la corte di appello deve valutare se sussiste un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, utilizzando, a tal fine, elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente e, verificata la sussistenza di tale rischio, deve svolgere un’indagine «mirata», anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l’interessato alla consegna sarà sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Sez. 6, 28822/2016).

L’emissione di una sentenza favorevole all’estradizione per l’estero non è esclusa dalla possibilità che all’estradando venga irrogata una pena detentiva a vita, purché l’ordinamento dello Stato richiesto preveda istituti che consentano di pervenire, in sede giudiziaria o amministrativa, ad una liberazione anticipata o ad una commutazione della pena, ove ricorrano ragioni umanitarie o progressi del condannato nel percorso rieducativo (Sez. 6, 5747/2014).

La Corte EDU, relativamente all’estradizione richiesta alla Spagna dagli Stati Uniti d’America di una imputata per un reato per il quale era prevista la pena massima della reclusione a vita, ha ritenuto insussistente la dedotta violazione dell’art. 3 CEDU, in quanto, a fronte dell’astratta possibilità della irrogazione di una siffatta pena, andava considerato che il sistema statunitense, attraverso le “U.S. Federal Sentencing Guidelines”, determina come in concreto per ogni reato debba essere applicata la pena. Determinazione che, come rilevato dalla stessa Corte EDU, risulta tutt’altro che non vincolante, posto che costituisce motivo di impugnazione la violazione nel sentencing delle suddette Linee-Guida. Orbene, la Corte EDU ha escluso la concretezza del rischio di un trattamento in violazione dell’art. 3 CEDU, sul rilievo che la ricorrente non aveva dimostrato che, sulla base delle Linee-Guida, la prospettiva della pena a vita non fosse soltanto teorica (Corte EDU, López Elorza c. Spagna del 12/12/2017).

I medesimi principi sono stati affermati in altre pronunce della stessa Corte EDU (sempre con riferimento ad estradizioni processuali richieste dagli Stati Uniti nelle quali era stata prospettata la possibilità dell’inflizione della pena a vitaIn tali casi, la Corte EDU ha rimarcato l’esistenza nel sistema statunitense, oltre alle circostanze di mitigazione e di aggravamento della pena di cui si è detto, anche di “pre-trial factors”, quali gli accordi di cooperazione con il governo che possono comportare una riduzione della pena, e di benefici premiali successivi alla condanna, che possono determinare la riduzione e la commutazione della pena se il condannato fornisce collaborazione con la giustizia (Corte EDU, sentenza Calovskis c. Lettonia, 24/07/2014; Corte EDU, decisione Findikoglu c. Germania del 7/06/2016). Ancorché l’ordinamento giudiziario statunitense ignori gli istituti del cumulo giuridico e del cumulo materiale temperato delle pene, tale regime di per sé non determina una violazione dell’art. 3 CEDU. In tal senso si è pronunciata la Corte EDU, in un caso relativo ad un’estradizione concessa dall’Italia agli Stati Uniti d’America (Corte EDU, Schuchter c. ITALIA, 11/10/2011), in quanto, anche a fronte del possibile ricorso del giudice di tale Stato ad un calcolo della pena in forma sequenziale, si sarebbe in presenza di una pena molto lunga, equivalente in pratica ad una reclusione a vita, di per sé non vietata dalla CEDU. La Corte EDU ha inoltre affermato, sempre con riferimento alle modalità di calcolo della pena nell’ordinamento statunitense, che i sistemi penali variano notevolmente tra Stati e che spesso esistono differenze legittime e ragionevoli in merito alla durata delle condanne inflitte anche per reati simili (Corte EDU, sentenza Calovskis c. Lettonia, 24/07/2014, § 141), derivanti dalle grandi differenze nelle condizioni civili, politiche, economiche, sociali e culturali nei paesi di tutto il mondo, che hanno determinato la costruzione dei sistemi di giustizia penale su principi e approcci diversi. In linea di principio, gli Stati sovrani decidono il modo migliore per affrontare i problemi che sorgono nei rispettivi territori, sempre a condizione che le risposte rimangano nella gamma di approcci ritenuti accettabili dagli Stati democratici. Le soluzioni applicate in uno Stato potrebbero non essere adatte ad un altro, con la conseguenza che una sentenza non può essere considerata sproporzionata semplicemente perché è più severa della condanna che verrebbe imposta in un altro Stato (Sez. 6, 14913/2018).

Non può divenire causa ostativa ad una pronuncia favorevole alla estradizione l’entità della pena prevista nell’ordinamento dello Stato richiedente per il reato oggetto di consegna, perché il regime sanzionatorio è riservato - fatta eccezione per il solo caso in cui sia prevista la pena capitale - alle diverse e autonome valutazioni dei due ordinamenti, reciprocamente insindacabili e irrilevanti ai fini dell’estradizione, salvo che vi sia motivo di ritenere che l’estradando possa essere sottoposto ad atti, pene o trattamenti indicati dall’art. 698, comma 1 (Sez. 6, 15927/2013).

La condizione prevista dall’art. 705, comma 1, e dall’art. 8 della Convenzione europea di estradizione sussiste unicamente nel caso in cui sia stata esercitata l’azione penale ovvero sia stata emessa un’ordinanza applicativa della custodia cautelare (Sez. 6, 26290/2013).

Non può certo costituire causa ostativa ex art. 705 ad una consegna estradizionale regolata in forma pattizia per l’adesione degli Stati richiedente e richiesto ad una convenzione internazionale di assistenza giudiziaria (convenzioni europee di estradizione del 1957 e sul trasferimento di persone condannate del 1983 e accordi bilaterali integrativi) la semplice evenienza che l’ordinamento straniero sia qualificato da garanzie processuali non simmetriche rispetto a quelle operanti nell’ordinamento italiano e in particolare di quelle derivanti dalla non piena coincidenza tra esecutività e irrevocabilità di una decisione di condanna (Sez. 6, 16928/2015).

Se è vero che in tema di estradizione per l’estero, l’assenza, nel regime normativo dello Stato richiedente, di una disciplina che contempli istituti penitenziari “avanzati” non comporta, di per sé, la violazione dei diritti fondamentali dell’individuo (Sez. 6, 5400/2009), dovendo l’attenzione concentrarsi, piuttosto, sull’esistenza di pratiche sistematiche di abusi e violazioni di diritti fondamentali ai danni dei detenuti, è vero però anche, al contrario, che l’introduzione, nello Stato richiedente, secondo una virtuosa linea di discontinuità con il passato, di istituti come l’espiazione della pena in regime non detentivo o la messa in prova, rispettosi dell’esigenza di risocializzazione del condannato, non può che costituire un concreto elemento di valutazione favorevole all’estradizione, imponendo la verifica se prassi di abuso e di violazione dei diritti fondamentali della persona sopravvivano con le stesse modalità sistematiche del passato nonostante le aperture umanitarie indotte dal novum legislativo (Sez. 2, 51657/2017).

La pronuncia ostativa all’estradizione, di cui all’art. 705, comma 2, lett. c), non può essere basata sulla documentazione tratta dal sito internet di Amnesty International, dal quale si evincano episodi occasionali di persecuzione o discriminazione denunciati in modo tale da non essere ritenuti come peculiari di un sistema (Sez. 6, 15626/2008).

Questa Corte, con riferimento ad una recente procedura estradizionale per l’estero riguardante la Bielorussia, ha rilevato che nel Rapporto 2015 del Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani in Bielorussia (documento O.N.U. A/HRC/29/43 del 29.4.2015), presentato alla ventinovesima Sessione del Consiglio dei Diritti Umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, erano stati evidenziati elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione in tale Stato, ed in particolare erano state evidenziate carenze sistemiche e generalizzate, che riguardavano determinati gruppi di persone e determinati centri di detenzione (Sez. 6, 24475/2016). Nella stessa pronuncia, la Corte, richiamando i principi già affermati in analoghe situazioni, ha ritenuto doveroso un approfondimento istruttorio per accertare l’eliminazione o la significativa attenuazione della negativa situazione denunciata nell’ambito dell’attività istituzionale dell’ONU (Sez. 6, 13931/2017).

Non risultano elementi inerenti alla sistematica violazione dei diritti fondamentali dei detenuti nello Stato richiedente (Macedonia), dal momento che le segnalazioni pervenute sono inerenti a specifiche e circoscritte condizioni locali, non derivanti da strutturali condizioni normative della situazione detentiva (Sez. 6, 9486/2017).

In applicazione della Convenzione europea di estradizione, la situazione di difficoltà e disagio derivante dall’allontanamento dell’estradando dalla sua famiglia radicata in Italia non integra alcuna delle condizioni ostative all’estradizione esecutiva, previste dall’art. 705, comma 2, spettando in ogni caso al Ministro la valutazione di opportunità in ordine alla tutela delle situazioni rappresentate dalla ricorrente (Sez. 6, 38137/2008).