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Art. 714 - Misure coercitive e sequestro

1 In ogni tempo la persona della quale è domandata l’estradizione può essere sottoposta, a richiesta del Ministro della giustizia, a misure coercitive. Parimenti, in ogni tempo, può essere disposto, a richiesta del ministro di grazia e giustizia, il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato per il quale è domandata l’estradizione.

2. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV, riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle degli articoli 273 e 280, e le disposizioni del capo III del titolo III del libro III. Nell’applicazione delle misure coercitive si tiene conto in particolare dell’esigenza di garantire che la persona della quale è domandata l’estradizione non si sottragga all’eventuale consegna.

3. Le misure coercitive e il sequestro non possono comunque essere disposti se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione.

4. Le misure coercitive sono revocate se dall’inizio della loro esecuzione è trascorso un anno senza che la corte di appello abbia pronunciato la sentenza favorevole all’estradizione ovvero, in caso di ricorso per cassazione contro tale sentenza, un anno e sei mesi senza che sia stato esaurito il procedimento davanti all’autorità giudiziaria. A richiesta del procuratore generale, detti termini possono essere prorogati, anche più volte, per un periodo complessivamente non superiore a tre mesi, quando è necessario procedere ad accertamenti di particolare complessità.

4-bis. Le misure coercitive sono altresì revocate se sono trascorsi tre mesi dalla pronuncia della decisione favorevole del Ministro della giustizia sulla richiesta di estradizione senza che l’estradando sia stato consegnato allo Stato richiedente. Il termine è sospeso dalla data di deposito del ricorso presentato al giudice amministrativo avverso la decisione del Ministro della giustizia, fino alla data di deposito della sentenza che rigetta il ricorso o della decisione che dichiara l’estinzione del giudizio, comunque per un periodo non superiore a sei mesi.

5. La competenza a provvedere a norma dei commi precedenti appartiene alla corte di appello o, nel corso del procedimento davanti alla corte di cassazione, alla corte medesima.

Rassegna giurisprudenziale

Misure coercitive e sequestro (art. 714)

Quando l’efficacia del decreto di estradizione venga sospesa da un’ordinanza del giudice amministrativo emessa mentre è già iniziata la fase della consegna, e alla consegna non si faccia luogo proprio in ragione di tale pronuncia, l’estradando, se detenuto, deve essere rimesso in libertà, poiché la legge non prevede l’intervento del giudice amministrativo come causa di sospensione o di proroga dei termini della misura restrittiva applicata, che non possono in nessun caso superare quelli inderogabili previsti per la consegna.

Si è precisato, peraltro, che il provvedimento di estradizione non perde in modo irreversibile la sua efficacia, sicché rimane integra la possibilità di porlo nuovamente in esecuzione, con la conseguente riapertura dei termini per la consegna, nel caso in cui il procedimento dinanzi al giudice amministrativo dovesse concludersi con il rigetto del ricorso.

All’interno di siffatta prospettiva, dunque, l’estensione temporale ex lege del trattamento cautelare applicato all’estradando (a seguito della definitività della decisione giudiziale favorevole alla consegna) deve considerarsi rigorosamente finalizzata alla sola esecuzione della consegna allo Stato richiedente, “entro i limiti inderogabili stabiliti dall’art. 708.

Ne discende che, una volta intervenuto il decreto di estradizione, lo status detentionis dell’estradando non può essere prolungato sine die, oltre gli stretti limiti indicati dall’art. 708, finanche in presenza di una causa di sospensione della consegna rappresentata da una pronuncia del giudice amministrativo, poiché una durata della coercizione personale che si protragga senza limiti temporali definiti dalla legge si porrebbe in palese contrasto con i principi fondamentali fissati dall’art. 13 Cost.

A fronte di tali evenienze, dunque, la conseguenza da trarre - nel caso dell’intervenuta scadenza dei termini fissati dall’art. 708 - non può che essere quella della revoca della misura cautelare in atto e della coeva scarcerazione dell’estradando, secondo una linea interpretativa che, ponendosi in sostanziale adesione con le argomentazioni già sviluppate dalle Sezioni unite (SU, 41540/2006), appare maggiormente rispettosa delle implicazioni de libertate sottese al quadro di principii e di garanzie delineato dalla Costituzione.

Un diverso orientamento giurisprudenziale (Sez. 6, 12451/2011) ha affermato, di contro, la perdurante efficacia dello stato di coercizione cautelare dell’estradando, la cui consegna sia sospesa per decisione del giudice amministrativo, muovendo dal presupposto che, a causa di tale ostacolo giuridico, è impedita l’ulteriore fissazione del termine per la consegna di cui all’art. 708, comma 5, sicché non può operare la perdita di efficacia della custodia prevista dal successivo comma 6, ma esclusivamente quello – generale e desumibile dal rinvio operato dall’art. 714 – connesso alla scadenza del termine massimo di durata delle misure coercitive di cui agli artt. 303 e 308.

Secondo tale indirizzo, pertanto, si è in presenza di un ostacolo o di una causa di forza maggiore rispetto alla valida prosecuzione della procedura esecutiva estradizionale, che non può ritenersi assimilabile alla ipotesi di sospensione prevista dall’art. 709 (decisa dal Ministro per esigenze di giustizia nazionale), né al caso di una eventuale inerzia ministeriale.

Inoltre, l’argomento usato nella su menzionata decisione SU, 41540/2006 non viene ritenuto condivisibile sul duplice assunto che la mera impugnazione del decreto ministeriale dinanzi alla giurisdizione amministrativa non fa venir meno l’attualità dell’esigenza cautelare del pericolo di fuga, connesso alla immediatezza della consegna, e che la sospensione disposta dal giudice amministrativo dipende da una mera istanza dell’estradando, la quale può celare una finalità meramente dilatoria, con la conseguenza che in tale ipotesi si rendono applicabili i termini di cui all’art. 303, ovvero la sospensione dei termini di cui all’art. 304 (Sez. 6, 10110/2006).

Siffatto contrasto giurisprudenziale, già portato all’attenzione delle Sezioni unite con l’ordinanza di rimessione Sez. 6, 30215/2011, non è stato risolto con la sentenza SU, 6624/2012, poiché le Sezioni unite ebbero a dichiarare l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Al riguardo, in linea generale, v’è da osservare che né l’art. 708, comma 5, né l’art. 18, comma 4, della Convenzione europea di estradizione del 1957 stabiliscono alcunché per l’ipotesi, che viene qui in rilievo, in cui l’efficacia del decreto ministeriale venga sospesa dal tribunale amministrativo regionale, in accoglimento dell’istanza formulata dall’estradando.

Con sentenza 123/2007, inoltre, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 708, comma 2, e 715, comma 6, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost. Sul punto, deve osservarsi come la Corte costituzionale abbia significativamente rilevato che i rimedi, in linea astratta, potrebbero essere molteplici, e derivare “o da una diversa interpretazione delle disposizioni in oggetto o da interventi del legislatore sulle procedure previste dalla legge in tema di libertà personale dell’estradando. Manca, in definitiva, ad avviso del Giudice delle leggi, “una soluzione costituzionalmente obbligata del dubbio prospettato dal giudice rimettente.

Nel caso in questione, invero, deve sottolinearsi come i peculiari effetti dell’evenienza procedimentale correlata alla sospensione della esecuzione della consegna a seguito di una decisione assunta dal giudice amministrativo non siano espressamente regolati dalla legge ai fini della durata della restrizione cautelare dell’estradando, né gli stessi paiono riconducibili, in via analogica, ad ipotesi di sospensione dei termini legate ad iniziative di parte direttamente incidenti sul procedimento in corso, derivando piuttosto dal concreto esercizio di forme di tutela giurisdizionale che lo stesso ordinamento giuridico espressamente riconosce all’estradando.

Il decreto ministeriale di estradizione, infatti, è ritenuto un atto di alta amministrazione di regola sindacabile da parte del giudice amministrativo, pur all’interno di limiti che lo stesso Consiglio di Stato ha rigorosamente tracciato, allorquando ha sottolineato che l’ordinamento vigente non consente al giudice amministrativo di acclarare la concedibilità tecnico-giuridica dell’estradizione e di ripercorrere ex novo  nel giudizio innescato dall’impugnazione del provvedimento amministrativo discrezionale che la concede  quelle stesse questioni di diritto soggettivo che hanno già formato compiuto oggetto dell’esame dell’autorità giudiziaria ordinaria nella pregressa fase giurisdizionale della procedura (Cons. Stato, Sez. IV n. 3286 del 12 giugno 2007).

Entro tale prospettiva, dunque, rimane precluso al giudice amministrativo ogni tipo di accertamento che si traduca nel riesame di provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice penale (allorché questi ha riscontrato la sussistenza delle condizioni tecnico-giuridiche di estradabilità), trattandosi di questioni concernenti lo status libertatis e comunque posizioni di diritto soggettivo coinvolte e vulnerate dalla procedura di estradizione (Cons. Stato, Sez. IV n. 1996 del 2000). Parimenti preclusa al giudice amministrativo rimane ogni indagine che esorbiti dal riscontro in seno al decreto di profili estrinseci di abnormità o illogicità, suscettibili in quanto tali dì essere apprezzati anche nella giurisdizione di legittimità.

Ne discende, in definitiva, che tale sindacato può riguardare i soli aspetti del provvedimento che siano discrezionali e, quindi, potenzialmente lesivi di interessi legittimi (non sussistendo in materia alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva), ma non può comunque investire il merito intrinseco di una scelta che l’ordinamento configura come ampiamente discrezionale.

In definitiva, deve ritenersi che, una volta intervenuto il decreto ministeriale di estradizione, la coercizione personale non può permanere oltre i limiti indicati dall’art. 708, anche se intervenga una causa di sospensione della consegna, come quando l’estradando debba essere giudicato nel territorio dello Stato o ivi scontare una pena (art. 709), o quando, come verificatosi nel caso di specie, l’esecutività del decreto ministeriale sia sospesa da una pronuncia adottata dall’autorità giudiziaria amministrativa (questa ricostruzione sistematica si deve a Sez. 6, 4338/2015).

I criteri di fondo cui si è ispirato il legislatore italiano vanno individuati, da un lato, nell’abbandono dell’idea che la custodia in carcere dell’estradando sia un elemento indispensabile del provvedimento di estradizione e, dall’altro lato, nel fatto che non v’è ragione per cui all’estradando, in tema di misure coercitive, non sia riservato lo stesso trattamento dell’imputato avanti al giudice.

Proprio tali criteri danno adeguata ragione della differenza di disciplina tra il procedimento di estradizione, al quale può partecipare, a condizione di reciprocità, lo Stato richiedente e il procedimento incidentale in materia di libertà ove, come in tutti i procedimenti incidentali in materia di libertà riguardanti il cittadino dinanzi al giudice italiano (libro IV codice di rito), gli unici soggetti protagonisti sono l’imputato (o l’indagato) ed il PM, senza alcuna possibilità di partecipazione di altri soggetti (parte offesa, parte civile, ecc.), ai quali non è consentita né interlocuzione (e quindi contraddittorio) né impugnazione sul tema della libertà, limitate esclusivamente al diretto interessato (assieme al suo difensore) ed al PM (Sez. 6, 14237/2017).

Ai sensi dell’art. 714, comma 2, la misura cautelare a corredo della procedura estradizionale è strettamente connessa alla finalità di assicurare che “la persona della quale è domandata l’estradizione non si sottragga all’eventuale consegna” e, dunque, all’esigenza di fare fronte al pericolo che l’estradando si dia alla fuga (Sez. 6, 46664/2016).

In tema d’estradizione per l’estero, è legittimo il ripristino d’ufficio della custodia cautelare a fini estradizionali, a seguito della violazione delle prescrizioni degli arresti domiciliari (Sez. 6, 44116/2008).

In tema di misure coercitive disposte nell’ambito di una procedura di estradizione passiva, il pericolo di fuga, intrinsecamente non graduabile ove ritenuto sussistente come nel caso in esame e che giustifica l’applicazione ed il permanere del provvedimento limitativo della libertà personale nella forma di massimo rigore, può essere inteso come pericolo di allontanamento dell’estradando dal territorio dello Stato richiesto, con conseguente rischio di inosservanza dell’obbligo assunto a livello internazionale di assicurarne la consegna al Paese richiedente, pericolo che deve comunque essere motivatamente fondato su elementi concreti, che abbiano cioè uno stretto legame nella realtà di fatto e che non siano basati su presunzioni o preconcette valutazioni di ordine generale, richiedendosi dunque che le circostanze prese in esame siano specifiche e rivelatrici di una vera propensione e di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte dell’estradando (Sez. 6, 51263/2015).

Ai fini dell’emissione di misure coercitive nei confronti di persona richiesta in estradizione dall’estero, devono ritenersi applicabili, ai sensi dell’art. 714, comma 2, e quindi nei limiti della compatibilità, le disposizioni di cui agli artt. 274 e 275, con la conseguenza che il giudice è tenuto a valutare la sussistenza del pericolo «concreto ed attuale» di fuga, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie, ivi compresa la personalità dell’estradando, che siano sintomatiche di una reale possibilità di un suo allontanamento clandestino.

Il citato richiamo all’art. 275 comporta che il giudice è tenuto a graduare l’afflittività della singola misura alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare, ben potendo la consegna estradizionale essere assicurata anche mediante cautele diverse dalla custodia in carcere (Sez. 6, 24572/2017).

L’art. 714 chiarisce che in tema di misure coercitive applicabili nel corso della proceduta estradizionale, esclusa ogni analisi sulla gravità indiziaria, ai sensi dell’art. 273 o sulle limitazioni inerenti alle pene edittali minime richieste per legittimare l’emissione del provvedimento restrittivo, secondo quanto previsto dall’art. 280, principi che evidentemente devono essere valutati sulla base della normativa straniera da parte del giudice richiedente, il giudice italiano è chiamato al rispetto delle ulteriori disposizioni in materia dettate dal codice di procedura.

Ne consegue che, anche in relazione alla verifica del pericolo di fuga debbano applicarsi le disposizioni di cui all’art. 274 lett. b) che, nella sua stesura attuale, a seguito della novella contenuta nella L. 47/2015, chiarisce che tale verifica non possa essere fondata sulla gravità del reato. In violazione di tale disposizione il provvedimento impugnato richiama a fondamento dell’accertamento proprio tale circostanza, unitamente alla conoscenza da parte dell’interessato del provvedimento coercitivo, circostanza, per un verso ovvia, per altro tautologica, posto che sempre la persona sottoposta alla misura provvisoria conosce l’esistenza della richiesta dello Stato straniero, cosicché la sua evocazione non aggiunge alcuna considerazione specifica sulla pericolosità in concreto della persona interessata dalla richiesta (Sez. 6, 20302/2017).

Nella procedura passiva di consegna, le misure coercitive non hanno un termine di durata autonomo e la L. 69/2005 non ne delimita la estensione temporale, poiché è lo stesso sviluppo del procedimento principale, che attiene alla decisione sulla consegna, ad essere sottoposto, diversamente dalle previsioni del sistema normativo estradizionale (ex art. 714 comma 4 e art. 715 comma 6), al rispetto di termini brevi, certi e perentori.

Ciò comporta che la durata massima della misura coercitiva coincide con quella della decisione sulla consegna e che la perdita di efficacia della custodia cautelare, così come di tutte le altre misure coercitive adottate per garantire la consegna si verifica soltanto quando la corte d’appello non decide entro il termine, ordinario o prorogato, stabilito dalla L. 69/2005, art. 17, comma 2 (Sez. 6, 6469/2017).

Non è applicabile alle misure cautelari ex art. 714 il divieto previsto dall’art. 275, comma 2-bis, di disporre la misura della custodia cautelare in carcere quando il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni, costituendo quest’ultima disposizione riguardante il diritto interno, per prognosi normativa in concreto che la caratterizza quanto alla misura della pena e alla sospensione condizionale della stessa.

D’altronde, il rinvio del su citato art. 714 alle disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito è operato solo in quanto le stesse risultino applicabili, dovendosi a tale fine tenere conto, in particolare, dell’esigenza di garantire che la persona della quale è domandata l’estradizione non si sottragga all’eventuale consegna (Sez. F, 35538/2016).

È ostativa alla consegna soltanto la omessa indicazione precisa del provvedimento restrittivo della libertà personale su cui si basa il MAE, dovendosi in questo senso interpretare la disposizione dettata dall’art. 6, comma 3, della L. 69/2005, che richiede l’allegazione al mandato di quel provvedimento (Sez. 6, 49612/2015).