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Art. 715 - Applicazione provvisoria di misure cautelari

1. Su domanda dello Stato estero e a richiesta motivata del Ministro della giustizia, la corte di appello può disporre, in via provvisoria, una misura coercitiva prima che la domanda di estradizione sia pervenuta.

2. La misura può essere disposta se:

a) lo Stato estero ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione;

b) lo Stato estero ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e delle pene previste per lo stesso, nonché gli elementi per l’esatta identificazione della persona;
c) vi è pericolo di fuga.

3. La competenza a disporre la misura appartiene, nell’ordine, alla corte di appello nel cui distretto la persona ha la residenza, la dimora o il domicilio ovvero alla corte di appello del distretto in cui risulta che la persona si trova. Se la competenza non può essere determinata nei modi così indicati, è competente la corte di appello di Roma.

4. La corte di appello può altresì disporre il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

5. Il Ministro della giustizia dà immediata comunicazione allo Stato estero dell’applicazione in via provvisoria della misura coercitiva e dell’eventuale sequestro.

6. Le misure cautelari sono revocate se entro quaranta giorni dalla predetta comunicazione non sono pervenuti al ministero degli affari esteri o a quello della giustizia la domanda di estradizione e i documenti previsti dall’articolo 700.

Rassegna giurisprudenziale

Applicazione provvisoria di misure cautelari (art. 715)

L’applicazione di una misura cautelare nel corso di procedura estradizionale è legittima in presenza dei tre requisiti legittimanti, secondo la disposizione di cui all’art. 715, costituiti dalla presenza di un provvedimento restrittivo emesso dello Stato estero richiedente nei confronti della persona richiesta, dell’individuazione degli indizi che consentono l’identificazione del ricercato nella persona richiesta, e nel pericolo di fuga (Sez. 6, 42859/2013).

Benché lo Stato estero possa, ai sensi dell’art. 715, richiedere l’emissione di una provvisoria misura coercitiva in danno del soggetto nei cui confronti la domanda di estradizione è “in itinere”, tale facoltà, finalizzata all’applicazione di una misura cautelare interinale, non gli attribuisce alcun potere di impugnazione in ordine alle vicende cautelari dell’estradando, ma rappresenta il mero presupposto di fatto in forza del quale è possibile procedere, su richiesta motivata del Ministro della Giustizia (e in vista dell’instauranda procedura di estradizione), all’applicazione provvisoria di una misura cautelare (Sez. 6, 14237/2017).

I criteri di fondo cui si è ispirato il legislatore italiano vanno individuati, da un lato, nell’abbandono dell’idea che la custodia in carcere dell’estradando sia un elemento indispensabile del provvedimento di estradizione e, dall’altro lato, nel fatto che non v’è ragione per cui all’estradando, in tema di misure coercitive, non sia riservato lo stesso trattamento dell’imputato avanti al giudice.

Proprio tali criteri danno adeguata ragione della differenza di disciplina tra il procedimento di estradizione, al quale può partecipare, a condizione di reciprocità, lo Stato richiedente e il procedimento incidentale in materia di libertà ove, come in tutti i procedimenti incidentali in materia di libertà riguardanti il cittadino dinanzi al giudice italiano (libro IV codice di rito), gli unici soggetti protagonisti sono l’imputato (o l’indagato) ed il PM, senza alcuna possibilità di partecipazione di altri soggetti (parte offesa, parte civile, ecc.), ai quali non è consentita né interlocuzione (e quindi contraddittorio) né impugnazione sul tema della libertà, limitate esclusivamente al diretto interessato (assieme al suo difensore) ed al PM (Sez. 6, 14237/2017).

Al fine di poter validamente avanzare richiesta di arresto provvisorio al fine di estradizione, la Convenzione richiede l’invio sia di una attestazione relativa all’esistenza di un mandato di arresto, sia di una dichiarazione attestante l’intenzione di avanzare formale domanda di estradizione (Sez. 6, 23861/2013).

In tema di misure coercitive disposte in via provvisoria nell’ambito di una procedura di estradizione passiva, la sussistenza del pericolo di fuga, che giustifica il mantenimento del provvedimento limitativo della libertà personale, attiene al pericolo di allontanamento dal territorio dello Stato richiesto con conseguente rischio di inosservanza dell’obbligo assunto a livello internazionale di rendere possibile ed effettiva la consegna dell’estradando al Paese richiedente, affinché risponda dei suoi comportamenti aventi rilevanza penale in quello Stato.

L’esigenza cautelare di contenimento del pericolo di fuga in una fattispecie di applicazione provvisoria di misura cautelare (art. 715 comma 2 lett. c), seppure destinata ad entrare in bilanciamento con il radicamento dell’estradando nel territorio dello Stato richiesto per un rapporto che vede accrescersi il pericolo quanto meno forte e penetrante sia la presenza del consegnando nel territorio, resta positivamente integrata dal giudizio sull’entità della pena applicabile là dove si tratti di pena contrassegnata da particolare rigore  (Sez. 6, 6664/2016).

Per il principio di prevalenza delle convenzioni internazionali, rammentato dall’art. 696, l’art. 715 viene in applicazione solo nei limiti di compatibilità con la convenzione europea di estradizione del 1957, che nella specie prevede all’art. 16 le modalità per avanzare la domanda di arresto provvisorio, tra le quali anche quella della diramazione tramite Interpol (organismo che veicola la domanda di arresto provvisorio, avente le caratteristiche previste dalla convenzione, attraverso i cosiddetti «avvisi rossi») (Sez. 6, 10981/2009).

Quanto al requisito della motivazione del provvedimento cautelare in base al quale il MAE è stato emesso, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che detto requisito non può essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio, ma è sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia dato “ragione” del provvedimento adottato; il che può realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (SU, 4614/2007).