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Art. 665 - Giudice competente

1. Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato.

2. Quando è stato proposto appello, se il provvedimento è stato confermato o riformato soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, è competente il giudice di primo grado; altrimenti è competente il giudice di appello.

3. Quando vi è stato ricorso per cassazione e questo è stato dichiarato inammissibile o rigettato ovvero quando la corte ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, è competente il giudice di primo grado, se il ricorso fu proposto contro provvedimento inappellabile ovvero a norma dell’articolo 569, e il giudice indicato nel comma 2 negli altri casi. Quando è stato pronunciato l’annullamento con rinvio, è competente il giudice di rinvio.

4. Se l’esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Tuttavia, se i provvedimenti sono stati emessi da giudici ordinari o giudici speciali, è competente in ogni caso il giudice ordinario.

4-bis. Se l’esecuzione concerne più provvedimenti emessi dal tribunale in composizione monocratica e collegiale, l’esecuzione è attribuita in ogni caso al collegio.

Rassegna giurisprudenziale

Giudice competente (art. 665)

L’elezione di domicilio presso lo studio del difensore, fatta dall’imputato nel procedimento di cognizione, cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza irrevocabile e, conseguentemente, non è utilizzabile per la fase esecutiva della pena e nel procedimento di sorveglianza (Sez. 3, 22778/2018).

Ai sensi dell’art. 665, comma 1, «competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato».l principio normativo trova poi un suo completamento nella regola dettata dal comma 2 della medesima norma, là dove si stabilisce che, in costanza di sentenza per la quale è stato proposto appello, giudice dell’esecuzione è il giudice di primo grado quando la sentenza di appello è stata confermativa di quella di prime cure ovvero ne ha riformato esclusivamente la pena; in caso contrario, quando cioè la sentenza di appello non è confermativa di quella di prime cure e l’ha riformata oltre il trattamento sanzionatorio, giudice dell’esecuzione è quello di secondo grado (Sez. 1, 35239/2018).

La disposizione contenuta nell’art. 665, comma 3, ultima parte, detta una speciale e autonoma regola attributiva della competenza in executivis, che prescinde dai criteri indicati nel comma 2 del medesimo articolo, sicché, in caso di annullamento con rinvio della sentenza di appello, giudice competente a conoscere dell’esecuzione del titolo è sempre il giudice di rinvio, indipendentemente dalla circostanza che egli abbia, o meno, confermato la sentenza di primo grado.

Tale regola, valevole addirittura in caso di annullamento con rinvio disposto solo nei confronti di altri coimputati, dovendo il giudice dell’esecuzione essere comunque individuato, rispetto a quelli per i quali la sentenza sia divenuta definitiva, nel giudice di rinvio, ancorché questi non si sia ancora pronunciato, è volta a tutelare l’esigenza della necessaria unitarietà della funzione di esecuzione, in modo che resti sempre concentrato in capo ad un unico giudice l’esercizio delle attribuzioni in materia (Sez. 1, 27228/2018).

In caso di annullamento con rinvio di ordinanza pronunciata dal giudice dell’esecuzione, non è configurabile l’incompatibilità del giudice che ha emesso il provvedimento annullato a pronunciarsi nuovamente in sede di rinvio (Sez. 4, 43026/2015).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 665, per asserita violazione degli artt. 3, 10, 24, 25 e 104 della Costituzione, sotto il profilo della mancata previsione di una incompatibilità del giudice che ha pronunciato la sentenza divenuta esecutiva a fungere da giudice dell’esecuzione della medesima, anche quando nella fase esecutiva si debba procedere a riesaminare il merito dei fatti; ciò in quanto non è ipotizzabile la ricusazione del giudice dell’esecuzione, posto che la competenza di quest’ultimo deriva inderogabilmente dalla sua identificazione con il giudice della fase cognitiva e che, nell’ambito di detta competenza, non può configurarsi alcuna divaricazione fra l’intervenuto giudicato e l’oggetto della deliberazione da adottarsi in executivis (Sez. 5, 18522/2017).

Nei procedimenti con pluralità di imputati la competenza del giudice di appello a provvedere in executivis va affermata non solo rispetto a quelli per cui la sentenza di primo grado è stata sostanzialmente riformata, ma anche rispetto a quelli nei cui confronti la decisione di primo grado sia stata confermata (Sez. 1, 10676/2015).

Sussiste la competenza del giudice di appello in fase esecutiva, ai sensi dell’art. 665, comma 2, qualora tale giudice, in sede di cognizione, abbia anche soltanto concesso le circostanze attenuanti generiche (Sez. 1, 34578/2017) o abbia anche solo modificato il giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e attenuanti (Sez. 1, 32214/2015), atteso che, in tale caso, il provvedimento di riforma della sentenza di primo grado non sarebbe limitato alla sola determinazione della pena, sostanziandosi in un intervento di elaborazione sostanziale della pronuncia del primo giudice, incidente soltanto in via indiretta sulla misura della pena (Sez. 1, 39577/2018).

È principio consolidato che la competenza del giudice dell’esecuzione ha carattere funzionale, quindi assoluto e inderogabile e che – per ragioni di economia e di razionalità dell’ordinamento, che impongono che l’esecuzione di un provvedimento debba essere per quanto possibile demandata allo stesso giudice – essa discende, ex art. 665, comma 4, in modo unitario dalla sentenza divenuta irrevocabile per ultima, quale che sia l’oggetto sul quale sia chiamato a pronunziarsi il giudice dell’esecuzione (Sez. 1, 15711/2003, richiamata adesivamente da Sez. 1, 35239/2018).

La disposizione di cui all’art. 665 comma 4, prima parte, secondo cui “se l’esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo”, va coordinata con il principio della perpetuatio iurisdictionis, dovendosi avere riguardo, nell’individuazione del provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, alla data della richiesta formulata in sede esecutiva (Sez. 1, 39883/2018).

In caso di esecuzione di una pluralità di provvedimenti emessi da giudici diversi, la competenza appartiene al giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, anche quando questo è costituito da una sentenza di proscioglimento, a condizione che tale sentenza comporti effetti esecutivi per effetto dei quali deve essere inserita nel casellario giudiziale oppure, pur non dovendo essere inserita nel casellario giudiziale, contenga statuizioni geneticamente idonee ad investire il giudice dell’esecuzione (Sez. 1, 9547/2018).

In caso di pluralità di provvedimenti da eseguire, la competenza a decidere appartiene al giudice che ha pronunciato la condanna divenuta irrevocabile per ultima, anche se essa non sia compresa tra quelle da prendere in considerazione ai fini del provvedimento da emanare, dovendo ogni questione che incide sulla esecuzione finale essere decisa dall’unico organo giurisdizionale individuato per la fase esecutiva dal disposto dell’art. 665, comma 4 (Sez. 1, 38655/2018).

La regola dettata dall’art. 665, comma 4-bis, per la quale la competenza in ordine all’esecuzione di più provvedimenti emessi dal tribunale in composizione monocratica e collegiale appartiene in ogni caso al collegio, è riferita alla sola ipotesi di pluralità di provvedimenti pronunciati dallo stesso tribunale, mentre, nel caso di provvedimenti emessi da giudici diversi, trova applicazione la regola generale fissata dal comma 4 dell’art. 665 secondo cui è competente il giudice, monocratico o collegiale che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo (Sez. 7, 35391/2018).

Avverso il diniego di sospensione dell’ordine di carcerazione, deciso dal PM e di cui si lamenti l’illegittimità, è possibile proporre incidente di esecuzione innanzi al giudice indicato dall’art. 665, secondo il procedimento dettato dal successivo art. 666 (Sez. 1, 35218/2018).

Il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di sostituzione della pena dell’ergastolo inflitta con sentenza irrevocabile in applicazione dell’art. 7, comma 1, DL/2000, dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117 Cost. in riferimento all’art. 7, par. 1 CEDU, con quella temporanea di anni trenta di reclusione, ove riconosca il diritto del condannato a beneficiare di tale trattamento più favorevole, previsto dall’art. 30, comma 1, lett. b), L. 479/1999, deve provvedere, incidendo sul giudicato, alla sollecitata sostituzione, avvalendosi dei poteri previsti dagli artt. 665, 666 e 670 (SU, 18821/2014).

La riflessione sull’esperibilità del rimedio di cui all’art. 625-bis avverso un’ordinanza della Corte di cassazione sul ricorso proposto contro provvedimento del giudice dell’esecuzione, adito in materia di sostituzione dell’ergastolo con la pena di trenta anni di reclusione non può prescindere dalle coordinate tracciate dalle Sezioni unite (SU, 13199/2017), che hanno definito i confini del rimedio straordinario attivato dalla parte.

Ebbene, le Sezioni unite, hanno, in primo luogo, osservato che sono suscettibili di ricorso straordinario solo le decisioni della Corte di cassazione che contribuiscano alla “stabilizzazione” del giudicato e che, «collocandosi nel cono d’ombra dell’accertamento della responsabilità penale (o anche civile) della persona interessata», riaffermino comunque l’ambito del giudicato stesso; hanno inoltre chiarito che i provvedimenti in materia di esecuzione possono essere oggetto del rimedio ex art. 625-bis solo quando vi sia un nesso funzionale tra la decisione della Corte ed il giudicato, richiamando, in via esemplificativa, i casi di cui agli artt. 671, 673, da una parte, e 670 dall’altra, laddove la valutazione del giudice comporta, rispettivamente, un intervento manipolativo sul giudicato ovvero la messa in discussione del suo perfezionamento.

Se ne deve dedurre, quanto al provvedimento sub iudice, che esso, non collocandosi nel “cono d’ombra” di cui hanno scritto le Sezioni unite, ma attenendo solo alla determinazione della sanzione, deve essere escluso dal novero dei provvedimenti impugnabili ex art. 625-bis (Sez. 5, 21939/2018).

La pena dell’ergastolo inflitta all’esito del giudizio abbreviato, richiesto dall’interessato in base all’art. 30, comma 1, lett. b), L. 479/1999, ma conclusosi nel vigore della successiva e più rigorosa disciplina dettata dall’art. 7, comma 1, DL 341/2000 e in concreto applicata, non può essere ulteriormente eseguita, essendo stata quest’ultima norma ritenuta, successivamente al giudicato, non conforme al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, e dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost.

Il giudice dell’esecuzione, investito del relativo incidente ad istanza di parte e avvalendosi dei suoi poteri di controllo sulla permanente legittimità della pena in esecuzione, è legittimato a sostituirla, incidendo sul giudicato, con quella di anni trenta di reclusione, prevista dalla più favorevole norma vigente al momento della richiesta del rito semplificato (SU, 18821/2014).

In caso di condanna per reato urbanistico che ometta di ordinare la demolizione delle opere abusive, o di condanna per reato paesaggistico che ometta di ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato: a) è possibile rimediare alla omissione attraverso la procedura di correzione dell’errore materiale ex art. 130; b) competente al riguardo è il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, nonché il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, ma non il giudice della esecuzione, che non ha una competenza specifica in materia (Sez. 3, 35200/2016).

La sede per l’analisi dell’istanza di unificazione di diversi titoli di reato ex art. 81 cpv. Cod. pen. è quella dell’esecuzione, nel corso della quale il giudice individuato ai sensi dell’art. 665, procede all’esame dei differenti provvedimenti individuando, ove ritenga sussistere l’unicità del disegno criminoso, il reato più grave per poi stabilire gli aumenti per i c.d. reati satellite (Sez. 4, 34315/2018).

Nel caso in cui, in sede di cognizione, non si sia provveduto sui beni sequestrati la competenza è radicata, ai sensi dell’art. 676 nel giudice dell’esecuzione - “ ... competente a decidere in ordine ... alla confisca e alla restituzione delle cose sequestrate ...” -, da individuare, ai sensi dell’art. 665, nel giudice che ha pronunciato il provvedimento di cognizione che ha definito il procedimento nel corso del quale era stato disposto il sequestro preventivo.

L’ordinamento è ispirato al principio della unicità del giudice dell’esecuzione in relazione al medesimo procedimento, e dunque la competenza, in executivis, del giudice che ha pronunciato il provvedimento di cognizione riguarda anche quelle statuizioni che in sede di cognizione dovevano essere adottate, quali sono quelle previste dall’art. 323 (Sez. 1, 28318/2018).

Non rientra tra i poteri del giudice dell’esecuzione rilevare e correggere vizi originari della decisione irrevocabile e, d’altro canto, l’incidente di esecuzione non può essere trasformato in un anomalo mezzo di impugnazione.

Non è consentito quindi al giudice dell’esecuzione apportare modifiche alla decisione medesima con inserimento di elementi non inclusi nella “ratio decidendi” e tali da alternare il contenuto essenziale della decisione già adottata (fattispecie in cui la Corte ha annullato un provvedimento del giudice dell’esecuzione che, avvalendosi della procedura ex art. 130, ha corretto una sentenza che aveva concesso all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena unitamente a quello della sostituzione della pena medesima con un lavoro di pubblica utilità, pur trattandosi di benefici non cumulabili) (Sez. 1, 31046/2018).

La distruzione delle cose confiscate, ordinata dal giudice in sentenza, o nel decreto penale, è regolata - fuori dei casi in cui soccorrano specifiche disposizioni (come l’art. 6 L. 152/1975, in materia di armi, o l’art. 87 DPR 309/1990, in materia di sostanze stupefacenti) - dall’art. 86 Att.

La norma, di carattere generale, prevede che sia la cancelleria a curare d’ufficio l’esecuzione della statuizione, divenuta irrevocabile, affidando se necessario a terzi il relativo incarico. Il suo assolvimento da parte del soggetto onerato costituisce una «servitù» di giustizia, nell’ambito di procedimento che ha all’evidenza natura amministrativa. I costi connessi rientrano tra le spese straordinarie di cui all’art. 70 DPR 115/2002 e sono riconosciuti e liquidati secondo le modalità ivi richiamate.

Non è dubitabile che il giudice, autore della confisca, conservi in materia poteri d’intervento. È lo stesso art. 86 che stabilisce che il medesimo possa, alternativamente, delegare la distruzione alla PG che ha eseguito il sequestro, ed è evidente che spetti a lui definire eventuali questioni che insorgano in tale fase, inclusa, in presenza di contestazioni sul punto, la definitiva attribuzione dell’incarico.

Tale intervento è intestato dalla legge, in modo puntuale, al giudice che ha adottato il provvedimento ablatorio sul bene destinato alla distruzione. Ancorché soggettivamente riservato, per ragioni di controllo e garanzia, all’organo giurisdizionale, esso conserva un contenuto sostanzialmente amministrativo, essendo inidoneo ad incidere su posizioni di terzi giuridicamente tutelate e non costituendo, come tale, manifestazione di giurisdizione esecutiva. Non soccorrono, dunque, le regole attributive di competenza, per tale giurisdizione dettate dall’art. 665 (Sez. 1, 41216/2018).

La pena applicata con la sentenza di patteggiamento avente ad oggetto uno o più delitti previsti dall’art. 73 DPR 309/1990, relativi alle droghe cosiddette leggere, divenuta irrevocabile prima della sentenza 32/2014 della Corte costituzionale, può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena illegale.

La rideterminazione avviene ad iniziativa delle parti, con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 Att., sottoponendo al giudice dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo. In caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice dell’esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 Cod. pen. (SU, 37107/2015).

Nel caso in cui l’esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio (SU, 2/2015).

L’art. 40 DLGS 274/2000 al comma 1 stabilisce che "salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice di pace che l'ha emesso" mentre al comma 5 precisa che il giudice di pace è il giudice dell'esecuzione pur quando il provvedimento da eseguire sia stato comunque riformato derogando alla norma, d'ordine generale, di cui all'art. 665 secondo cui, nel caso il provvedimento da eseguire sia stato riformato in grado di appello, salvo che la modifica abbia riguardato soltanto la pena, le misure di sicurezza o le disposizioni civili, il giudice dell'esecuzione non è più quello che ha emesso il provvedimento ma il giudice della riforma, quindi il giudice di appello; pertanto, la competenza come giudice dell'esecuzione in riferimento ai provvedimenti del giudice di pace spetta in ogni caso al giudice di pace che ha emesso il provvedimento e mai al Tribunale che, come giudice di appello, ne abbia decretato la riforma (Sez. 1, 35618/2021).