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Art. 676 - Altre competenze

1. Il giudice dell’esecuzione è competente a decidere in ordine all’estinzione del reato dopo la condanna, all’estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all’affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell’esecuzione procede a norma dell’articolo 667 comma 4.

2. Qualora sorga controversia sulla proprietà delle cose confiscate, si applica la disposizione dell’articolo 263 comma 3.

3. Quando accerta l’estinzione del reato o della pena, il giudice dell’esecuzione la dichiara anche di ufficio adottando i provvedimenti conseguenti.

Rassegna giurisprudenziale

Altre competenze (art. 676)

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 666 comma 3, 667 comma 4 e 676 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione nelle forme dell’udienza pubblica (Corte costituzionale, sentenza 109/2015).

Avverso la decisione emessa in sede esecutiva in tema di confisca (anche nella ipotesi di avvenuta trattazione in contraddittorio della domanda) è previsto il particolare rimedio della opposizione che assicura una doppia valutazione di merito e non il ricorso per cassazione (Sez. 1, 30124/2021).

Non rientra nei poteri del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato oggetto della sentenza definitiva di condanna, maturata nella pendenza del procedimento di cognizione, in quanto le cause di estinzione del reato che possono essere dichiarate in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 676, sono esclusivamente quelle che operano dopo il passaggio in giudicato della condanna (Sez. 7, 35982/2018).

Anche in sede esecutiva è possibile la dichiarazione di prescrizione del reato nelle ipotesi di rideterminazione della pena, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma di cui all’art. 181, comma 1-bis, D. Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), qualora la prescrizione – come nel caso in oggetto – sia maturata in pendenza del procedimento di cognizione (Sez. 3, 38712/2018).

Nel procedimento di esecuzione, il difensore del terzo interessato, in quanto portatore di interessi meramente civilistici, è legittimato a proporre la richiesta di restituzione dei beni sequestrati o confiscati solo se munito di procura speciale ai sensi dell’art. 100 (Sez. 1,3636/2022).

L’opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104 disp. att. c.p.p.), che deve essere antecedente a quella del pignoramento immobiliare, venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca, anche successivamente all’acquisto. Diversamente, se la trascrizione del sequestro è successiva, il bene deve ritenersi appartenente al terzo pleno iure, con conseguente impossibilità della confisca posteriore all’acquisto (La Corte ha giudicato infondato il motivo di ricorso attraverso il quale si è sostenuta, da parte del giudice a quo, la violazione del principio "pretium succedit in locum rei" e della stabilità degli effetti delle vendite giudiziarie, nonché l’erronea applicazione dell’art. 2915 c.c. in quanto, ai fini della tutela dell’aggiudicatario, secondo il ricorrente occorrerebbe tenere conto della condotta dell’autorità giudiziaria che ha disposto la prosecuzione della procedura di vendita forzata pur in presenza della trascrizione del sequestro penale, al fine di verificare se, nel bando concernente la vendita di quell’immobile, fosse stato dato atto della presenza del sequestro. Ha replicato la Corte sul punto che, trattandosi di bene immobile, la tutela dei diritti dei soggetti interessati si opera, in forza delle norme del codice civile (art. 2643 c.c. e seguenti), con le trascrizioni e le iscrizioni nei registri immobiliari e con l’applicazione dei principi in materia di anteriorità delle stesse) (Sez. 1, 3636/2022).

Il provvedimento di confisca dei beni sequestrati ex art. 12 sexies decreto-legge n. 306 del 1992, contenuto nella sentenza di condanna - al quale deve essere assimilata la sentenza di applicazione della pena -, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al giudizio di merito. Ne consegue che soltanto i
soggetti che non hanno rivestito la qualità di parte nel processo penale in cui è stata disposta la confisca sono legittimati a fare valere davanti al giudice dell’esecuzione i diritti vantati sui beni confiscati con una decisione irrevocabile (Sez. 1, 449/2022).

Nel caso in cui, in sede di cognizione, non si sia provveduto sui beni sequestrati la competenza è radicata, ai sensi dell’art. 676 nel giudice dell’esecuzione - “ ... competente a decidere in ordine ... alla confisca e alla restituzione delle cose sequestrate ...” -, da individuare, ai sensi dell’art. 665, nel giudice che ha pronunciato il provvedimento di cognizione che ha definito il procedimento nel corso del quale era stato disposto il sequestro preventivo. L’ordinamento è ispirato al principio della unicità del giudice dell’esecuzione in relazione al medesimo procedimento, e dunque la competenza, in executivis, del giudice che ha pronunciato il provvedimento di cognizione riguarda anche quelle statuizioni che in sede di cognizione dovevano essere adottate, quali sono quelle previste dall’art. 323 (Sez. 1, 28318/2018).

A norma dell’art. 676, il giudice dell’esecuzione provvede, in ordine alla confisca o restituzione delle cose sequestrate, ai sensi dell’art. 667, comma 4, e dunque con ordinanza de plano, da comunicare alle parti, contro la quale è proponibile opposizione allo stesso giudice (Sez. 1, 28318/2018).

A norma dell’articolo 676, il giudice dell’esecuzione è competente a decidere, tra l’altro, in ordine alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate, con la procedura de plano di cui all’art. 667, comma 4. Avverso l’ordinanza assunta dal giudice dell’esecuzione le parti possono proporre opposizione a norma dell’art. 666, dando quindi luogo a nuovo esame della richiesta formulata dalla parte. È costante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità nell’affermare che avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione di confisca di beni sequestrati occorre proporre opposizione davanti allo stesso giudice. Tuttavia, ove irritualmente sia proposto il ricorso per cassazione, esso non deve essere dichiarato inammissibile ma deve, in applicazione del principio di conservazione degli atti, essere qualificato come opposizione contro il provvedimento censurato e trasmesso al giudice dell’esecuzione (Sez. 1, 44991/2018).

La confisca del mezzo di trasporto utilizzato per il trasporto dei tabacchi di contrabbando è obbligatoria ai sensi dell’art. 301 DPR 43/1973. Ne segue che l’omessa statuizione, nella sentenza di condanna, in ordine alla destinazione del mezzo non comporta la caducazione del vincolo imposto con il provvedimento ablativo, i cui effetti permangono fino a un successivo provvedimento di revoca o di dissequestro del sequestro, e considerando che la confisca può essere disposta non solo nell’eventuale giudizio di appello, ma anche dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 676, comma 1 (Sez. 3, 47496/2018).

La sola persona legittimata ad invocare la restituzione della vettura confiscata è la sua proprietaria, persona diversa dall’imputato, che potrà azionare la sua pretesa anche davanti al giudice dell’esecuzione penale (art. 676). In ogni caso l’imputato non proprietario ha l’onere di dimostrare, con il ricorso o con memoria difensiva, di vantare personale interesse, concreto e attuale, ad ottenere la restituzione dell’autovettura (Sez. 4, 38224/2018).

Dopo il passaggio in giudicato del provvedimento giurisdizionale spetta al giudice della esecuzione la competenza a conoscere di tutte le questioni attinenti alla esecuzione del provvedimento stesso (art. 666), nonché delle questioni specificamente attribuitegli dall’art. 676, fra le quali soprattutto rilevano, per il tema di cui trattasi, quelle relative alle pene accessorie, alla confisca e alla restituzione delle cose sequestrate. In nessun modo, però, possono rientrare tra queste competenze specifiche, proprio per il divieto di interpretazione analogica, quelle relative ad alcune sanzioni amministrative accessorie, come l’ordine di demolizione delle opere abusive o l’ordine di rimessione in pristino dopo una condanna, rispettivamente, per reato urbanistico o per reato paesaggistico, sanzioni che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, da una parte sono tipicamente diverse dalle pene accessorie e dall’altra divergono strutturalmente e funzionalmente dalla confisca (Sez. 3, 39272/2018).

In caso di condanna per reato urbanistico che ometta di ordinare la demolizione delle opere abusive, o di condanna per reato paesaggistico che ometta di ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato: a) è possibile rimediare alla omissione attraverso la procedura di correzione dell’errore materiale ex art. 130; b) competente al riguardo è il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, nonché il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, ma non il giudice della esecuzione, che non ha una competenza specifica in materia (Sez. 3, 39272/2018).

La confisca dei beni patrimoniali dei quali il condannato per determinati reati non sia in grado di giustificare la provenienza, prevista dall’articolo 12-sexies L. 356/92 può pacificamente essere disposta anche dal giudice dell’esecuzione, che provvede “de plano”, a norma degli articoli 676 e 667, comma 4, o all’esito di procedura in contraddittorio a norma dell’art. 666, salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione, con conseguente preclusione processuale. La statuizione di confisca può essere adottata dal giudice dell’esecuzione sulla base di elementi acquisiti successivamente addirittura anche rispetto al giudicato di cognizione, purché in contraddittorio (Sez. 2, 38034/2018).

In tema di procedimento di esecuzione, nell’ambito del quale venga disposto un provvedimento di confisca, per “interessato” - al quale deve essere notificata la decisione e, a pena di nullità assoluta e insanabile, l’avviso dell’udienza per decidere sulla conseguente opposizione - si deve intendere non solo chi ha presentato l’istanza, ma anche chi, sulla base degli atti del procedimento e al momento della decisione, risulta essere formalmente il titolare del bene (Sez. 5, 13099/2021).

Compete al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 676, delibare le questioni in tema di indulto procedendo con il rito disciplinato dall’art. 667, comma 4. Quando il giudice dell’esecuzione abbia reso il provvedimento de plano, ma anche lì dove abbia irritualmente anticipato il contraddittorio a tale prima fase, gli interessati possono proporre solo opposizione innanzi allo stesso giudice dell’esecuzione, che dovrà trattare le relative questioni in procedimento camerale partecipato (Sez. 1, 47058/2018).

Il termine di prescrizione della pena pecuniaria individuato dall’art. 172, comma 3, Cod. pen., viene determinato “per relationem”, in funzione di quello applicabile alla pena detentiva congiuntamente inflitta e non è influenzato da vicende successive, quali quelle concernenti l’esecuzione della predetta sanzione detentiva (Sez. 1, 19736/2013).

Sino a quando l’esecuzione della pena è in atto, per definizione il rapporto esecutivo non può ritenersi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente illegittima sono ancora perduranti e, dunque, possono e devono essere rimossi (Sez. 3, 38691/2017).

L’art. 676 contiene un’elencazione tassativa delle altre competenze del giudice dell’esecuzione, disponendo che in tali casi si “procede a norma dell’art. 667, comma 4”, e tra esse non compaiono quelle relative alle sanzioni amministrative accessorie, non potendo esse rientrare per esplicito disposto normativo tra le pene accessorie (Sez. 1, 49291/2016).

L’ordine di demolizione della costruzione abusiva, avendo natura di sanzione amministrativa la cui applicazione è eccezionalmente demandata (ove non abbia già provveduto l’autorità amministrativa) al giudice penale, e non essendo quindi qualificabile come sanzione penale accessoria o come effetto penale della condanna, resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2.

La natura sostanzialmente amministrativa rende non applicabili, anche in via analogica, le norme relative all’estinzione della pena o del reato, trattandosi di misura oggettivamente amministrativa, adottata dall’AG penale in virtù di un’esigenza di celerità ed effettività del procedimento (Sez. 3, 9948/2016).

L’intervento del giudice della esecuzione può consistere  in caso di obbligatorietà della confisca ed anche lì dove vi sia definizione ai sensi dell’art. 444  in un provvedimento ablatorio che trovi la sua ragione giustificatrice nei contenuti fattuali della decisione di applicazione della pena (Sez. 1,43494/2013).

L’intervento del giudice della esecuzione – in ipotesi di confisca obbligatoria per equivalente – resta possibile anche in sede esecutiva (trattandosi di un completamento delle conseguenze della decisione previsto direttamente dalla legge) sempre che il provvedimento conclusivo della fase cognitiva (sia essa realizzata nelle forme del dibattimento ordinario o in quelle del rito abbreviato o del patteggiamento) consenta, nella sua globalità, di individuare con la necessaria precisione il «valore» corrispondente al profitto o al prezzo del reato, posto che tale è l’elemento che il sistema processuale richiede come «dato di partenza» della successiva ablazione .

In altre parole, una volta che la decisione con cui si conclude la fase cognitiva consenta di individuare detto «valore» il condannato, anche con sentenza emessa ai sensi dell’art. 444, resta esposto (nonostante il patteggiamento sulla pena) alla aggressione patrimoniale lì dove sopravvenga la individuazione di beni «corrispondenti» al valore medesimo (o di valore inferiore), atteso che il giudice dell’esecuzione, muovendosi all’interno di detto limite, ben può verificare l’esistenza dell’ulteriore presupposto previsto dalla legge, ossia la «disponibilità» di detti beni in capo al condannato.

Tale tipologia di accertamento, infatti, non contrasta con i poteri del giudice dell’esecuzione cui non è estraneo il potere di «completamento» della fattispecie legale posta a carico del condannato lì dove la stessa sia connotata da doverosità (si vedano i poteri in tema di applicazione di pene accessorie in sede esecutiva ai sensi dell’art. 676 e 183 Att. conseguenti a decisione di patteggiamento (Sez. 1, 49075/2015).

Se il giudice della cognizione, con decisione irrevocabile, ha disposto in ordine alia confisca dei beni ovvero alia restituzione delle cose sequestrate ovvero alla distruzione delle stesse (si pensi anche alla distruzione delle sostanze stupefacenti), non vi è più spazio per una competenza del giudice della esecuzione ex art. 676, salvo che, in ordine alle concrete modalità esecutive dei provvedimenti definitivi già adottati, sorga controversia tra le parti che richieda l’intervento e la decisione di un organo super partes (analogamente a quanto previsto dall’art. 676 comma 2 in caso di controversia sulla proprietà delle cose confiscate (Sez. 3, 28456/2014).

L’applicazione di una pena accessoria extra o contra legem da parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione (SU, 6240/2015).