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Art. 675 - Falsità di documenti

1. Se la falsità di un atto o di un documento, accertata a norma dell’articolo 537, non è stata dichiarata nel dispositivo della sentenza e non è stata proposta impugnazione per questo capo, ogni interessato può chiedere al giudice dell’esecuzione che la dichiari.

2. La cancellazione totale del documento, disposta dal giudice della cognizione o dell’esecuzione, è eseguita mediante annotazione della sentenza o dell’ordinanza a margine di ciascuna pagina del medesimo e attestazione di tale adempimento nel verbale, con la dichiarazione che il documento non può avere alcun effetto giuridico. Il documento rimane allegato al verbale e una copia di questo è rilasciata in sostituzione del documento stesso a chi lo possedeva o lo aveva in deposito, quando la copia è stata richiesta per un legittimo interesse.

3. Negli altri casi, il testo del documento, quale risulta in seguito alla cancellazione parziale o alla ripristinazione, rinnovazione o riforma, è inserito per intero nel verbale. Se il documento era in deposito pubblico, è restituito al depositario unitamente a una copia autentica del verbale a cui deve rimanere allegato. Se il documento era posseduto da un privato, la cancelleria lo conserva allegato al verbale e ne rilascia copia quando questa è richiesta per un legittimo interesse. Tale copia vale come originale per ogni effetto giuridico.

4. Per l’osservanza dei predetti adempimenti, il giudice o il presidente del collegio dà le disposizioni occorrenti nel relativo verbale.

Rassegna giurisprudenziale

Falsità di documenti (art. 675)

La previsione dell’art. 675 presuppone che la falsità di un atto o di un documento sia stata accertata a norma dell’art. 537 con sentenza di condanna (Sez. 7, 45658/2017).

In ipotesi di sentenza di patteggiamento che abbia omesso di dichiarare la falsità di un documento, la Corte di Cassazione può adottare direttamente i provvedimenti previsti dall’art. 537, non occorrendo alcuna valutazione di merito per una declaratoria che la legge pone come effetto inevitabile della sentenza di condanna, a cui è equiparabile la sentenza di applicazione della pena su accordo delle parti (Sez. 5, 7477/2014).

In senso adesivo ma riportando un orientamento di segno contrario: Esiste nella giurisprudenza di legittimità un filone interpretativo che ritiene che al giudice di legittimità sia consentito provvedere direttamente alla dichiarazione di falsità, ove detta pronuncia sia stata omessa dal giudice di merito in sede applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444.

Questo diverso orientamento non si è adeguatamente confrontato con la previsione contenuta nell’art. 537 comma 3 in ordine all’autonoma impugnabilità della pronuncia del giudice sulla falsità dei documenti; è evidente che una decisione sul punto adottata dalla Corte di cassazione precluderebbe irrimediabilmente alla parte l’accesso a tale previsto mezzo di impugnazione (Sez. 2, 1957/2015).

La necessità dell’accertamento del fatto è inderogabilmente postulata, oltre che nell’ottica dell’applicazione di cause di non punibilità, tanto ai fini del controllo dell’esattezza della qualificazione giuridica, che si attua attraverso la verifica della corrispondenza del fatto accertato con la fattispecie legale, quanto ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, con la conseguenza che l’accertamento del fatto contenuto nella sentenza di applicazione della pena concordata può costituire idonea base giustificativa della pronuncia dichiarativa della falsità di atti o di documenti.

Pertanto, se l’accertamento del fatto, e, quindi della non rispondenza al vero dell’atto, o del documento in caso di reato di falso, è insito nella pronuncia di applicazione della pena su richiesta, la Corte di cassazione può provvedere a dichiarare la falsità (SU, 20/1999).