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Art. 666 - Procedimento di esecuzione

1. Il giudice dell’esecuzione procede a richiesta del pubblico ministero, dell’interessato o del difensore.

2. Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione.

3. Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere depositate memorie in cancelleria.

4. L’udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. L’interessato che ne fa richiesta è sentito personalmente; tuttavia, se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione.

5. Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio.

6. Il giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla corte di cassazione.

7. Il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, a meno che il giudice che l’ha emessa disponga diversamente.

8. Se l’interessato è infermo di mente, l’avviso previsto dal comma 3 è notificato anche al tutore o al curatore; se l’interessato ne è privo, il giudice o il presidente del collegio nomina un curatore provvisorio. Al tutore e al curatore competono gli stessi diritti dell’interessato.

9. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell’articolo 140 comma 2.

Rassegna giurisprudenziale

Procedimento di esecuzione (art. 666)

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 666 comma 3, 678 comma 1 e 679 comma 1 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica (Corte costituzionale, sentenza 135/2014).

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 666 comma 3 e 678 comma 1 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento dinanzi al tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, si svolga nelle forme dell’udienza pubblica (Corte costituzionale, sentenza 97/2015).

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 666 comma 3, 667 comma 4 e 676 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione nelle forme dell’udienza pubblica (Corte costituzionale, sentenza 109/2015).

È costituzionalmente illegittimo l’art. 666 comma 9 nella parte in cui dopo la parola “redatto” prevede “soltanto” anziché “di regola” (Corte costituzionale, sentenza 529/1990).

Il provvedimento del GE divenuto formalmente irrevocabile preclude, ai sensi dell'art. 666 co. 2, una nuova pronuncia sul medesimo petitum finché non si prospettino elementi che, riguardati per il loro significato sostanziale e non per l'apparente novità della veste formale, possono essere effettivamente qualificati come nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, sopravvenuti ovvero preesistenti, che non abbiano già formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione (in applicazione del consolidato principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso sul presupposto che è in suo potere rilevare la preclusione processuale che, ai sensi dell'art. 666 co. 2, determina l’inammissibilità dell'istanza meramente reiterativa di una domanda già esaminata e che si limiti a riproporre identiche questioni in assenza di nuovi elementi, conseguendone anche la inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto avverso la decisione esecutiva che l'abbia rigettata nel merito invece di dichiararla direttamente inammissibile) (Sez. 1, 23215/2022).

Nel procedimento di esecuzione la finalità dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale, ai sensi dell’art. 666, è quella di informare la parte interessata dell’oggetto del procedimento in modo tale da consentirle di predisporre effettiva ed efficace difesa. Una volta indicato l’oggetto della questione che si andrà a trattare, spetta all’interessato farsi parte diligente e prendere visione o contezza di quanto ritiene rilevante. Nessuna violazione del diritto di difesa del condannato è fondatamente ravvisabile nel caso in cui la difesa, nulla eccependo sulla regolarità dell’atto, abbia poi concluso per il rigetto della domanda argomentando su questioni attinenti al merito (Sez. 1, 54868/2018).

Nel procedimento di esecuzione, il termine di cinque giorni, indicato nell'art. 666 comma 2 per la notificazione all'interessato del decreto di inammissibilità della richiesta, è meramente ordinatorio e la sua mancata osservanza non dà luogo ad alcuna nullità, ma determina solo lo slittamento del termine per l'eventuale proposizione del ricorso per cassazione (afferma la Corte che il termine di cinque giorni non attiene al deposito del provvedimento del giudice come erroneamente sostenuto dal ricorrente, ma alla notifica dello stesso. La notifica è un atto successivo al provvedimento, e quindi la sua eventuale nullità non può viziare un atto precedente della sequenza procedimentale, conformemente alla regola generale dell'art. 185 comma 3 secondo cui "la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito") (Sez. 1, 29134/2022).

Il procedimento di sorveglianza deve sempre svolgersi, previo avviso alle parti processuali e ai difensori, con la partecipazione del pubblico ministero e con l’obbligatoria assistenza del difensore, necessaria per la regolare instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che qualora non sia stata fissata l’udienza in camera di consiglio e sia stato adottato un provvedimento de plano, fuori dai casi espressamente stabiliti dalla legge, si determina una nullità di ordine generale e assoluto, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179 (Sez. 1, 32731/2020).

Lo strumento dell’incidente di esecuzione non può essere utilizzato per far valere vizi afferenti al procedimento di cognizione e alla sentenza che lo ha concluso, ostandovi le regole che disciplinano la cosa giudicata, la quale si forma anche nei confronti dei provvedimenti affetti da nullità assoluta. Il formarsi del giudicato rende, pertanto, improponibile e irricevibile la deduzione di nullità attinenti alla notificazione degli atti del processo di cognizione, le quali, quand’anche sussistenti, non sopravvivono al giudicato stesso, che opera con efficacia di sanatoria generale e, quindi, da esso rimangono coperte (Sez. 1, 16195/2022).

La pena è illegittima quando è in contrasto con i principi di legge per la sua quantificazione, è illegale quando viene irrogata una sanzione diversa da quella prevista dalla legge (per specie oppure perché esorbitante dai limiti edittali stabiliti dalla norma). La doglianza è deducibile di fronte al giudice della esecuzione, ai sensi dell’art. 666, nel rispetto dei principi contenuti nell’art. 25, comma 2, Cost. e nell’art. 7 CEDU, solo nel caso di pena illegale, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, tale da comportare l’abnormità della sanzione. L’istanza di legalità della pena è un tema che, in fase esecutiva, deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolata dal dato formale della c.d. “situazione esaurita”, che tale sostanzialmente non è, non potendosi tollerare che uno Stato di diritto assista inerte all’esecuzione di pene non conformi alla legge (Sez. 1, 54876/2018).

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, al giudice dell'esecuzione va riconosciuto un ampio potere discrezionale ai fini della rideterminazione di cui trattasi, esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 cod. pen., tenuto conto del contenuto del giudicato, che segna i contorni oggettivi e soggettivi del fatto e del loro disvalore, secondo gli accertamenti intervenuti in sede di cognizione (Sez. 3, 36357/2015; Sez. 2, 29431/2018). In particolare, la citata sentenza delle Sezioni unite Marcon ha indicato lo strumento attivabile nel caso di pena illegale applicata con il "patteggiamento", precisando che il giudice dell'esecuzione procede alla rideterminazione secondo lo stesso iter previsto dall'art. 188 disp. att. e, solo in caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta incongrua, può autonomamente provvedere mediante l'esercizio del potere discrezionale, secondo i criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. In tali casi, viene a definirsi, nel procedimento di esecuzione, un vero e proprio incidente di cognizione, circoscritto alla rideterminazione della pena, che il giudice dovrà discrezionalmente commisurare, alla luce dei parametri normativi evocati e secondo i dati cristallizzati nella sentenza irrevocabile, esplicitando nella motivazione gli indicatori valutati in riferimento al nuovo perimetro sanzionatorio. E dell'esercizio di siffatto potere discrezionale il giudice dovrà dar conto in motivazione, articolando un percorso giustificativo tanto più persuasivo quanto più si discosti dal minimo edittale e dai parametri sanzionatori vigenti all'epoca in cui si è formato l'accordo sulla pena, sì da esplicitare il rinnovato giudizio di adeguatezza e proporzionalità della sanzione penale entro i nuovi limiti definiti dall'intervento della Consulta. In altri termini, al giudice dell'esecuzione che, restituito nella piena cognizione sanzionatoria ex art. 188 disp. att. operi un intervento correttivo in senso conservativo dell'originaria sanzione applicata sull'accordo delle parti, non rinnovato o rinnovato in misura ritenuta incongrua, è richiesta una motivazione rafforzata, che espliciti compiutamente in virtù di quali parametri, evincibili dalla sentenza irrevocabile, la sanzione originariamente applicata, pur in un quadro legale ridefinito in melius, risulti ancora conforme al disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato (Sez. 5, 14048/2021).

L’astensione del difensore dalle udienze non è riconducibile nell’ambito dell’istituto del legittimo impedimento, costituendo espressione di un diritto di libertà, il quale, se esercitato nel rispetto e nei limiti indicati dalla legge e dal codice di autoregolamentazione, impone il rinvio anche dell’udienza camerale, in tutti i casi in cui il procedimento preveda la partecipazione necessaria del difensore, non facendo eccezione il procedimento di sorveglianza che segue il rito camerale ex artt. 666 e 678 (Sez. 1, 54881/2018).

La natura di impugnazione nel merito del reclamo in tema di sorveglianza comporta l'attribuzione al tribunale dei poteri cognitivi e valutativi sulla situazione dedotta ed è, pertanto, tenuto a servirsi delle sopravvenienze documentali, esercitando se del caso i poteri ex officio di verifica (Nel caso di specie, la Corte ha annullato l’ordinanza con la quale il tribunale aveva respinto il reclamo introdotto dal detenuto in tema di permesso di necessità censurando l’affermazione secondo la quale il controllo del tribunale si realizza in termini di 'legittimità' del provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza, non potendosi ampliare la cognizione ad elementi sopravvenuti anche rispetto ad una domanda non supportata da allegazioni sufficienti) (Sez. 1, 33742/2021).

Con specifico riguardo al tempus commissi delicti, in sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato, accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato quando il momento di consumazione sia individuato in sede di cognizione in termini precisi e delimitati; viceversa, nella diversa ipotesi in cui l'epoca di consumazione del reato non è indicata in modo preciso e con ben definiti riferimenti fattuali nel capo di imputazione, il giudice dell'esecuzione può prendere conoscenza del contenuto della sentenza e, occorrendo, degli atti del procedimento, per ricavarne tutti gli elementi da cui sia possibile desumere l'effettiva data del reato, ove essa sia rilevante ai fini della decisione che gli è demandata (Sez. 1, 37326/2021).

Promosso l’incidente di esecuzione avverso provvedimento di cumulo di pene concorrenti emesso dal PM, qualora sia necessario accertare periodi di presofferto, onde determinare definitivamente la pena residua da espiare e la relativa decorrenza, il giudice dell’esecuzione non può demandare detta incombenza al PM, ma deve provvedervi direttamente, avvalendosi dei poteri previsti dall’art. 666 co. 5 c.p.p. e quindi, se del caso, formare un nuovo cumulo aggiornato e corretto (Sez. 1, 6938/2022).

Il giudice dell’esecuzione può esercitare, per determinati e limitati fini, i poteri istruttori d’ufficio previsti dall’art. 666 co. 5 con facoltà di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti ritenuti utili ai fini della decisione e di assumere le prove occorrenti in udienza; se si tratta di prove dichiarative, esse devono essere assunte con le modalità previste per l’esame testimoniale dagli artt. 498 e aa,. e non certo su iniziativa del pubblico ministero ed in assenza della difesa del condannato (Sez. 1, 6936/2022).