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Art. 671 - Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato

1. Nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione. Fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza.

2. Il giudice dell’esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto.

2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, quarto comma, del codice penale.

3. Il giudice dell’esecuzione può concedere altresì la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando ciò consegue al riconoscimento del concorso formale o della continuazione. Adotta infine ogni altro provvedimento conseguente.

Rassegna giurisprudenziale

Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato (art. 671)

In tema di reato continuato, il GE deve tenere conto della sussistenza della preventiva programmazione dei reati anche in presenza della condizione di tossicodipendenza del soggetto per verificare la plausibilità di una preventiva programmazione unitaria, mentre non può - in quanto la norma dell'art. 671, così come modificata, non glielo permette - sostituire alla preventiva e unitaria programmazione dei reati lo "stile di vita" del soggetto tossicodipendente (afferma la Corte in sentenza che, in sostanza, la modifica dell'art. 671 non ha affatto introdotto un "nuovo" concetto di continuazione per i tossicodipendenti: anche per tale categoria di autori di delitti resta la necessità, imposta dall'art. 81, secondo comma, c.p., che i reati siano avvinti da un "medesimo disegno criminoso" che, nel caso di specie è stato escluso, per la impossibilità di ritenere tali i reati commessi in un amplissimo arco temporale: non è ipotizzabile, conclude la Corte che, nel 1989, l’imputato avesse previsto e programmato i delitti che avrebbe commesso nel 2014, o anche anni prima, inoltre, militano a favore della ordinanza impugnata altri elementi che dimostrano la mancata preventiva progettazione dei reati: l'esistenza di concorrenti nei reati di volta in volta differenti, dato significativo per indicare una programmazione separata per ciascun delitto; la distanza temporale tra i singoli reati; l'esistenza di ampi periodi di detenzione) (Sez. 1, 23217/2022).

In tema di reato continuato, il giudice dell'esecuzione non può prescindere dal riconoscimento della continuazione operato dal giudice della cognizione con riguardo ad altri episodi analoghi, giudicati separatamente e con un'unica sentenza, e può escludere l'esistenza del vincolo in questione solo previa dimostrazione dell'esistenza di specifiche e significative circostanze che ragionevolmente facciano ritenere gli ulteriori fatti, oggetto della richiesta presentata ai sensi dell'art. 671, non riconducibili al disegno criminoso delineato in sede di cognizione (Sez. 3, 25648/2022).

La natura del delitto di cui all'art. 75 D.LGS. 159/2011 è quella di reato abituale quando è integrato dalla violazione della prescrizione di non associarsi abitualmente con pregiudicati. Ciò premesso, poiché un singolo episodio in cui il sottoposto alla misura di prevenzione è sorpreso in compagnia di un pregiudicato non è sufficiente ad integrare il reato, la "programmazione" dei reati successivi non può che essere intesa con riferimento alle frequentazioni successive, dovendosi ritenere, appunto, che il soggetto intende frequentare abitualmente pregiudicati e ha deciso di violare in questo modo le prescrizioni derivanti dalla misura di prevenzione. Pertanto, è configurabile la continuazione tra più violazioni della prescrizione, inerente alla sorveglianza speciale di P.S., di non associarsi abitualmente alle persone che abbiano subito condanna o siano sottoposte a misura di prevenzione o di sicurezza, in quanto, pur non essendo sufficiente un singolo episodio ad integrare il reato, che ha natura di reato abituale, una volta determinatasi l'abitualità della frequentazione, i successivi episodi non sono indifferenti, ma integrano nuovi reati che possono essere unificati a norma dell'art. 81 c.p. (nel caso che ci occupa, la Corte ha annullato il provvedimento di rigetto perché gli elementi indicati dal Tribunale non sono apparsi convincenti rispetto al fatto che i pregiudicati fossero persone differenti poiché la norma presuppone il divieto di frequentare pregiudicati, ma non la medesima persona) (Sez. 1, 23214/2022).

In sede esecutiva è consolidato il principio secondo il quale in ogni situazione in cui risulti utile per la tutela di un interesse del condannato e non ostino divieti di legge, il cumulo va scisso nelle frazioni di pena che lo compongono ed in rapporto ai titoli da cui le stesse derivano. In caso di avvenuto riconoscimento della continuazione, la pena eseguibile è quella risultante dalla decisione esecutiva e, pertanto, bisogna tener conto, in caso di degradazione in reato satellite, della nuova quantificazione operata in sede esecutiva (afferma la Corte che, nel caso in esame, risulta pacifico che la pena in concreto eseguibile è esclusivamente quella relativa alla sentenza emessa in data 14 marzo 2014, divenuta irrevocabile in data 17 aprile 2018 e la quantificazione cui occorre riferirsi è quella risultante a seguito del riconoscimento della continuazione perché con ordinanza emessa in data 11 giugno 2021 la pena originariamente inflitta è stata oggetto di rideterminazione conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione con altro fatto, ai sensi dell'art. 671 (Sez. 1, 27231/2022).

Il GE, quando deve procedere, ai fini di cui all'art. 671, alla rideterminazione del più favorevole trattamento punitivo conseguente al riconoscimento della continuazione in ordine a reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili, è vincolato, nell'individuazione della violazione di maggior gravità, al disposto di cui all'art. 187 disp. att., in base al quale detta individuazione deve essere effettuata con riferimento alla pena più elevata inflitta in concreto, e non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna, anche qualora erroneamente il giudice della cognizione non abbia disposto aumenti di pena per uno dei reati riconosciuti in continuazione (Sez. 5, 18719/2022).

La competenza del GE, in caso di pluralità di provvedimenti emessi da giudici diversi, si radica in capo a quello dell'ultimo provvedimento al momento della presentazione della domanda, ancorché lo stesso non risulti ancora inserito nel certificato del casellario giudiziale, e non muta per la sopravvenienza di ulteriori successivi titoli esecutivi (La Corte ha evidenziato che il giudice dichiaratosi incompetente nel caso di specie ha erroneamente declinata in ragione delle informazioni tratte dal certificato penale che non recava traccia del titolo la cui irrevocabilità risaliva a diverso momento del quale l'istante, nondimeno, aveva offerto conveniente e compiuto riscontro, allegando la sentenza ed indicando gli estremi dell'ordine di esecuzione conseguentemente emesso dalla locale Procura della Repubblica) (Sez. 1, 17182/2022).

Il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all'esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all'applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l'applicazione dell'aumento per continuazione su detta pena base e, infine, il computo sull'intero, ottenuto in tal modo, della diminuente per il rito abbreviato (in sentenza la Corte ha giudicato inammissibile, in quanto privo di interesse, il motivo di ricorso attraverso il quale veniva chiesta l’applicazione del criterio riportato nella massima, potendo il giudice dell'esecuzione effettuare un calcolo semplificato - applicando la riduzione per il rito direttamente sull'unico reato che, per effetto dell'applicazione della continuazione ex art. 671, si trasformava in reato satellite - non comportando nessuna conseguenza pregiudizievole per il condannato) (Sez. 1, 15868/2022).

Il GE, richiesto di riconoscere la continuazione ai sensi dell'art. 671 esercita, in materia di quantificazione della pena, i medesimi poteri del giudice della cognizione con i limiti fissati dall'art. 187 disp. att. in ordine alla individuazione del reato più grave e dall'art. 81 comma 1 CP, in ordine alla misura degli aumenti di pena - da contenere nel triplo della pena del reato più grave - ed è comunque vincolato al rispetto del divieto di reformatio in peius rispetto alla quantificazione operata nel giudizio di cognizione. Poiché dotato di un potere discrezionale, esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 CP in modo non dissimile da quello cui attinge il giudice della cognizione, quello dell'esecuzione è sempre tenuto a fornire una giustificazione delle scelte adottate non soltanto quanto all'individuazione della pena base, ma anche in punto di aumento correlato a ogni reato satellite ai sensi dell'art. 81 comma 1 CP (La Corte, nel caso specifico, ha dato atto della correttezza della motivazione della Corte territoriale la quale aveva determinato la pena per il reato satellite, giudicato con la sentenza del GIP, in misura superiore agli altri aumenti stabiliti per i restanti reati di minore gravità e ha giustificato tale scelta a ragione della maggiore gravità in concreto per il quantitativo di cocaina trattato, per le modalità di consumazione e per il contestuale possesso di rilevanti somme di denaro contante e di telefoni cellulari, ritenuti funzionali al mantenimento della vasta rete di contatti tra il ricorrente e gli altri coimputati non violando nessuno dei criteri legali di commisurazione della pena per il reato continuato) (Sez. 1, 15861/2022).

In tema di applicazione della disciplina del reato continuato nella fase esecutiva, la detenzione in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non è di per sé idonea ad escludere l'identità del disegno criminoso e non esime, pertanto, il giudice dalla verifica in concreto di quegli elementi (quali l'identità delle violazioni, la medesimezza del contesto spaziale e delle modalità operative, la limitata durata della privazione della libertà personale ed il breve intervallo temporale tra le condotte) in grado di rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni (Sez. 5, 9436/2022).

In tema di associazione mafiosa, ovvero di associazione prevista dall’art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990, non può sostenersi che la commissione di reati fine rientri nel generico programma della societas sceleris, né che i medesimi siano consumati "per eseguire" il delitto associativo, dal momento che tale reato, in entrambe le forme innanzi richiamate, ha natura permanente ed è, di regola, preesistente rispetto ai fatti delittuosi ulteriori; questi ultimi, a loro volta, pur essendo certamente episodi non inconsueti nel panorama di attività criminosa della struttura delinquenziale, non rappresentano la finalità per la quale l’associazione è stata costituita; l’astratta possibilità che i reati fine rientrino nel programma delinquenziale associativo non esclude che, nello specifico, siano stati commessi sulla spinta di circostanze contingenti ed occasionali, non presenti al momento dell’ingresso nel sodalizio e, quindi, non programmabili ab origine, ragione per la quale è richiesta una puntuale e specifica esposizione di emergenze fattuali confermative della riconducibilità ad un progetto delinquenziale unitario ed anticipato rispetto all’esecuzione frazionata (La Corte ha accolto il ricorso della procura generale avverso il provvedimento del giudice della esecuzione sul presupposto che la scarna motivazione del provvedimento impugnato valorizzasse, ai fini del riconoscimento della disciplina del reato continuato, quale elemento unificante le singole violazioni giudicate, l’unica circostanza della protratta militanza del reo nel sodalizio mafioso, tralasciando la disamina degli elementi fattuali dai quali poter desumere che sin dall’ingresso nella predetta formazione di stampo mafioso egli avesse già programmato e deciso la consumazione di tutti i successivi episodi criminosi giudicati, non risultando possibile desumere da quali dati concreti e verificabili avesse ricavato la dimostrazione che gli altri reati erano stati posti in essere dal condannato quale «esecutore delle attività della cosca») (Sez. 1, 4551/2022).

Il disposto di cui all’art. 188 disp. att. c.p.p. non opera nel caso in cui l’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato riguardi in parte sentenze emesse a seguito d’applicazione della pena su richiesta delle parti e in parte sentenze emesse a seguito di giudizio ordinario (nel richiamare il principio espresso da Sez. 1 Sentenza n. 16456 del 12.03.2021, El Azhary, Rv. 281194-01 ed anche Sez. 1, n. 47076 del 19.06.2018, Saffiotti, Rv. 274331-01, la Corte ha precisato che, nelle ipotesi in cui venga formulata una richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione in sede esecutiva tra sentenze emesse con il rito di cui all’art. 444 c.p.p. e sentenze emesse con un rito differente, ordinario o speciale, non si procede con le forme di cui art. 188 disp. att. c.p.p., che, invece, sono sempre indispensabili ai fini del riconoscimento della continuazione tra le sole decisioni emesse in sede di patteggiamento) (Sez. 1, 6944/2022).

Il giudizio sulla continuazione criminosa ha ad oggetto la verifica circa la programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate ("disegnate") attorno ad uno specifico elemento oggettivo, idoneo a caratterizzare in termini di concretezza la deliberazione, così da poterle distinguere rispetto ad una scelta criminosa solo generica (evidenzia la Corte in sentenza come il giudizio non potrà essere meramente ricognitivo dei tipici indicatori del reato continuato - il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico protetto - ma dovrà esprimere la valutazione se, tenuto conto dei dati fattuali più rilevanti, emerga l'esistenza di un momento deliberativo comune ai reati in considerazione ricordando, peraltro, che la condizione di tossicodipendenza, che abbia determinato la commissione di più reati, è uno degli "elementi che incidono sulla applicazione della disciplina del reato continuato", a norma dell'art. 671 nel testo novellato con la L. 49/2006 (Sez. 1, 37325/2021).

L'onere di provare i fatti dai quali dipende l'applicazione dell'istituto è da ritenersi soddisfatto, come reiteratamente affermato da questa Corte in tema di continuazione, non necessariamente con la produzione della copia della sentenza rilevante ai fini del richiesto riconoscimento, ma anche con la semplice indicazione degli estremi di essa, dovendo in tale ipotesi l'acquisizione del documento essere disposta dal giudice, come si ricava tra l'altro dalla previsione dell'art. 186 dìsp. att. c.p.p., che espressamente riguarda l'applicazione della continuazione in sede di esecuzione (Sez. 3, 32890/2021).

Qualora in fase esecutiva sia proposta istanza di riconoscimento del concorso formale o della continuazione fra reati giudicati con distinte sentenze di applicazione della pena su richiesta, il giudice non può esercitare i poteri valutativi di cui all'art. 671 ed individuare la pena in misura diversa da quella negoziata dall'interessato e dal pubblico ministero, essendo tenuto all'osservanza della speciale disciplina dettata dall'art. 188 disp. att. che consente un intervento modificativo sul giudicato, formatosi a seguito di un negozio processuale tra le parti, esclusivamente per effetto di una successiva loro pattuizione, salvo soltanto il caso di dissenso ingiustificato dell'ufficio requirente (nel caso de quo, la Corte ha rilevato come il Tribunale in funzione di giudice della esecuzione, sotto questo profilo ha emesso una decisione inoppugnabile in quanto aveva ricevuto il parere negativo del PM, sulla base della considerazione che «i reati erano connotati da evidente dolo di impeto che scarsamente si concilia con un'unitaria ideazione criminosa», ma ritenendo, al contempo, di potersene discostare, riconoscendo la disciplina della continuazione tra i reati oggetto dell'istanza) (Sez. 1, 13970/2021).

Ai fini dell'applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671, la "cognizione" del giudice dell'esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumono essere "in continuazione". Le sentenze devono essere poste a raffronto per ogni utile disamina, tenendo presenti le ragioni enunciate dall'istante e fornendo una valutazione del tutto esauriente. Peraltro, nell'approcciarsi a tale verifica, introdotta dall'istanza di parte, non può richiedersi che l'istante fornisca la «prova» dell'esistenza della rappresentazione unitaria, sin dal momento ideativo, delle diverse condotte violatrici, posto che, trattandosi di un atteggiamento interiore lo stesso non è passibile di prova diretta ma è ricostruibile ex post dal giudice dell'esecuzione solo attraverso un concreto apprezzamento dei fatti realizzati per come ricostruiti nelle sentenze e delle possibili interrelazioni tra i medesimi. Il richiedente, per altro verso, è tenuto ad indicare tutti quegli elementi sintomatici idonei a far emergere la riconducibilità dei diversi reati ad un medesimo contesto oggettivo unificante, orientando così l'indagine del giudice in direzione dell'accertamento delle condizioni richieste dall'art. 81 c.p. per evitare che il meccanismo di cui all'art. 81 comma 2 c.p. si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione del reato, rendendo evanescente la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità a delinquere (il collegio ha anche inteso rimarcare come il giudice di merito sia in ogni caso tenuto ad esprimere i risultati dell'accertamento nel provvedimento, in modo anche sintetico ma esaustivo, rispetto al fine di sostenere in modo obiettivo la decisione, pena la sostanziale elusione dell'obbligo di motivazione, non rispettato lì dove ci si limiti a indicare precedenti giurisprudenziali, senza dar conto dell'effettivo apprezzamento compiuto) (Sez. 1, 13972/2021)

Al giudice della esecuzione è precluso di sindacare l'interesse in concreto vantato dalla parte all'accoglimento della richiesta ai sensi dell'art. 671, istituto finalizzato, quanto alla commisurazione della pena, all'applicazione del più favorevole principio del cumulo giuridico delle pene. Infatti, la richiesta formulata ai sensi dell'art. 666 non ha natura di impugnazione e, quindi, la sussistenza di un interesse all'accoglimento dell'istanza non è richiesta a pena di inammissibilità della stessa; d’altra parte, l'avvenuta espiazione della pena in relazione alla quale si chiede l'intervento del giudice dell'esecuzione è ostativa solo della rideterminazione della pena inflitta sulla base di una norma dichiarata incostituzionale, in ragione del limite, ai sensi dell'art. 30 legge costituzionale n. 87/1953, della efficacia della pronuncia di incostituzionalità (Sez. 1, 10380/2021).

Il giudice adito ai sensi dell'art. 671 deve indicare, in modo esplicito o implicito, i parametri valutativi utilizzati, in conformità ai criteri previsti dell'art. 133 c.p., così da rendere sempre possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena non essendo sufficiente il rispetto del limite massimo espressamente stabilito dalla legge con l'indicazione della misura massima del triplo della pena base (in sentenza la Corte ha avuto modo di ricordare anche che l'obbligo motivazionale è correttamente assolto con il richiamo ai criteri generali dell'adeguatezza e della congruità o ai parametri contemplati dall'art. 133 c.p., quando la valutazione relativa all'aumento per i reati meno gravi non si discosti sensibilmente o, comunque, in modo significativo dal minimo applicabile ed è comunque contenuta rispetto alla pena determinata dal giudice della cognizione; quando, invece, l'aumento per i reati satellite è determinato in misura distante dal minimo fissato dall'art. 81, primo comma, c.p. e, correlativamente, più prossima a quella del giudice della cognizione, è sempre necessario indicare, con riferimento ai parametri di cui all'art. 133 c.p., le specifiche ragioni poste a fondamento della scelta dosimetrica) (Sez. 1, 35265/2020).

Anche quando dalla riconsiderazione dei fatti giudicati non derivino immediate e concrete conseguenze rispetto all’entità della pena da espiare, sussiste comunque l’interesse del condannato a tale riconsiderazione in ragione degli ulteriori effetti che ne possono conseguire: si pensi alla finalità di potere imputare, ove ne sussistano i presupposti, ad altra condanna la pena di fatto espiata oltre la misura rideterminata ai sensi dell’art. 671, di escludere o limitare gli effetti penali della condanna in tema di recidiva e di dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato (Sez. 1, 50842/2018).

La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee. Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 Cod. pen. (SU, 40983/2018).

L’applicazione della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi deve operare la riduzione di un terzo della pena a norma dell’art. 442, comma 2 (SU, 35852/2018).

Sospensione condizionale della pena

Qualora il giudice della cognizione non abbia adottato statuizioni di sorta in ordine alla sospensione condizionale della pena, non vi è preclusione, per quello dell'esecuzione, all'eventuale concessione del beneficio ai sensi dell'art. 671 comma 3; laddove, al contrario, il giudice della cognizione abbia espressamente negato la sospensione condizionale, deve considerarsi inibita al giudice dell'esecuzione la facoltà di applicare l'istituto disciplinato dagli artt. 163 e ss. c.p., attesa l'efficacia assoluta della res iudicata sostanziale, cristallizzatasi per il mancato ricorso agli ordinari mezzi di gravame da parte dell'imputato, ovvero per il loro inutile esperimento (Sez. 1, 13969/2021).

Il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena è tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, oltre che del criterio indicato dall’art. 671, comma 2, rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile (SU, 28659/2017).

Il giudice dell’esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna (SU, 6296/2017).

In tema di applicazione nella fase esecutiva della disciplina del reato continuato, una volta ritenuta, da parte del giudice dell’esecuzione, l’unicità del disegno criminoso tra due fatti oggetto di due diverse sentenze e applicata agli stessi la disciplina del reato continuato, la sospensione condizionale della pena già disposta per uno dei due fatti non è automaticamente revocata, essendo compito del giudice valutare se il beneficio già concesso possa estendersi alla pena complessivamente determinata ovvero se esso debba essere revocato perché venuti meno i presupposti di legge (Sez. 1, 9756/2017).

La rideterminazione della pena a seguito del riconoscimento della continuazione ex art. 671 non comporta l’annullamento di un precedente ordine di carcerazione emesso, ma solo la comunicazione all’Istituto di pena della nuova scadenza della pena (Sez. 1, 28818/2018).

Il giudice dell’esecuzione, investito da richiesta ai sensi dell’art. 671, non può trascurare, ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, la valutazione già operata in fase di cognizione, con riguardo ad episodi criminosi commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano in tutto o in parte i fatti oggetto della domanda sottoposta al suo esame, nel senso che le valutazioni espresse in proposito nel giudizio di cognizione assumono una rilevanza indicativa da cui il giudice dell’esecuzione può anche prescindere, ma solo previa dimostrazione dell’esistenza di specifiche e significative ragioni per cui tali ultimi fatti, e soprattutto gli episodi omogenei rispetto a quelli tra cui il vincolo è stato riconosciuto, non possono essere ricondotti, a differenza degli altri, al delineato disegno (Sez. 1, 54106/2017).

Sebbene al pregresso provvedimento di applicazione del vincolo della continuazione non possa riconoscersi alcun carattere vincolante con riferimento alla deliberazione sull’istanza ex art. 671, proposta dal condannato, anche in considerazione della diversità e maggiore ampiezza del petitum, e sebbene la vicinanza temporale non implichi ex se il riconoscimento della continuazione, nondimeno la già ritenuta sussistenza del disegno unitario affasciante reati cronologicamente prossimi ad altri separatamente giudicati non può essere totalmente ignorata dal giudice dell’esecuzione, che, sia pure in piena libertà di giudizio, con tale precedente valutazione e con la relativa ratio decidendi è tenuto comunque a confrontarsi, salvo discostarsene, motivatamente, in relazione al complessivo quadro delle circostanze di fatto e giuridiche emergenti dai provvedimenti giudiziali dedotti nel nuovo procedimento e potendo pervenire anche ad un accoglimento soltanto parziale della domanda quanto ai reati maturati in un contesto unitario, di più ravvicinata consumazione e commessi nel medesimo ambito spaziale (Sez. 1, 39902/2018).

La continuazione presuppone l’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee; situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo la violazione della stessa specie o da un programma generico di attività delittuosa da eseguire nel tempo, secondo contingenti opportunità anche se dovuta a una determinata scelta di vita. La prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio, attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere illeciti in forza di un singolo impulso, anziché con spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve di regola essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici, di cui la giurisprudenza ha fornito esemplificative elencazioni (fra gli altri, l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita), hanno normalmente un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo; sicché l’accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni. L’applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva impone, pertanto, una riconsiderazione dei singoli fatti giudicati, volta alla specifica verifica della prospettata unitarietà progettuale degli illeciti, che è indispensabile requisito per il riconoscimento del rapporto descritto nell’art. 81 Cod. pen. Detto accertamento affidato all’apprezzamento del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, quando la decisione del giudice sia sorretta da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti. A tal fine, la cognizione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita dal giudice dell’esecuzione in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna, conseguite alle azioni o omissioni che si assumono essere legate dal vincolo della continuazione e, attraverso il loro raffronto, alla luce delle ragioni enunciate dall’istante. Sul condannato che fa richiesta ex art. 671 infatti grava non un onere probatorio, ma l’onere di allegare, e cioè di prospettare e indicare elementi specifici e concreti a sostegno dell’istanza, incombendo, invece, all’AG il compito di procedere ai relativi accertamenti, ai sensi dell’art. 666, comma 5, che disciplina in genere l’attività probatoria in sede esecutiva e, ai sensi dell’art. 186 Att. che riguarda specificamente l’applicazione della disciplina del reato continuato (Sez. 1, 44986/2018).

In tema di esecuzione, grava sul condannato che invochi l’applicazione della disciplina del reato continuato l’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguità cronologica degli addebiti ovvero all’identità o analogia dei titoli di reato, in quanto indici sintomatici non di attuazione di un progetto criminoso unitario quanto di una abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione di illeciti (Sez. 5, 21326/2010).

Può essere negato il riconoscimento del vincolo della continuazione in considerazione del notevole lasso di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e contrarie risultanze probatorie) e dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente; in particolare, in tema di reato continuato, se la detenzione in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non è di per sé idonea a escludere l’identità del disegno criminoso, essa non esime il giudice dalla verifica in concreto di quegli elementi (quali ad esempio la distanza cronologica, le modalità esecutive, le abitudini di vita, la tipologia dei reati, l’omogeneità delle violazioni, etc.) che possono rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni (Sez. 1, 32475/2013).

Quanto all’incidenza dello stato di tossicodipendenza sulla continuazione, lo stesso deve essere valutato come elemento idoneo a giustificare la unicità del disegno criminoso con riguardo a reati che siano ad esso collegati e dipendenti, sempre che sussistano le altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la configurabilità dell’istituto previsto dall’art. 81, comma 2, Cod. pen. (Sez. 1, 50716/2014).

Non viola l’obbligo di motivazione su circostanza rilevante ai fini della decisione il giudice che non prenda in considerazione lo stato di tossicodipendenza del condannato, che risulti solo genericamente dedotto e non sia accompagnato da alcun elemento che lo renda plausibile e suscettibile di essere considerato, né emerga altrimenti dalle sentenze acquisite anche d’ufficio ex art. 186 Att. (Sez. 1, 881/2016).

In tema di reato continuato, a seguito della modifica dell’art. 671, comma 1, ad opera della L. 49/2006, nel deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione il giudice deve verificare che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa, tenendo conto se l’imputato, in concomitanza della relativa commissione, era tossicodipendente, se il suddetto stato abbia influito sulla commissione delle condotte criminose alla luce di specifici indicatori quali a) la distanza cronologica tra i fatti criminosi; b) le modalità della condotta; c) la sistematicità ed abitudini programmate di vita; d) la tipologia dei reati; e ) il bene protetto; f) l’omogeneità delle violazioni; g) le causali; h) lo stato di tempo e di luogo; i) la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza (Sez. 2, 49844/2012).

Sul tema della rilevanza dello stato di tossicodipendenza, la Corte, inoltre, pur ribadendo l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, per il quale l’unicità del disegno criminoso, in quanto postulante l’attuazione di un programma preventivamente ideato e voluto, non può confondersi con la semplice estrinsecazione di un genere di vita incline al reato, sicché la disciplina della continuazione non può trovare applicazione di per sé solo per il riconoscimento dello status di tossicodipendente del condannato, precisa che si deve tener conto della volontà del legislatore, espressa con la novella di cui al DL 272/2005 (convertito in L. 49/2006) per la considerazione che la situazione del tossicodipendente che delinque per procurarsi stupefacente è di per sé espressione di uno stile di vita. Tale specifico intervento legislativo, infatti, è volto ad attenuare le conseguenze della condotta sanzionatoria nel caso di tossicodipendente, perché lo stato di tossicodipendenza, pur non essendo condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione, può costituirne comunque un indice rivelatore, che deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato. Tale stile di vita, pertanto, per esplicita statuizione legislativa, integra un dato positivamente valutabile, ai fini del riconoscimento dell’unicità del programma criminoso sicché i principi che regolano l’istituto della continuazione, con particolare riguardo a quello secondo il quale l’unicità del disegno criminoso, in quanto postulante l’attuazione di un programma preventivamente ideato e voluto, non può confondersi con la semplice estrinsecazione di un genere di vita incline al reato, non possono trovare applicazione anche per i soggetti per i quali è stato riconosciuto e provato lo status di tossicodipendente, dovendosi tener conto della volontà del legislatore (Sez. 1, 44985/2018).

Il riconoscimento della continuazione in sede esecutiva comporta la determinazione di una pena unica, che spetta al giudice stabilire ai sensi degli artt. 132 e 133 Cod. pen., senza essere vincolato dal divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597, comma 3. Infatti, in tale materia, l’unico limite è quello stabilito dall’art. 671, comma 2, a norma del quale la pena complessiva non può eccedere la somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o decreto di condanna. Il potere di autonoma determinazione della pena per il reato continuato comporta, altresì, la facoltà del giudice di applicare, in presenza delle condizioni di legge, i benefici previsti dagli artt. 163 e 175 Cod. pen. Secondo quanto stabilito dall’art. 671, comma 3, l’unico limite, in fase esecutiva, è dato dal rispetto del giudicato ove esso abbia espressamente escluso la sospensione condizionale della pena (o la non menzione della condanna) con riguardo al reato, o ai reati, già oggetto di sentenza irrevocabile (Sez. 1, 28300/2018).

Se la rideterminazione della pena, in executivis, consente al giudice procedente, una volta ritenuta l’unicità del disegno criminoso tra due fatti oggetto di due diverse sentenze e applicata agli stessi la disciplina del reato continuato, di modificare il trattamento sanzionatorio finanche in termini peggiorativi, nondimeno, la sospensione condizionale della pena già disposta per uno dei due fatti non è automaticamente revocata, dovendo il giudice dell’esecuzione valutare se il beneficio, già concesso in sede di cognizione, possa estendersi alla pena complessivamente determinata, ovvero se lo stesso debba essere revocato qualora ne siano venuti meno i presupposti di legge (Sez. 1, 9756/2017).

La deroga al principio di intangibilità del giudicato è ricavabile dallo stesso tenore letterale dell’art. 671 che espressamente collega la concedibilità del beneficio della sospensione in sede esecutiva al riconoscimento nella medesima sede del concorso formale o della continuazione (sicché quest’ultimo ne diviene un presupposto necessario): solo in casi siffatti è ragionevole una deroga al principio di intangibilità del giudicato che, di contro, non avrebbe giustificazione quando agli istituti in questione – concorso formale e continuazione ovvero sospensione condizionale della pena – non sia stata data operatività nella fase di cognizione. Devesi ritenere, infatti, che il potere del giudice dell’esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena non abbia portata generale, ma sia strettamente connesso al riconoscimento del concorso formale o della continuazione, e non possa essere esteso ad altre ipotesi (stante l’intangibilità del giudicato a opera del giudice suindicato, al di fuori dei casi specifici e circoscritti espressamente previsti dalla legge (Sez. 7, 40390/2018).

La sospensione condizionale può essere riconosciuta esclusivamente dal giudice della cognizione, che deve valutare la sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive richieste dall’art. 163 Cod. pen., mentre, in sede esecutiva, il beneficio può essere concesso solo in applicazione della disciplina del concorso formale o della continuazione; o comunque in casi, a questi ultimi analogicamente equiparabili, in cui il giudice dell’esecuzione è chiamato ad intervenire in melius su alcuno dei titoli (Sez. 1, 8164/2018).

Ove più fatti, giudicati in distinti procedimenti, siano stati unificati ex art. 81 capoverso cod. pen., la sentenza di condanna per reato successivamente commesso non determina automaticamente la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con la prima condanna, dovendo il giudice preliminarmente stabilire, al fine della deliberazione da adottare al riguardo, se, valutata l’azione unitaria del colpevole, il beneficio anzidetto possa estendersi alla seconda condanna e, pertanto applicarsi alla pena complessiva che sia stata determinata entro il limite sanzionatorio di cui all’art. 163 Cod. pen., ovvero debba essere revocato in quanto il condannato non ne sia meritevole o siano venuti meno gli altri presupposti di legge (Sez. 7, 11759/2018).

Il principio di specialità vieta l'inclusione nel provvedimento di cumulo di pene concorrenti della porzione di sanzione per la quale non è stata concessa l'estradizione e va coniugato con quello che condiziona l'intervento del giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 671, all'eseguibilità delle pene delle quali si invoca la considerazione unitaria (Nel caso in esame, la Corte ha accolto il ricorso risultando dagli atti che la pena dell'ergastolo non è eseguibile, non essendo stata chiesta né concessa l'estradizione suppletiva dopo che, in sede di rinvio, la pena di venti anni, per la quale era stato emesso apposito titolo estradizionale, è stata tramutata in quella perpetua) (Sez. 1, 8768/2022).