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Art. 672 - Applicazione dell’amnistia e dell’indulto

1. Per l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto il giudice dell’esecuzione procede a norma dell’articolo 667 comma 4.

2. Quando, in conseguenza dell’applicazione dell’amnistia o dell’indulto, occorre applicare o modificare una misura di sicurezza a norma dell’articolo 210 del codice penale, il giudice dell’esecuzione dispone la trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza.

3. Il pubblico ministero che cura l’esecuzione della sentenza di condanna può disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto ovvero la cessazione delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative, prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l’amnistia o l’indulto.

4. L’amnistia e l’indulto devono essere applicati, qualora il condannato ne faccia richiesta, anche se è terminata l’esecuzione della pena.

5. L’amnistia e l’indulto condizionati hanno per effetto di sospendere l’esecuzione della sentenza o del decreto penale fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto di concessione o, se non fu stabilito termine, fino alla scadenza del quarto mese dal giorno della pubblicazione del decreto. L’amnistia e l’indulto condizionati si applicano definitivamente se, alla scadenza del termine, è dimostrato l’adempimento delle condizioni o degli obblighi ai quali la concessione del beneficio è subordinata.

Rassegna giurisprudenziale

Applicazione dell’amnistia e dell’indulto (art. 672)

In tema di applicazione dell’indulto, il ricorso per cassazione proposto contro l’ordinanza del giudice dell’esecuzione (sia essa emessa de plano che, come nel caso di specie verificatosi, irritualmente, secondo le modalità disciplinate dall’art. 666) non pronunciata all’esito di opposizione dell’interessato, del relativo difensore o del PM ai sensi dell’art. 667, comma 4, non è inammissibile, bensì deve essere qualificato (facendo applicazione dell’art. 568, comma 5) come opposizione, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis, con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente (Sez. 1, 37030/2018).

All’applicazione dell’amnistia e dell’indulto in sede esecutiva si provvede con la procedura de plano prevista dall’art. 667, comma 4, richiamato dall’art. 672, comma 1.

Nei riguardi del relativo provvedimento è previsto un particolare mezzo di reclamo, costituito dall’opposizione dinanzi allo stesso giudice dell’esecuzione; opposizione che introduce un procedimento che deve svolgersi con l’osservanza delle norme di garanzia del contraddittorio e dei diritti della difesa, secondo lo schema definito dall’art. 666.

La giurisprudenza più recente ritiene che avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione sia data soltanto la facoltà di proporre opposizione, sia che il giudice abbia deciso de plano ai sensi dell’art. 667, sia che abbia provveduto irritualmente ex art. 666 (Sez. 1, 19462/2018).

In caso d’incidenza dell’indulto su pene detentive concorrenti, assoggettate a cumulo giuridico, quest’ultimo deve essere sciolto; sul cumulo materiale per l’effetto ripristinato, previa individuazione delle pene condonabili, deve essere scorporata la quota/parte estinta per effetto dell’indulto (e quindi non più concretamente eseguibile); e sulla pena residuata debbano essere nuovamente applicati, se del caso, i criteri moderatori previsti dalla legge penale, ponendosi il cumulo giuridico come temperamento legale del coacervo delle sole pene da eseguirsi effettivamente, senza possibilità di inclusione in esso delle pene già coperte dal condono (le quali, altrimenti, verrebbero a godere di un duplice abbattimento, dapprima fruendo dell’applicazione del criterio moderatore e poi del loro scorporo integrale dal cumulo giuridico) (Sez. 1, 991/2018).

Il PM deve tenere conto dell’eventuale incidenza dell’indulto sull’entità della pena eseguibile, anche se il condono non è stato ancora applicato dal giudice dell’esecuzione, e, conseguentemente, deve sospendere provvisoriamente l’esecuzione qualora all’esito del calcolo così effettuato la stessa non superi i limiti previsti dall’art. 656 comma 5 (Sez. 4, 12222/2017).

Se è indubbio che spetti al giudice dell’esecuzione la valutazione dell’eventuale applicabilità o meno del provvedimento di clemenza ed eventualmente la statuizione sull’estinzione della pena, non può per ciò solo escludersi un’anticipata incidenza del provvedimento contemplante il beneficio anche – e soprattutto – ai fini di cui all’art. 656 comma 5.

Una siffatta interpretazione s’impone, non solo per esigenze di razionalità del sistema (che tende ad evitare la carcerazione di soggetti condannati a pene detentive brevi e a privilegiare, ove possibile, l’espiazione delle pene mediante ricorso a misure alternative alla detenzione), ma anche in ragione del disposto di cui all’art. 672 comma 3, che consente al PM che cura l’esecuzione della sentenza di condanna di disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l’amnistia o l’indulto, dovendosi ritenere che quanto previsto in relazione al condannato detenuto sia, a maggior ragione, applicabile allorquando il possibile fruitore del beneficio si trovi in stato di libertà.

L’avvenuta sottoposizione della ricorrente alla restrizione della propria libertà personale per un periodo indubbiamente superiore al dovuto deve ritenersi pertanto tale da legittimare l’interessata alla rivendicazione dell’indennità per la riparazione dell’ingiusta detenzione subita, in conformità ai principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 310/1996) (Sez. 4, 12222/2017).

La disposizione di cui all’art. 672, nel riconoscere il diritto del condannato di ottenere il beneficio dell’amnistia non distingue tra amnistia propria ed impropria e, pertanto, anche sotto tale profilo, l’interesse del condannato ad ottenere integrale applicazione dell’istituto non può essere compresso.

Né può comprimersi la facoltà del condannato di impugnare la pronunzia in fase di cognizione o di attivarsi in sede di esecuzione. Trattandosi di amnistia propria deve poi ritenersi sussistente un interesse del condannato alla sua applicazione, indipendentemente dalla circostanza se sia o meno terminata l’esecuzione della pena, non occorrendo cioè che il suo riconoscimento abbia pratica incidenza sulla pena da espiare (Sez. 1, 49178/2016).

L’indulto, operando con riferimento alle pene detentive e pecuniarie, non è applicabile alle sanzioni di cui all’art. 9 D. Lgs. 231/2001 in quanto sanzioni collegate a responsabilità di natura amministrativa e non penale, versandosi in tema di illeciti amministrativi e non di reati (Sez. 1, 21724/2018).

All’errata applicazione in eccesso dell’indulto, determinata da svista o erronea interpretazione normativa del giudice della cognizione, si può porre rimedio solo attraverso tempestiva impugnazione del PM, non in sede esecutiva con la procedura di correzione dell’errore materiale, ostandovi la preclusione del giudicato (Sez. 1, 41938/2009).

L’indulto concesso con la L. 241/2006 si applica anche in favore del cittadino italiano che debba scontare in Italia, in seguito al rifiuto della consegna richiesta con MAE, la pena inflitta con sentenza dell’AG di uno Stato dell’Unione europea (Sez. 1, 34367/2009).

In tema di MAE, l’indulto si applica anche al cittadino italiano la cui consegna sia stata rifiutata a norma dell’art. 18, comma 1, lett. r), L. 69/2005, ai fini della esecuzione nello Stato della pena (Sez. F, 32332/2009).

L’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’espiazione, non ha però efficacia ablativa ed eliminatoria degli altri effetti scaturenti “ope legis”, quale può essere l’effetto della somma delle pene irrogate sul limite di concedibilità della sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive ai sensi dell’art. 656, comma 5 (Sez. 1, 46246/2008).

È ammissibile l’applicazione dell’indulto a pena dichiarata interamente espiata per effetto del principio di fungibilità, purché sussista un concreto interesse del condannato al conseguimento di qualche effetto favorevole (Sez. 1, 43055/2008).

In tema di riabilitazione, ove sia stata condonata la pena inflitta con la sentenza in relazione alla quale il condannato chiede di essere riabilitato, il termine previsto dall’art. 179 Cod. pen. per la concessione del beneficio decorre - atteso il carattere meramente dichiarativo del provvedimento giurisdizionale di applicazione del condono - non dalla data di tale provvedimento ma da quella di entrata in vigore del decreto di clemenza (Sez. 1, 42724/2001).

Il provvedimento applicativo dell’indulto, emesso in sede di cognizione, in quanto condizionato ex lege, non ha carattere definitivo, potendo essere sempre revocato in executivis, pur se erroneamente emesso in presenza di una causa di revoca, a meno che non risulti che quest’ultima, nota al giudice, sia stata almeno implicitamente valutata e ritenuta inoperante.

Qualora, invece, sia lo stesso giudice dell’esecuzione a dichiarare condonata la pena con provvedimento impugnabile a norma degli artt. 672, comma 1 e 667, la decisione assume – in forza del generale principio del ne bis in idem operante, in quanto compatibile, anche nel procedimento esecutivo – carattere di definitività e deve, quindi, ritenersi irrevocabile, essendo suscettibile di modifica solo in sede di gravame, ma non per successivo e autonomo intervento del giudice dell’esecuzione, cui la stessa questione potrebbe essere riproposta, data la natura di pronuncia «allo stato degli atti» dei provvedimenti da lui emessi, soltanto in una mutata situazione di fatto, e non sulla base di elementi preesistenti.

Ne consegue che nel procedimento di esecuzione l’erronea applicazione dell’indulto in presenza di una causa di revoca, una volta definitiva, preclude l’accoglimento di una successiva istanza del pubblico ministero intesa a far valere la medesima ragione di revoca (Sez. 1, 749/2001).