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Art. 316 - Presupposti ed effetti del provvedimento

1. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato, il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell’imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento.

1-bis. Quando procede per il delitto di omicidio commesso contro il coniuge, anche legalmente separato o divorziato, contro l’altra parte dell’unione civile, anche se l’unione civile è cessata, o contro la persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, il pubblico ministero rileva la presenza di figli della vittima minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti e, in ogni stato e grado del procedimento, chiede il sequestro conservativo dei beni di cui al comma 1, a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli delle vittime.

2. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato, la parte civile può chiedere il sequestro conservativo dei beni dell’imputato o del responsabile civile, secondo quanto previsto dal comma 1.

3. Il sequestro disposto a richiesta del pubblico ministero giova anche alla parte civile.

4. Per effetto del sequestro i crediti indicati nei commi 1 e 2 si considerano privilegiati, rispetto a ogni altro credito non privilegiato di data anteriore e ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi.

Rassegna giurisprudenziale

Presupposti ed effetti del provvedimento (art. 316)

Natura cautelare del sequestro conservativo

La natura di misura cautelare del sequestro conservativo impone che il suo funzionamento sia analizzato utilizzando i criteri di fondo del sistema cautelare, primo fra tutti l’accertamento, da parte del giudice emittente e del giudice della impugnazione, dei presupposti applicativi del sequestro ed in particolare, dei presupposti di legittimità comuni a tutte le misure cautelari reali, del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonchè in considerazione della specifica previsione dell’art. 316, comma 1, del requisito imprescindibile, della pignorabilità, posto che, ai sensi del successivo art. 320, comma 1, il sequestro si converte in pignoramento una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria, ovvero al risarcimento del danno in favore della parte civile. Pertanto, non vi è motivo per non riconoscere che sia valutabile dal giudice che procede o da quello della impugnazione cautelare il rispetto dei parametri normativi che condizionano o possono paralizzare la deduzione della impignorabilità, in quanto il controllo demandato al tribunale del riesame deve essere “pieno” e tendere alla verifica della legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili, compresi quelli di sostanza e di derivazione civilistica (SU, 38760/2016).

Il sequestro conservativo considerato dal codice di rito del 1930, un mezzo di garanzia patrimoniale per l’esecuzione, è divenuto nel sistema del codice del 1988 una misura cautelare reale che  è di rilievo precisarlo  si profila, con le necessarie differenziazioni derivanti dalla tipologia procedimentale entro cui la pretesa viene fatta valere, come modulo pressoché analogo al sequestro conservativo civile, sia per la funzione ad esso assegnata dalla legge, e cioè impedire la disponibilità anche giuridica della cosa rendendone inefficace l’eventuale alienazione sia per l’identità dello strumento di esecuzione, vale a dire, il pignoramento. L’art. 316, dedicato ai «Presupposti ed effetti del provvedimento», definisce tali presupposti, tanto che essi si riferiscano all’iniziativa del PM (legittimato a chiedere il sequestro conservativo al fine di garanzia per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato) tanto che essi si riferiscano all’iniziativa della parte civile (legittimata a chiedere il sequestro conservativo al fine di garanzia per le obbligazioni civili derivanti da reato), nel solo cosiddetto periculum in mora, vale a dire nel «fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le predette garanzie», che diviene così elemento necessitato della fattispecie costitutiva del potere di disporre il sequestro conservativo penale. La richiesta ora rammentata può proporsi in ogni stato e grado del processo di merito e, dunque (a differenza di quanto si verifica in tema di sequestro conservativo richiesto nel procedimento civile), prescinde dal fumus delicti (che è insito nella fase in cui il provvedimento può essere richiesto). Per effetto del sequestro assentito (e qui è da ravvisare un effetto esclusivo del sequestro conservativo penale) i crediti sopra indicati si considerano privilegiati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato di data anteriore ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi (SU, 51660/2014). 

La misura ex art 316 può essere disposta su impulso del PM solo se strumentalmente finalizzata alla garanzia del pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario. Per contro, al di fuori dei casi e dei limiti segnati dall’art. 77, il PM non può, sostituendosi ai soggetti interessati, chiedere il sequestro conservativo a tutela di interessi civili. Una siffatta richiesta costituisce infatti esplicazione dell’azione civile esercitata nel giudizio penale; ne consegue che la relativa legittimazione è riservata esclusivamente a coloro cui il reato ha recato danno ovvero ai loro eredi che possono agire per le restituzioni ed il risarcimento: né la circostanza che detta azione possa essere esercitata nel processo penale comporta delega di esercizio alla parte pubblica (Sez. 2, 13564/2019).

La misura cautelare del sequestro conservativo, prima della definitività della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, è suscettibile di revoca solo nel caso in cui venga offerta idonea cauzione e non anche per il venir meno dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione; con la conseguenza che la mancata impugnazione del relativo provvedimento impositivo, ai sensi dell’art. 318 c.p.p., preclude la possibilità della sua caducazione da parte del giudice procedente, fino alla irrevocabilità della sentenza di assoluzione (Fattispecie nella quale la corte di appello aveva assolto l’imputato dai reati contestati, respingendo l’istanza di revoca del sequestro conservativo emesso nell’ambito del procedimento penale a carico dello stesso. L’imputato ricorreva per cassazione, rilevando che il giudice del merito non aveva indicato le ragioni per le quali aveva ritenuto di mantenere il sequestro, pur essendo venuti meno, a seguito della sentenza assolutoria, i presupposti che lo avevano legittimato. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha rigettato il ricorso) (Sez. 2, 16796/2022).

Giudice competente

La competenza in ordine all’emissione del provvedimento che dispone il sequestro conservativo, previsto dall’art. 316 permane in capo al GIP anche dopo il provvedimento che dispone il giudizio, finché gli atti non siano trasmessi al giudice competente per il dibattimento: tale regime trova ragione nel carattere di urgenza inerente alla misura, preordinata ad impedire la dispersione delle garanzie sui beni (Sez. 6, 57260/2017).

Periculum in mora e rischio di mancanza o dispersione delle garanzie

L’art. 316, nel definire al comma 1 i presupposti per l’applicazione del sequestro conservativo, espressamente si riferisce a situazioni in cui “manchino” ovvero “si disperdano” le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario. Stando alla definizione normativa, il “periculum” consiste nel concreto e fondato timore della incapienza del patrimonio dell’imputato (che può essere originaria o sopravvenuta) rispetto agli obblighi nascenti dalla commissione del reato, a cui si riconosce tramite il sequestro conservativo, titolo ad una soddisfazione in via privilegiata (art. 314, comma 4). Due sono i modi attraverso cui può manifestarsi il pericolo: la mancanza (intesa anche come inadeguatezza o insufficienza) dell’oggetto della garanzia patrimoniale; il rischio che essa possa disperdersi. In entrambi i casi l’accertamento deve vertere su un confronto tra l’entità del patrimonio del debitore e l’insieme delle ragioni creditorie gravanti sul medesimo (Sez. 4, 34894/2018).

Perché possa affermarsi la sussistenza del presupposto del periculum in mora, ha stabilito che è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, non occorrendo invece che sia simultaneamente acclarata una condotta, processuale o extraprocessuale, dell’imputato da cui poter desumere, secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, l’eventualità di una dispersione del suo patrimonio o la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento del credito (Sez. 4, 4636/2018).

Per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore (Sez. 5, 11945/2020).

Iniziativa della parte civile

La parte civile che si costituisca in cancelleria secondo le modalità di cui all’art. 78 comma 2, non ha alcuna legittimazione a chiedere il sequestro conservativo nei confronti dell’imputato, fino a che la suddetta costituzione non sia a questi notificata (Sez. 2, 14164/2018).

Limiti del sequestro conservativo

Il giudice che dispone il sequestro conservativo deve valutare che il vincolo sia mantenuto nei limiti in cui la legge lo consente e verificare la ragionevole proporzionalità fra crediti da garantire ed ammontare del debito, dovendo ritenersi applicabile, anche nel procedimento penale, l’art. 496 Cod. proc. civ., che consente al giudice, ove risulti l’esorbitanza dei beni originariamente staggiti rispetto all’ammontare del credito, la riduzione del pignoramento (Sez. 2, 36955/2018).

Ai fini della validità del provvedimento che dispone il sequestro conservativo non è richiesta la specificazione della somma il cui pagamento la misura cautelare è destinata a garantire, ben potendo la determinazione del suo ammontare, sia ai fini dell’eventuale prestazione di idonea cauzione, sia per evitare il perdurare ingiustificato del vincolo, essere effettuata successivamente dal giudice.

Non è, pertanto, configurabile alcuna nullità per la mancata indicazione, nell’ordinanza dispositiva del sequestro conservativo, della somma a garanzia della quale la misura risulta disposta (SU, 3462/2006).

In tema di sequestro conservativo, il quantum della somma da vincolare deve essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice che autorizza il sequestro, anche qualora sia intervenuto il rinvio a giudizio, in quanto non si tratta di tema coperto dalla preclusione derivante dall’intervenuto vaglio in ordine al fumus del reato. E' inoltre necessario che il provvedimento di sequestro determini, almeno in termini approssimativi, il quantum del credito risarcitorio da garantire sulla base di dati oggettivi, specialmente al fine della garanzia dei principi di necessità, adeguatezza e proporzionalità applicabili anche alle misure cautelari reali (fattispecie nella quale, a seguito di rinvio a giudizio per la partecipazione ad un sodalizio criminoso dedito alla vendita truffaldina di autovetture usate alle quali veniva artificiosamente ridotto il chilometraggio effettivamente percorso, era stato disposto il sequestro conservativo di due beni immobili di elevato valore economico. La Corte, in applicazione del principio enunciato ed in considerazione del valore presumibilmente contenuto del danno prodotto dal reato e delle sanzioni pecuniarie, ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale competente per nuovo giudizio) (Sez. 2, 10648/2021).

Pignorabilità dei beni

In sede di opposizione all’esecuzione, come l’opponente può contestare il diritto di procedere all’esecuzione forzata, adducendo l’ impignorabilità del bene staggito perché conferito ad un fondo patrimoniale, sorta anteriormente alla formazione del titolo esecutivo giudiziale od al conseguimento della sua definitività, così, simmetricamente, non è precluso al creditore procedente di replicare che la pignorabilità del bene deriva dall’applicazione dell’art. 192 Cod. pen., qualora il fondo sia stato costituito dall’autore del reato dopo la commissione dello stesso, attesa l’inesistenza di un rapporto di pregiudizialità tra azioni revocatorie, tanto più di quella penale, rispetto all’opposizione all’esecuzione che si fondi sull’impignorabilità di beni che siano oggetto di queste (Sez. 3 civile, 23158/2014).

Atti inopponibili al danneggiato

Non sono opponibili al creditore danneggiato dal reato gli atti a titolo gratuito posti in essere dall’imputato successivamente al tempus commissi delicti (Sez. 5, 1935/2018).

L’art. 194 Cod. pen. e le norme precedenti disciplinano le ipotesi in cui gli atti di disposizione patrimoniale sono inefficaci a fronte dell’esistenza dei crediti indicati dall’art.189 Cod. pen. rispetto ai quali i beni dell’imputato possono essere assoggettati a sequestro, allo scopo di garantire, fra l’altro, il pagamento delle somme dovute a titolo del risarcimento del danno.

È del tutto evidente, allora, che le due norme hanno un ambito di applicabilità differente; da un lato gli artt. 192, 193 e 194 Cod. pen. indicano i presupposti perché un atto di disposizione patrimoniale sia dichiarato inefficace rispetto ai creditori indicati dall’art.189 Cod. pen. e, in ultima analisi, detta le regole per la pignorabilità dei beni che con gli atti dichiarati inefficaci siano stati trasferiti. Le disposizioni sul sequestro conservativo (artt. 316 e ss.) mirano, invece, a salvaguardare le garanzie patrimoniali dei creditori indicati dall’art. 189 Cod. pen., fra cui la parte civile, fino a che, con la pronuncia di una sentenza penale irrevocabile di condanna, il sequestro conservativo si converte in pignoramento ai sensi dell’art. 320.

Le diverse norme debbono essere lette congiuntamente, sicché lo strumento cautelare per assicurare che non si disperdano le garanzie patrimoniali di taluni creditori, fra cui la parte civile, è il sequestro conservativo, che deve colpire dei beni la cui pignorabilità  a seguito della pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna  è determinata nel rispetto delle regole di cui agli artt. 192, 193, 194 Cod. pen.

In tale contesto ben si comprende come gli articoli 192, 193 e 194 Cod. pen. si riferiscano al “colpevole” in quanto disciplinano la possibilità di rendere inefficaci atti di disposizione patrimoniale e aggredire dei beni, quindi logicamente presuppongono un giudizio irrevocabile di colpevolezza ma, a monte, il criterio per evitare la dispersione di tali beni, potenzialmente aggredibili, è quello consueto che disciplina le misure cautelari reali ed è evidente che, trattandosi di un provvedimento cautelare, sarà rivolto non già ad un colpevole ma ad una persona sottoposta a procedimento penale.

Sul punto Sez. 3 civile, 23158/2014 ha chiarito che “Non è nemmeno necessario che l’autore dell’atto sia già stato condannato e tanto meno in via definitiva.

La norma penale accorda la tutela nei confronti del “colpevole”, il quale sia autore dell’atto di disposizione: ora, è ben vero che per “colpevole”, secondo la dottrina penalistica, va identificato colui al quale non solo è attribuito un fatto costituente reato, ma che ne è risultato altresì causa materiale e psichica per l’esistenza di uno degli atteggiamenti, richiesti dalla legge, della coscienza e della volontà verso l’evento; ma è altrettanto vero che, in vista ed in attesa di tale riconoscimento, il credito da tutelare comunque sussiste e che pertanto anche la sola prospettazione della qualità di colpevole, che si ha prima della condanna, fonda idoneamente l’invocabilità dell’inefficacia, se non altro appunto in via cautelare.

La carenza attuale del riconoscimento di quella qualità, del resto, neppure impedisce la costituzione di parte civile, il cui presupposto è appunto rimesso all’accertamento in esito all’intera attività processuale che, pure, essa è ammessa a compiere in vista di quella finale pronunzia. Si tratta, quindi, di un’anticipazione condizionata degli effetti di quel riconoscimento, finalizzata ad agevolarlo in dipendenza della particolare condizione personale del soggetto abilitato.

L’inefficacia penale può rilevare allora come giustificazione di misure cautelari finalizzate a preservare la garanzia consistente nel patrimonio del colpevole, prima ancora della sua condanna ed alla sola condizione della sua sottoposizione a procedimento penale: è, oggi, il caso del sequestro conservativo previsto dall’art. 316, una volta chiesto  ed a maggior ragione se conseguito, come poi in concreto avvenuto nella fattispecie in esame  dal danneggiato che si sia costituito parte civile; tuttavia, l’inefficacia potrà giungere a legittimare l’esecuzione sui beni sequestrati solo una volta che il sequestro, in virtù dei principi generali processualcivilistici richiamati dall’art. 320, si sia convertito  ma pur sempre con efficacia ex tunc e anticipando quindi al tempo della sua attuazione gli effetti della successiva azione esecutiva  in pignoramento in dipendenza del riconoscimento dei credito con sentenza di merito.

La dichiarazione di colpevolezza è quindi presupposto per la concreta operatività dell’invocata inefficacia: o, in altri termini, per l’effettiva aggressione esecutiva sul bene oggetto dell’atto di disposizione, secondo le ordinarie regole in tema di actio pauliana.

Se tanto è vero, l’inefficacia può essere fatta utilmente valere – se non ai fini della ricordata misura cautelare penale speciale, ma senza alcuna concreta definitiva conseguenza sul bene oggetto dell’atto di disposizione – esclusivamente a far tempo dalla dichiarazione di colpevolezza dell’autore dell’atto e, più precisamente, dal momento in cui quest’ultima, avendo determinato l’esistenza del credito in capo al danneggiato, possa fondare (secondo i principi generali sull’esercizio dell’azione civile nel processo penale, il cui approfondimento non rileva ai fini della presente controversia) un’azione esecutiva contro chi ne è attinto.

Conseguenza di tanto è che, in applicazione della regola generale prevista dall’art. 2935 Cod. civ., prima di tale data non può iniziare a decorrere nemmeno il termine prescrizionale; il quale, poi, per l’astratta riconducibilità dell’azione in esame al più ampio genere di quella revocatoria, non potrà che essere quello quinquennale previsto dall’art. 2903 Cod. civ.: non rileva allora, quale exordium praescriptionis, la data dell’atto di disposizione.

E, in applicazione anche in questo caso di regole generali civilistiche (e segnatamente dei commi primo e terzo dell’art. 2945 Cod. civ.), il termine prescrizionale è dapprima interrotto dall’esecuzione di una misura cautelare (come pure dall’inizio di un giudizio risarcitorio) e poi rimane sospeso – in dipendenza della retroazione al tempo di attuazione della misura cautelare degli effetti del pignoramento in cui essa si converte – durante tutto il tempo di pendenza del giudizio, penale o civile poco importa, che culmini nella pronunzia di un titolo esecutivo in favore del danneggiato che sia riconosciuto creditore”.

Anche la giurisprudenza di legittimità delle sezioni penali ha ammesso la possibilità che il sequestro conservativo colpisca, oltre che beni di proprietà dell’imputato, anche beni di proprietà di terzi, ove sia esperibile l’azione revocatoria dell’atto di acquisto ai sensi degli artt. 192, 193 e 194 Cod. pen., sottolineando che se si ritenesse non consentito il sequestro conservativo, l’esito positivo dell’azione revocatoria potrebbe essere del tutto inutile a fronte di un bene non sottoposto a nessun vincolo (Sez. 5, 40500/2017).