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Art. 196 - Capacità di testimoniare

1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare.

2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge.

3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell’esame testimoniale non precludono l’assunzione della testimonianza.

Rassegna giurisprudenziale

Capacità di testimoniare (art. 196)

Il giudice non è obbligato a disporre accertamenti per verificare l’idoneità fisica e mentale del testimone allorché possieda già dati sufficienti per potere decidere al riguardo (Sez. 1, 582/2018).

L’art. 210, che disciplina l’esame di persona imputata in un procedimento connesso, non richiama l’art. 196, concernente la capacità di testimoniare. Non sono, pertanto, ammesse indagini sulla capacità fisica o mentale di coloro che vengono esaminati quali imputati in procedimenti connessi.

La ragione di tale diverso trattamento normativo risiede nella distinta valenza e nel diverso peso che possono assumere le dichiarazioni testimoniali in senso stretto, rispetto a quelle rese dai soggetti che, per il collegamento che hanno con il fatto su cui riferiscono, risentono di un criterio legale di scrutinio sulla dichiarazione, con contorni di maggiore rigidità (Sez. 1, 11136/2016).

Poiché l’idoneità a testimoniare è condizione diversa dalla capacità di intendere e volere, la prima non può escludersi solo perché ricorre la seconda. Ne deriva che il giudice non assumerà le dichiarazioni di chi presenta disturbi mentali se risultano concreti elementi per ritenere che questi lo rendano attualmente del tutto incapace di rendere dichiarazioni con adeguata consapevolezza delle responsabilità del testimone, con sufficiente capacità mnemonica in relazione ai fatti specifici oggetto della deposizione, con la capacità di capire il contenuto delle domande così da fornire risposte pertinenti.

Da rilevanti anomalie concernenti questi profili può derivare la necessità di accertare ex art. 196 la capacità di testimoniare. Resta compito del giudice verificare, con particolare rigore, l’attendibilità di quanto affermato e le sue valutazioni, se espresse in modo logico e coerente, possono censurarsi in cassazione solo nei limiti del travisamento della prova (Sez. 6, 9953/2016).

L’idoneità a rendere testimonianza è concetto diverso e più ampio rispetto a quello della capacità di intendere e volere, implicando la prima non soltanto la capacità di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella di comprensione delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, di sufficiente memoria in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione e di piena coscienza dell’impegno di riferire con verità e completezza i fatti, sicché l’obbligo di accertamento non deriva da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore del teste, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme mancanza nel testimone di ogni consapevolezza in relazione all’ufficio ricoperto (Sez. 5, 51095/2015).

Il divieto di cui all’art. 120, comma 1, lettera a), in base al quale “non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento le persone palesemente affette da infermità di mente”, non concerne la idoneità ad essere sentito in qualità di testimone, che è in linea di principio invece piena nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento secondo la previsione dell’art. 196 (Sez. 3, 20380/2015).

Se è vero che lo stato di ritardo mentale della persona offesa non esclude che alla testimonianza della medesima sia attribuito pieno valore probatorio, è altrettanto vero però che ciò è possibile solo dopo che il giudice abbia accertato, ed abbia dato congrua motivazione, che la deposizione non è stata influenzata dal deficit psichico (Sez. 3, 45920/2014).