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Art. 197 - Incompatibilità con l’ufficio di testimone

1. Non possono essere assunti come testimoni:

a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444;

b) salvo quanto previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444;

c) il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria;

d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell’articolo 391-ter.

Rassegna giurisprudenziale

Incompatibilità con l’ufficio di testimone (art. 197)

L’incompatibilità a testimoniare in capo a coloro che ricoprono contestualmente la veste di imputati e persone offese di reati reciproci, non sussiste in relazione a quei reati che, seppur formalmente tali - nel senso, cioè, di essere stati commessi “da più persone in danno reciproco le une delle altre”, così come recita l’art. 371 comma 2 lett. b) - siano tuttavia stati consumati in contesti spaziali e temporali del tutto distinti ed estranei e perciò non riconducibili alla previsione della disposizione codicistica testé citata. Invero, se così non fosse, si lascerebbe spazio alla possibilità di denunce strumentalmente finalizzate a creare situazioni di incompatibilità a testimoniare, così venendo inammissibilmente ad incidere sul corretto esercizio della giurisdizione penale, laddove la negazione ai soggetti che versano nella descritta situazione di “reciprocità” della piena capacità di testimoniare deve ritenersi costituzionalmente legittima unicamente se il presupposto dell’incompatibilità sia ancorato ad un elemento oggettivo, come tale non soggettivamente determinabile a piacimento: dunque, soltanto se i reati siano stati commessi reciprocamente nel medesimo contesto causale, di spazio e tempo, dovendosi per l’effetto escludere, nel solco di una interpretazione costituzionalmente orientata, le ipotesi il cui il vincolo della reciprocità sia determinato dal comportamento di uno dei soggetti coinvolti (Fattispecie nella quale l’imputata veniva assolta dai reati di tentata estorsione e molestie per l’asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte civile, indagata per i reati di stalking e violenza privata commessi in anni precedenti. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello) (Sez. 2, 23778/2021).

Non sussiste incompatibilità alla prestazione dell’ufficio di testimone da parte di soggetto che abbia prestato, nello stesso procedimento, quello di interprete, non essendo una tale incompatibilità compresa tra quelle previste dall’art. 197 e non potendosi applicare, per analogia, il disposto di cui all’art. 144, comma 1, lett. d), nel quale si prevede soltanto l’ipotesi inversa della incompatibilità del testimone a prestare ufficio di interprete, stante il carattere eccezionale delle norme che limitano la capacità a testimoniare (Sez. 1, 8810/2018).