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Art. 537 - Pronuncia sulla falsità di documenti

1. La falsità di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, è dichiarata nel dispositivo.

2. Con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell’atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita. La cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.

3. La pronuncia sulla falsità è impugnabile, anche autonomamente, con il mezzo previsto dalla legge per il capo che contiene la decisione sull’imputazione.

4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di sentenza di proscioglimento.

Rassegna giurisprudenziale

Pronuncia sulla falsità di documenti (art. 537)

La Corte di cassazione può adottare direttamente i provvedimenti previsti dall’art. 537, ove siano stati omessi dal giudice di merito, non occorrendo alcuna valutazione di merito per una declaratoria che la legge pone come effetto inevitabile della sentenza di condanna, a cui a tali fini è equiparabile la sentenza di applicazione della pena su accordo delle parti (Sez. 4, 5322/2017).

Con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – decisione equiparata alla sentenza di condanna dall’art. 445 comma 1, ultima parte – il giudice è tenuto a dichiarare, ai sensi dell’art. 537 comma 1, l’accertata falsità di atti o di documenti, poiché la dichiarazione di falsità prescinde dall’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, essendo fondata esclusivamente sull’accertamento  che si rende possibile anche nel giudizio speciale di patteggiamento, pur nei limiti di una cognizione allo stato degli atti  della non rispondenza al vero dell’atto o del documento (SU, 20/2000).

La dichiarazione di falsità di un atto o di un documento pronunziata ai sensi dell’art. 537 è statuizione autonoma ed accessoria della sentenza, che deve essere adottata non già nell’interesse di una parte, bensì in funzione della tutela della fede pubblica qualora possa ritenersi che nel corso del processo, quale che ne sia l’esito, tale falsità venga positivamente accertata sulla base delle norme che regolano l’acquisizione e la valutazione della prova.

In particolare, atteso il chiaro disposto del comma 4 del citato art. 537, la pronunzia in questione deve essere adottata anche in caso di proscioglimento dell’imputato, quale che ne sia la causa, posto che la disposizione menzionata non opera distinzioni di sorta. Né la trasformazione del reato di cui all’art. 485 Cod. pen. ad opera del D. Lgs. 7/2016 in illecito civile impedisce al giudice penale di pronunziarsi sulla falsità del documento comunque accertata nel corso del dibattimento, stante la ricordata autonomia ed obbligatorietà della relativa statuizione (Sez. 5, 25656/2018).

In senso contrario: La depenalizzazione della fattispecie di cui all’art. 485 Cod. pen. non può che travolgere anche la declaratoria di falsità atteso che nel caso in esame la sentenza di annullamento per la causa indicata travolge ed esclude qualsivoglia accertamento penalmente rilevante, ivi incluso quello inerente alla falsità, non potendosi applicare il principio sancito in materia di prescrizione, atteso che in detto ultimo caso la statuizione di falsità ai sensi dell’art. 537 richiede comunque l’accertamento del fatto e la colpevolezza dell’imputato (Sez. 5, 48202/2017).

Quando si proceda per reati contro la fede pubblica, in caso di dichiarazione di estinzione del reato per decorso del termine di prescrizione, è comunque necessario l’accertamento della eventuale falsità, sia al fine di applicare la misura di sicurezza patrimoniale prevista dall’art. 240 comma 2, n. 2) Cod. pen. che al fine di pronunciare la dichiarazione prevista dall’art. 537, comma 4. (Sez. 2, 13911/2016).

La dichiarazione di falsità di un documento non può considerarsi una statuizione civile, né lo diviene solo perché il fatto della falsificazione, in quanto integrante una figura di reato, legittima ai sensi dell’art. 185 Cod. pen. il danneggiato ad esercitare nel processo penale l’azione civile per il risarcimento dei danni che ne sono conseguiti. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 576 comma 1, la parte civile non è legittimata ad impugnare la pronunzia sulla falsità, quale che ne sia il contenuto (Sez. 5, 14194/2018).

È escluso che il giudice in sede di archiviazione abbia il potere di accertare la falsità degli atti - potere conferito dalla legge solo unitamente alla sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 537 e suscettibile di autonoma impugnazione funzionale alla idoneità di tale provvedimento a produrre mutamenti nella sfera giuridica dei terzi (Sez. 6, 20559/2018).

Il disposto dell’art. 537 comma 1 non richiede una specifica motivazione in ordine alla falsità del documento e non implica valutazioni di merito aggiuntive rispetto a quelle già effettuata nell’accertare la penale responsabilità per il falso e nel pronunciare la sentenza di condanna.

La norma trova la sua “ratio” nell’interesse pubblico ad eliminare l’affidabilità di atti accertati come falsi e a neutralizzare documenti lesivi della fede pubblica, sicchè la dichiarazione di falsità discende necessariamente dall’accertamento della penale responsabilità per il falso (Sez. 5, 24666/2018).