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Art. 679 - Misure di sicurezza

1. Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dei casi previsti nell’articolo 312, ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato. Provvede altresì, su richiesta del pubblico ministero, dell’interessato, del suo difensore o di ufficio, su ogni questione relativa nonché sulla revoca della dichiarazione di tendenza a delinquere.

2. Il magistrato di sorveglianza sovraintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personali.

Rassegna giurisprudenziale

Misure di sicurezza (art. 679)

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 666 comma 3, 678 comma 1 e 679 comma 1 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica (Corte costituzionale, sentenza 135/2014).

Costituisce principio giurisprudenziale ormai consolidato l’attribuzione della competenza funzionale alla magistratura di sorveglianza, quale giudice specializzato, in materia di misure di sicurezza e di accertamento della pericolosità sociale del soggetto; ciò perché è appunto al magistrato di sorveglianza che la legge ha attribuito la competenza esclusiva in tema di misure di sicurezza (diverse dalla confisca ed eccettuati i casi di cui all’art. 312) disposta con sentenza o da irrogarsi successivamente.

In altri termini, a norma dell’art. 205 Cod. pen., le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento, ricorrendone le condizioni specificate nell’art. 202 Cod. pen.: commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato e attuale pericolosità sociale, intesa come probabilità di commissione di nuovi fatti preveduti dalla legge come reati, da accertare, a norma dell’art. 203 Cod. pen., secondo l’indefettibile canone dell’attualità, alla luce delle circostanze indicate nell’art. 133 Cod. pen.

Una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di proscioglimento e negli altri casi stabiliti dalla legge (dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere ed estinzione della pena), la competenza ad ordinare le misure di sicurezza è attribuita, in via esclusiva, al magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, a norma dell’art. 679 in relazione all’art. 205 Cod. pen., comma 2.

La competenza del magistrato di sorveglianza nei casi predetti e, segnatamente, dopo la definizione del processo di cognizione con sentenza irrevocabile, ha carattere funzionale e, come tale, in caso di violazione, è sempre rilevabile, anche di ufficio, a norma dell’art. 21, comma 1 (Sez. 1, 28382/2018).

Ritiene erroneamente il giudice a quo di dover operare una assimilazione strutturale tra l’espulsione dello straniero, disposta dall’AG come misura di sicurezza in senso stretto e quella che, al contrario, risulta assunta dall’autorità amministrativa ai sensi dell’art. 13 comma 13 D. Lgs. 286/1998 (o dal giudice ai sensi dell’art. 13-bis D. Lgs. 286/1998), in guisa tale da recuperare la prima allo statuto di “durata” della seconda, attraverso il ragionamento analogico dell’ubi eadem ratio ibi eadem iuris dispositio.

Osserva il giudice a quo che non essendo prevista una durata massima dell’espulsione stessa, ordinata come misura di sicurezza, ai sensi dell’art. 235 Cod. pen. dal giudice penale, il reingresso, avvenuto in violazione di essa, oltre il quinquennio non avrebbe rilievo penale, giacché il termine anzidetto si dovrebbe inferire attraverso un meccanismo di equiparazione logico-giuridica, come termine massimo unitario, applicabile anche alla misura di sicurezza in senso stretto, disposta dall’AG penale.

Il ragionamento svolto sconta essenzialmente due profili critici. Il primo è relativo alla assimilazione strutturale tra le misure dell’espulsione cd. amministrative (cioè ordinate dall’Autorità amministrativa e che trovano fonte regolatrice nell’art. 13 del D. Lgs. 286/1998) e quelle che, al contrario, risultano disposte dall’AG, come misure di sicurezza in senso stretto.

Le prime risultano misure di natura amministrativa stricto iure, anche là dove in via sostitutiva disposte dall’AG e sono funzionalmente collegate sul piano amministrativo a contrastare l’ingresso illegale o la illecita permanenza sul territorio dello Stato.

L’espulsione amministrativa è, infatti, prevista in tre ipotesi essenziali: l’ingresso irregolare dello straniero che, sottrattosi ai controlli di frontiera non è stato respinto ai sensi dell’art. 10 del T.U. 286/1998; l’irregolarità del soggiorno, ricorrente nelle ipotesi in cui lo straniero non abbia richiesto il relativo permesso e quelle in cui sia stato accertato che il soggetto straniero appartenga ad una delle categorie di tipica pericolosità di prevenzione, già contemplate dall’art. 1 L. 1423/1956 (ora D. Lgs. 159/2011). Ancora, l’AG può disporre ulteriori tipi di espulsione.

A prescindere da quella a titolo di sanzione sostitutiva e di sanzione alternativa alla detenzione, in questa sede rileva il provvedimento emesso ex art. 235 Cod. pen. Esso è disposto dal giudice, dopo la condanna. Si tratta di una misura di sicurezza in senso stretto, di carattere non detentivo, finalizzata al controllo della pericolosità del soggetto e che va eseguita dopo l’espiazione della pena. (esecuzione o estinzione) (art. 211 Cod. pen.).

Si tratta di una misura sensibilmente diversa dalle precedenti di tipo amministrativo (che risultano collegate alla irregolarità della posizione giuridica dello straniero sul territorio dello Stato) o a quelle che sono assunte con funzione alternativa o sostituiva della pena e che rivestono il carattere di modelli, in definitiva, alternativi all’esecuzione penale.

La legittimazione all’espulsione, come misura di sicurezza, nell’attuale e vigente assetto normativo è frutto delle modifiche apportate dall’art. 1 comma 1 lett. a) DL 92/2008 convertito in L. 125/2008. Esso prevede l’espulsione nei casi previsti dalla legge e nelle ipotesi in cui vi sia stata la condanna ad una pena di entità superiore a due anni.

L’abrogazione dell’art. 204 Cod. pen. impone un accertamento concreto e costante della pericolosità sociale prima di procedere all’applicazione della misura di sicurezza, con necessità d’una verifica del presupposto applicativo, demandata al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 679. Le due forme di controllo (amministrativo e come misura di sicurezza) sono concettualmente e strutturalmente diverse. In ciò sta la ragione degli statuti normativi diversificati, dettati in funzione della distinta finalità cui essi assolvono.

Le misure amministrative, cui si è fatto cenno, hanno essenzialmente lo scopo di assicurare il controllo della presenza dello straniero sul territorio e di un possibile contrasto ai profili amministrativi della pericolosità sociale.

L’espulsione come misura di sicurezza, disposta dall’AG, al contrario, (prescindendo dalle sanzioni sostitutive o alternative alla detenzione) ha la tipica funzione del controllo della pericolosità cd. post delictum, nella logica del doppio binario, cui è ispirato il sistema sanzionatorio prescelto dal codice penale. Esse sono, pertanto, collegate alla commissione di un fatto reato e alla pericolosità sociale del suo autore.

Non hanno funzione di contenimento e di controllo della regolarità della presenza sul territorio dello Stato.

La mancata previsione, dunque, di un termine di durata massimo è in intimo e naturale collegamento con la gravità del fatto e con lo spessore di pericolosità soggettiva che da esso si inferisce. In ciò risiede la ragione della astratta mancata previsione dell’invocato termine massimo e della mancata equiparazione agli altri modelli di controllo, che al contrario prevedono il quinquennio come limite di durata non valicabile. Non ricorre, pertanto, un’ipotesi in un cui la misura di sicurezza dell’espulsione determina un effetto permanente a carico dello straniero che la subisce, a differenza delle altre misure personali, che prevedono un termine minimo di durata con un riesame di pericolosità alla scadenza.

La regola di revocabilità della misura, ai sensi dell’art. 207 Cod. pen., opera pleno iure e si lega al venir meno dei presupposti legittimanti, applicandosi anche alle misure istantanee come l’espulsione e non alle sole misure di durata, attraverso, appunto, il riesame della pericolosità (Sez. 1, 37305/2018).

La pericolosità sociale del proposto deve essere attuale e sussistente al momento della relativa decisione, con la conseguenza che la detenzione, per un congruo lasso di tempo, impone particolare rigore nella valutazione degli indici sintomatici della sua persistenza, facendo risorgere la necessità di una puntuale motivazione sull’attualità della pericolosità (Sez. 1, 37029/2018).

Salvi i casi in cui la misura di sicurezza sia applicata direttamente dal magistrato di sorveglianza, la valutazione di pericolosità sociale va effettuata due volte: prima dal giudice della cognizione, al fine di verificarne la sussistenza al momento della pronuncia della sentenza; poi dal magistrato di sorveglianza, quando la misura già disposta deve avere concretamente inizio, in modo tale da garantire l’attualità della pericolosità del soggetto colpito dalle restrizioni della libertà personale connesse alla misura stessa: l’art. 679 stabilisce che quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata (fuori dei casi previsti nell’articolo 312) ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti.

Per altro verso, si è affermato l’orientamento secondo cui la declaratoria di abitualità nel delitto di cui all’art. 103 Cod. pen., da cui deriva l’applicazione o la prosecuzione di una misura di sicurezza, può intervenire anche nei confronti di soggetti che si trovano in uno stato di espiazione di una pena detentiva: è però necessaria una rigorosa verifica, da parte del magistrato di sorveglianza, della pericolosità sociale del soggetto detenuto, anche tenendo conto della lontananza nel tempo della data di scadenza della pena detentiva (Sez. 1, 25217/2016).

Nell’ipotesi in cui, successivamente all’adozione della misura, il sottoposto venga assoggettato a detenzione in carcere, a un diverso titolo cautelare o a espiazione di pena per un apprezzabile periodo temporale, potenzialmente idoneo ad incidere sullo stato di pericolosità in precedenza delibato, l’efficacia della misura stessa deve considerarsi sospesa fino a quando il giudice della prevenzione non ne valuti nuovamente l’attualità alla luce di quanto desumibile in favore del soggetto interessato dalla esperienza carceraria patita (Sez. 1, 22547/2015).

In tal caso il giudice della prevenzione, ai fini del ripristino della misura preventiva, deve rivalutare nuovamente l’attualità della pericolosità soltanto se la detenzione carceraria si sia protratta per un apprezzabile periodo temporale, potenzialmente idoneo ad incidere sullo stato di pericolosità sociale precedentemente delibato (Sez. 1, 38775/2016) La riassunzione si deve a Sez. 1, 8646/2018).

La declaratoria di abitualità nel delitto di cui all’art. 103 Cod. pen., da cui deriva l’applicazione o la prosecuzione di una misura di sicurezza, può intervenire anche nei confronti di soggetti che si trovano in uno stato di espiazione di una pena detentiva, essendo, peraltro, necessaria una rigorosa verifica, da parte del magistrato di sorveglianza, della pericolosità sociale del soggetto detenuto, anche tenendo conto del tempo eventualmente intercorrente sino alla data di scadenza della pena detentiva (Sez. 1, 25217/2016).

A mente dell’art. 109 Cod. pen. la dichiarazione di abitualità nel reato importa l’applicazione di misure di sicurezza. L’art. 216 Cod. pen. prescrive che coloro i quali sono stati dichiarati delinquenti abituali sono assegnati a una colonia agricola o ad una casa di lavoro e l’art. 217 Cod. pen. fissa la durata minima di tale misura di sicurezza per i delinquenti abituali in quella di anni due. Naturalmente, come è insito nello stesso sistema delle misure di sicurezza e come stabilisce l’art. 69 Ord. pen., con riferimento all’assegnazione del relativo compito al magistrato di sorveglianza, la concreta esecuzione della misura di sicurezza esige l’esame e, quando occorra, il riesame della pericolosità del soggetto destinatario di essa.

In sostanza, la dichiarazione di abitualità a delinquere è giuridicamente autonoma dalla misura di sicurezza: sicché, mentre essa è soggetta ad estinzione (per effetto della riabilitazione) a norma dell’art. 109 Cod. pen., la misura di sicurezza è invece revocabile (ex artt. 206 e 207 Cod. pen.), posto che anche in tal caso essa deve essere applicata in conseguenza della dichiarazione (art. 109, comma 1, Cod. pen.), in base alla verifica della pericolosità sociale.

Resta fermo il fatto, dunque, che  nell’ipotesi di declaratoria di delinquenza abituale  l’applicazione della misura di sicurezza deve essere ordinata previo accertamento che colui che ha commesso il fatto sia persona socialmente pericolosa ((essendo stata da tempo abrogata la norma che sanciva la pericolosità sociale presunta, ossia l’art. 204 Cod. pen.).

Poi, dal dettato dell’art. 216 Cod. pen. si trae univocamente che nei confronti della persona delinquente abituale (oppure delinquente professionale o per tendenza), della quale sia stata acclarata la persistente pericolosità sociale, va applicata la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o a una casa di lavoro. Anche tale misura di sicurezza deve trovare, in ogni caso, senza alcuna applicazione pregiudicata da mero automatismo, la sua giustificazione precisamente nell’accertata pericolosità sociale del condannato.

E  il punto non può non essere rimarcato  l’accertamento di tale pericolosità sociale è riservato alla sfera cognitiva esclusiva del giudice di merito il quale è chiamato a decidere sul tema considerando, oltre al reato nella sua oggettività, anche ogni altro elemento principale ed accessorio (Sez. 1, 50458/2017).

Secondo l’art. 680 il provvedimento in tema di dichiarazione di abitualità con il connesso accertamento della pericolosità sociale e, in generale, il provvedimento emesso in tema di applicazione di misure di sicurezza sono immediatamente esecutivi, per cui l’appello dell’interessato non ha effetto sospensivo, salvo che il tribunale disponga altrimenti (Sez. 1, 50548/2017).