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Art. 683 - Riabilitazione

1. Il tribunale di sorveglianza, su richiesta dell’interessato, decide sulla riabilitazione, anche se relativa a condanne pronunciate da giudici speciali, quando la legge non dispone altrimenti, e sull’estinzione della pena accessoria nel caso di cui all’articolo 179, settimo comma, del codice penale. Decide altresì sulla revoca della riabilitazione, qualora essa non sia stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato.

2. Nella richiesta sono indicati gli elementi dai quali può desumersi la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 179 del codice penale. Il tribunale acquisisce la documentazione necessaria.

3. Se la richiesta è respinta per difetto del requisito della buona condotta, essa non può essere riproposta prima che siano decorsi due anni dal giorno in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto.

Rassegna giurisprudenziale

Riabilitazione (art. 683)

La domanda di riabilitazione non può essere dichiarata inammissibile de plano, se il condannato allega l’impossibilità di adempiere le obbligazioni civili derivanti dal reato in ragione delle sue condizioni economiche, perché si impone un giudizio sulle giustificazioni addotte (Sez. 1, 42453/2009).

In tema di riabilitazione costituisce condizione imprescindibile per l’ottenimento del beneficio richiesto l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato, anche nell’ipotesi in cui nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile (Sez. 7, 56492/2017).

La previsione generale di cui all’art. 683 comma 2, in forza della quale nel procedimento teso alla verifica delle condizioni di legge per la riabilitazione il tribunale acquisisce la «documentazione necessaria» riguarda essenzialmente la condizione positiva prospettata dall’istante e relativa alla «prova effettiva e costante di buona condotta» presupposto che non può essere, per sua natura, lasciato al dominio della parte privata.

Lì dove, invece, si tratti di superare la condizione ostativa del mancato adempimento delle obbligazioni civili è da ritenersi che l’istante debba allegare atti che consentano di ritenere effettivamente soddisfatti detti crediti, o in alternativa documentare in modo adeguato le condizioni di concreta impossidenza o le altre condizioni di fatto e di diritto (irreperibilità, rinunzia espressa da parte dei creditori) tali da rendere impossibile l’adempimento (Sez. 1, 14491/2014).

Pure in presenza di una sentenza di patteggiamento, equiparata ad una sentenza di condanna e, quindi, dotata di efficacia extra-procedimentale, il tribunale di sorveglianza è tenuto ad accertare, anche in relazione alla tipologia del reato per il quale è intervenuta condanna, se il condannato che chiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare, per quanto possibile, tutte le conseguenze di ordine civile che siano derivate dalla sua condotta criminosa (Sez. 1, 16026/2006).

Avverso il provvedimento del tribunale di sorveglianza, reso nella materia attinente alla richiesta di riabilitazione, è esperibile da parte dell’interessato opposizione, ai sensi dell’art. 667. comma 4, allo stesso tribunale, che deciderà con le garanzie del contraddittorio camerale di cui all’art. 666 e non ricorso per cassazione. Esso è, di converso, proponibile contro l’ordinanza che decide sull’opposizione (Sez. 1, 28007/2016).

La verifica preliminare dell’esistenza delle condizioni richieste dalla legge per la concedibilità di un beneficio richiesto dal condannato, demandata al presidente del tribunale di sorveglianza ai sensi degli artt. 666, comma 2, e 678, comma 1, riguarda unicamente i presupposti minimi indefettibili in assenza dei quali l’istanza non potrebbe mai trovare accoglimento, ma non può consistere in una valutazione del merito della domanda (Sez. 1, 5642/1996).

Il presidente di un organo collegiale può dichiarare de plano inammissibile una richiesta, a norma dell’art. 666, comma 2, solo quando facciano difetto i requisiti posti direttamente dalla legge che non implichino alcuna valutazione discrezionale (Sez. 1, 26092/2013).

La competenza a disporre la riabilitazione da misura di prevenzione appartiene alla Corte d’appello ai sensi dell’art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, disposizione tuttora in vigore, atteso che l’art. 683 attribuisce al tribunale di sorveglianza la competenza a decidere sulle sole richieste di riabilitazione da condanna penale e fa, comunque, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti (Sez. 1, 23941/2004).

È carente di motivazione il provvedimento del tribunale di sorveglianza che abbia rigettato l’istanza di riabilitazione ritenendo insussistente il ravvedimento dell’istante sulla base della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna e del mancato conseguimento della sanatoria dell’opera abusiva, considerati alla luce della pendenza di un procedimento penale, ove il tribunale stesso non abbia valutato in concreto quegli elementi (irrilevanti, di per sé, e anche nella loro combinazione) al fine della qualificazione del comportamento del richiedente e dell’accertamento della prova di buona condotta: il semplice riferimento agli elementi stessi è apodittico e non costituisce validità di motivazione del provvedimento di diniego del beneficio (Sez. 3, 3396/1996).

In tema di estinzione della pena, il provvedimento che dispone la riabilitazione è costituito da un’ordinanza e non da una sentenza, come stabilito dall’art. 180 Cod. pen. Ciò perché il vigente codice di procedura demanda la relativa decisione (art. 683) al tribunale di sorveglianza, che provvede a norma dell’art. 666, ossia secondo quanto previsto per il procedimento di esecuzione, che si conclude sempre con ordinanza, salvi i casi di inammissibilità pronunciata con decreto (Sez. 5, 1687/1996).