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Art. 684 - Rinvio dell’esecuzione

1. Il tribunale di sorveglianza provvede in ordine al differimento dell’esecuzione delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata nei casi previsti dagli articoli 146 e 147 del codice penale, salvo quello previsto dall’articolo 147 comma 1 numero 1 del codice penale, nel quale provvede il ministro di grazia e giustizia. Il tribunale ordina, quando occorre, la liberazione del detenuto e adotta gli altri provvedimenti conseguenti.

2. Quando vi è fondato motivo per ritenere che sussistono i presupposti perché il tribunale disponga il rinvio, il magistrato di sorveglianza può ordinare il differimento dell’esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto. Il provvedimento conserva effetto fino alla decisione del tribunale, al quale il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti.

Rinvio dell’esecuzione (art. 684)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 684 comma 1 nella parte in cui attribuisce al Ministro della Giustizia e non al tribunale di sorveglianza la competenza a provvedere sull’istanza di differimento della pena proposta ai sensi dell’art. 147 n. 1 Cod. pen. (Corte costituzionale, sentenza 274/1990).

Pur quando siano emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, il tribunale di sorveglianza può ritenere comunque necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, quali appunto i permessi, per verificare la capacità del soggetto di adeguarsi alle prescrizioni connesse alle misure alternative alla detenzione, specie quando il reato oggetto della condanna in espiazione sia particolarmente grave e quindi indice di una significativa capacità a delinquere e della contiguità ad ambienti criminali di elevato spessore (nel caso di specie, la Corte ha decretato la corretta applicazione di tali principi da parte del giudice a quo, tenuto conto che il detenuto stava scontando la pena di anni ventiquattro di reclusione per il delitto di omicidio aggravato dall'agevolazione mafiosa e per il delitto di detenzione e spaccio di ingenti quantità di sostanza stupefacente ed ha iniziato a fruire dei permessi premio soltanto il 31 luglio 2020; da tali premesse ha logicamente ritenuto, in forza anche della relazione del GOT, che occorresse proseguire il percorso intramurario per sperimentare altre - e meno ampie di quella richiesta - occasioni trattamentali, come permessi premio e ammissione al lavoro all'esterno) (Sez. 1, 40817/2021).

La concessione del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147 Cod. pen. e della detenzione domiciliare ex art. 47-ter Ord. pen. si fonda sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo; - che, quindi, una volta esclusa l’incompatibilità assoluta delle condizioni di salute del condannato col regime carcerario ex art. 146 Cod. pen., a fronte di una richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato; - che il giudice deve, quindi, operare un bilanciamento di interessi tra le esigenze di certezza ed indefettibilità della pena, da una parte, e la salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza; - che di tale valutazione deve dare conto con motivazione compiuta, ancorché sintetica, che consenta la verifica del processo logico-decisionale ancorato ai concreti elementi di fatto emersi dagli atti del procedimento (Sez. 1, 24276/2017).

È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di reiezione dell’istanza di differimento dell’esecuzione della pena, emesso dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 684 comma 2, non essendo prevista alcuna forma di impugnazione, trattandosi di provvedimento di natura provvisoria giacché il giudizio circa la fondatezza della richiesta è di competenza del tribunale di sorveglianza (Sez. 1, 5647/1995, richiamata adesivamente da Sez. 1, 38099/2018).

L'esercizio ad opera del magistrato di sorveglianza del potere di provvedere in via provvisoria, sia che si concluda con il rigetto che con l'accoglimento della richiesta dell'interessato di applicazione della misura alternativa, si risolve nell'adozione di un provvedimento, comunque, non impugnabile perché appunto provvisorio, spettando al tribunale e non al magistrato la competenza a decidere in via definitiva sulle domande di misura alternativa (la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in base al principio di tassatività delle impugnazioni che non consente l’opposizione avverso il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza respinge la richiesta di applicazione provvisoria della sospensione dell'esecuzione della pena per infermità fisica, trattandosi di provvedimento di natura meramente interinale) (Sez. 1, 23190/2022).

Il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza a norma del secondo comma dell’art. 684 può ordinare il differimento dell’esecuzione, ha natura provvisoria ed urgente, ed è previsto per l’ipotesi in cui la protrazione dell’esecuzione può cagionare grave pregiudizio al condannato in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza, competente in tema di differimento pena a norma del primo comma dello stesso articolo; tale natura meramente interlocutoria esclude la possibilità di ricorso per cassazione contro di esso a norma dell’art. 568, comma 2, e dell’art. 111 Cost., non trattandosi di provvedimento con il quale il giudice decide sulla libertà personale, essendo la decisione in senso proprio riservata nella materia in esame al tribunale di sorveglianza (Sez. 7, 56884/2017).

Il differimento della pena, secondo la disciplina normativa di cui agli artt. 146 e 147 Cod. pen., può essere provvedimento obbligatorio ovvero facoltativo, sulla base della ricorrenza o meno di determinati requisiti, e il giudice, investito della richiesta di rinvio della esecuzione della pena, ove facoltativa, deve tenere conto, oltre che della compatibilità dell’infermità con le possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, dell’esigenza di non ledere comunque il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dagli artt. 32 e 27 Cost.

Tale circostanza ricorre, ad esempio, quando, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di detenzione, le deteriorate condizioni di salute del detenuto diano luogo a una sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla privazione dello stato di libertà in sé e per sé considerata, in conseguenza della quale l’esecuzione della pena risulti incompatibile con i richiamati principi costituzionali, fermo restando che detta sofferenza aggiuntiva è inevitabile quando la pena deve essere eseguita nei confronti del soggetto in non perfette condizioni di salute, sì che essa può assumere rilievo solo quando si appalesi, presumibilmente di entità tale – in rapporto alla particolare gravità di tali condizioni – da superare i limiti della umana tollerabilità. In ogni caso l’applicazione della indicata disciplina presuppone che sia stata diagnosticata una grave infermità fisica e ricorra un serio e conclamato pericolo quoad vitam del detenuto.

In tal senso si è anche affermato che non è ammesso il rinvio dell’esecuzione della pena di carattere facoltativo nei confronti di chi sia affetto esclusivamente da sofferenza psichica o anche da patologia psichiatrica, salvo che si tratti di sofferenza di tale gravità da produrre una infermità fisica non fronteggiabile in ambiente carcerario o da rendere l’espiazione della pena contraria, per le eccessive sofferenze, al senso di umanità (Sez. 1, 16937/2018).

Il rinvio facoltativo della pena per grave infermità fisica mira ad evitare che l’esecuzione avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità, sicché il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le concrete possibilità di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione e, all’esito di detta valutazione, tenuto conto della comprovata natura dell’infermità, può disporre il differimento dell’esecuzione quando l’espiazione della pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti ovvero quando essa appaia priva di reale significato rieducativo (Sez. 1, 19445/2018).

Una sindrome ansioso-depressiva può costituire causa di differimento della esecuzione della pena solo quando sia di tale gravità da indurre una patologia fisica non fronteggiabile in ambiente carcerario o da rendere l’espiazione della pena contraria, per le eccessive sofferenze, al senso di umanità (Sez. 1, 41986/2005).

La debilitazione fisica conseguente ad anoressia non è causa di differimento se il grave deperimento del condannato risulta compatibile con lo stato di detenzione (Sez. F, 32365/2010).

Le turbe psicologiche che non si traducano in grave infermità fisica non sono idonee a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena (Sez. F, 32365/2010).

Il differimento dell’esecuzione della pena per malattia psichiatrica è consentito unicamente allorché quest’ultima si risolva anche in malattia fisica (fattispecie concernente un caso di depressione maggiore, nel quale, anche per le cure disponibili in ambiente carcerario, si è esclusa la possibilità di rinvio dell’esecuzione) (Sez. 1, 41542/2010).