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Art. 282-bis - Allontanamento dalla casa familiare

1. Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.

2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prove di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.

4. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l’ordinanza prevista dall’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.

5. Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende.

6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate,600,600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602,609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies e 612, secondo comma del codice penale, 612-bis, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275-bis.

Rassegna giurisprudenziale

Allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis)

La disposizione dell’art. 408, comma 3-bis che stabilisce l’obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con ‘violenza alla persona’, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli articoli 612-bis e 572 Cod. pen., perché l’espressione ‘violenza alla persona’ deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario (SU, 10959/2016).

Con la L. 119/2013 è stata introdotta, nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, un’obbligatoria forma di interlocuzione con la persona offesa dal reato, individuata quale destinataria ex lege della notifica della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari previste dagli artt. 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286, a pena di inammissibilità dell’istanza de libertate.

In particolare, il nuovo testo dell’art. 299, comma 3 onera la parte che richiede la modifica dello stato cautelare, a pena di inammissibilità dell’istanza, di notificare la richiesta, contestualmente, al difensore della persona offesa e, in mancanza di questo, alla persona offesa.

La facoltà di interlocuzione nel merito delle istanze de libertate è riconosciuta tanto nella fase delle indagini preliminari che in quella successiva alla chiusura delle stesse. L’informativa alla persona offesa, inoltre, è stata estesa ai conseguenti provvedimenti estintivi o modificativi delle misure cautelari emessi dal giudice (art. 299 comma 2-bis).

La ratio delle disposizioni è, con ogni evidenza, quella di rendere partecipe la vittima di siffatti reati dell’evoluzione dello status cautelare dell’indagato, permettendo altresì alla stessa di presentare, entro un breve termine, memorie ai sensi dell’art. 121, al fine di offrire all’AG procedente ulteriori elementi di valutazione pertinenti all’oggetto della richiesta.

Tali previsioni si inseriscono nel più ampio ventaglio delle misure intese a rafforzare il diritto partecipativo della persona offesa, rappresentate dalla modifica dell’art. 101, comma 1, che ha introdotto l’obbligo a carico dell’organo che riceve la notizia di reato di informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dall’obbligatorietà dell’avviso ex art. 408. alla persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona, anche in assenza di esplicita richiesta, dall’inclusione tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415 bis) del “difensore della persona offesa o, in mancanza di questo”, della “persona offesa” quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612-bis Cod. pen.

È palese, pertanto, la volontà del legislatore di rendere informata la persona offesa di ogni evoluzione della vicenda che la riguarda come vittima, nei diversi snodi procedimentali.

La novella legislativa attua, in parte, la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 (recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) e la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (maggio 2011), ratificata dall’Italia con L. 77/2013.

La Direttiva 2012/29/UE costituisce un atto programmatico assunto dagli organismi europei che, nel rivedere ed integrare i principi enunciati nella Decisione quadro 2001/220/GAI, impegna gli Stati membri dell’Unione a “realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l’Unione, in particolare nei procedimenti penali”, assicurando alle vittime dei reati il diritto a ricevere “informazioni dettagliate”, al fine di “prendere decisioni consapevoli in merito alla loro partecipazione al procedimento”, informazioni anche “relative allo stato del procedimento”.

Più in dettaglio, la vittima dovrebbe essere informata non soltanto della data e del luogo di celebrazione del processo e delle imputazioni per cui si procede, ma anche delle informazioni specifiche “sulla scarcerazione o evasione dell’autore del reato, almeno nei casi in cui possa sussistere un pericolo o un rischio concreto di danno per le vittime”, così come dell’eventuale diritto di presentare ricorso avverso una decisione di scarcerazione dell’autore del reato, se tale diritto esiste nell’ordinamento nazionale”.

La Convenzione di Istanbul, dal canto suo, nell’impegnare gli Stati ad adottare una serie di misure volte a garantire la protezione delle vittime della violenza di genere, stabilisce che le persone offese siano informate dell’eventuale evasione dell’autore del reato, nonché della liberazione di quest’ultimo in via temporanea o definitiva (art. 56 lett. b).

Sempre la citata Convenzione prevede che le vittime siano informate dei loro diritti, dell’esito della denuncia, dei capi di accusa, dell’andamento generale delle indagini e del procedimento, nonché del loro ruolo nell’ambito del procedimento e dell’esito del giudizio (art. 56 lett. c).

Ritornando al diritto interno, va evidenziato come il dibattito parlamentare germogliato intorno ai limiti dell’originario decreto contro la violenza di genere ha determinato ampie incursioni nel testo di quel provvedimento, giungendo ad estenderne di molto la portata in sede di conversione.

Nello specifico, con la decretazione d’urgenza si era stabilito che in caso di richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (artt. 282-bis e 282-ter), vi fosse un corrispondente obbligo di notifica all’offeso o al suo difensore; parimenti, i provvedimenti disposti ai sensi dell’art. 299 commi 1 e 2, si sarebbero dovuti immediatamente comunicare al difensore della persona offesa o, in sua mancanza, all’offeso e ai servizi socio-assistenziali del territorio.

Si criticava, tuttavia, tale previsione laddove limitava l’obbligo comunicativo alle sole vicende evolutive (ex art. 299) delle cautele richiamate; in altre parole, non ci si era avveduti del fatto che una ancora maggiore attenzione alla vittima si sarebbe dovuta prestare tanto in occasione della declaratoria di estinzione della misura o di decorrenza dei termini della sua esecuzione, quanto sul versante tipologico delle cautele, stante l’assenza di qualsivoglia informazione relativa al divieto e all’obbligo di dimora, agli arresti domiciliari, alla custodia carceraria e alla custodia cautelare in luogo di cura.

Occorre inoltre ricordare che quegli originari incombenti di notifica avevano un mero effetto informativo, non essendosi previsto un momento di reale coinvolgimento dell’offeso nella dinamica cautelare. Ampiamente rimaneggiato, quel primigenio testo non ha eliso consistenti interrogativi sulla portata delle novità legislative.

Uno di questi riguarda proprio il caso di specie, essendo quanto mai legittimo domandarsi che cosa si intenda per «procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona»: un perimetro assai elastico, divenuto però obbligato referente per identificare l’area del coinvolgimento della vittima nell’evoluzione delle misure cautelari applicate alla persona accusata.

Appare indiscutibile che il DL 93/2013 intendesse creare una relazione “privilegiata” tra cautela e vittima limitatamente alle ipotesi di reati consumati in ambito familiare o affettivo, come tali qualificabili per una necessaria relazione molto stretta tra autore e offeso; in quest’ottica, poteva trovare una spiegazione il richiamo alle sole misure stabilite agli artt. 282-bis e 282-ter.

Al contrario, la legge di conversione decide di abbattere questo muro, estendendo la comunicazione (prevista a pena di inammissibilità della domanda) alle misure previste dagli artt. 283, 284, 285 e 286; tuttavia, il legislatore, presumibilmente per non gravare troppo sugli incombenti della difesa o del PM che richiedono la revoca o la sostituzione della misura, ha individuato nella violenza alla persona il discrimine tra presenza e assenza del dovere di notifica alla vittima.

In altre parole, la violenza ad personam funge da elemento di compromesso, estendendo l’ambito dei doveri comunicativi oltre la sfera dei delitti germogliati dal rapporto personale tra vittima e imputato, ma, al contempo, restringendolo rispetto ad una esecrabile generalizzazione.

In tale contesto, occorre domandarsi se, tra i delitti commessi con violenza alla persona, debbano rientrare solo quelli in cui la condotta violenta si caratterizza anche per l’esistenza di un pregresso rapporto relazionale tra autore del reato e vittima, in cui perciò la violenza alla persona è per così dire mirata in danno di una determinata persona offesa, oppure anche quelli in cui l’azione violenta è del tutto occasionale.

Invero, la previsione legislativa, aperta anziché circoscritta attraverso l’elencazione delle fattispecie per le quali imporre la notifica alla vittima, pur non selezionando la caratura della violenza né operando una scelta sul tipo di condotta di aggressione praticata nel concreto, merita una lettura di stretto rigore interpretativo.

Se, da un verso, appare indiscutibile che le vittime occasionali, magari solo per essersi risolte alla denuncia, sono esposte al rischio di una vittimizzazione secondaria che può tradursi in nuovi episodi delittuosi, atteggiamenti ritorsivi o minacciosi, va tuttavia considerato che, sotto il profilo informativo, il fine che si vuole raggiungere attraverso detto incombente è quello di offrire alle vittime, mediante la possibilità di presentare memorie ai sensi dell’art. 121, uno strumento per partecipare elementi di conoscenza ulteriori  che solo un pregresso rapporto diretto tra vittima e aggressore può presumibilmente consentire di avere  al fine di scongiurare il pericolo di recidivazione dalla richiesta modifica di misura.

Fuori da questo ambito, il rapporto di maggior tutela, rivolto indiscriminatamente a tutte le vittime di reati con violenza alla persona, appare ridursi ad un mero formalismo, in quanto alla vittima occasionale della rapina, di regola solo casualmente – anche nella “scelta” dell’aggressore – vittima del reato, non può derivare ragionevolmente alcun pregiudizio dalla circostanza che all’imputato si revochi o si modifichi l’originaria misura cautelare.

L’interpretazione restrittiva circa la portata applicativa delle modifiche dell’art. 299 appare così preferibile in quanto consente di bilanciare meglio la scelta legislativa di offrire comunque tutela alle persone offese, bersaglio diretto dell’aggressione altrui, con la contemporanea esigenza di non rendere eccessivamente gravoso, senza un’effettiva ragione giustificativa, il diritto di difesa che si estrinseca non solo con le istanza di revoca o di sostituzione delle misure in atto ma anche con le istanze volte a modificare le modalità di applicazione delle medesime (Sez. 2, 43353/2015).

In senso contrario: L’obbligo di preventiva notifica alla persona offesa non richiede quale presupposto aggiuntivo un profilo relazionale-affettivo tra autore e vittima del reato, in guisa che lo statuto di cui all’art. 299 comma 3 trova applicazione anche nei casi di cd. violenza occasionale (Sez. 1, 14831/2016).

L’art. 282-bis prevede l’indicazione specifica dei luoghi rispetto ai quali deve operare il divieto di avvicinamento e non anche il generico divieto di avvicinamento alla persona offesa, oggetto del diverso provvedimento ex art. 282-ter (Sez. 6, 19123/2015).