Art. 282 - Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria
1. Con il provvedimento che dispone l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, il giudice prescrive all’imputato di presentarsi a un determinato ufficio di polizia giudiziaria.
2. Il giudice fissa i giorni e le ore di presentazione tenendo conto dell’attività lavorativa e del luogo di abitazione dell’imputato.
Rassegna giurisprudenziale
Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282)
L’omessa indicazione dei giorni e degli orari di presentazione rende inapplicabile la misura dell’obbligo di presentazione alla PG sicché non ne è consentito il successivo aggravamento per asserite violazioni delle prescrizioni ad essa connesse (Sez. 5, 50845/2016).
È manifestamente infondata, in relazione agli artt. 13 e 16 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 282 e 283 nella parte in cui non equiparano le misure coercitive dell’obbligo di presentazione alla PG e del divieto ed obbligo di dimora alla custodia cautelare in carcere ai fini della fungibilità sulla sanzione sostitutiva da espiare, in quanto, da un lato, si deve escludere che il legislatore abbia considerato la sottoposizione dell’indagato o imputato alle misure coercitive sopra indicate così limitativa della libertà del soggetto e così afflittiva da poterla far ritenere equivalente allo stato di custodia cautelare in carcere e, dall’altro, non risulta violata la garanzia del provvedimento motivato dell’AG, posto che è il magistrato di sorveglianza a disporre circa le modalità di esecuzione della sanzione sostitutiva della pena; analogamente è infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 nella parte in cui non consente al PM, ai fini della determinazione della pena da eseguire, di tenere conto del periodo in cui l’imputato è stato sottoposto all’obbligo di dimora ed all’obbligo di presentazione alla PG, per contrasto con gli artt. 3, 13 comma 2 e 27 comma 1 Cost.
La possibilità, infatti che in seguito alle sentenze della Corte costituzionale 343/87 e 282/89 è data al magistrato di sorveglianza di tenere conto, ai fini della determinazione della residua pena nei casi di revoca dell’affidamento in prova e della liberazione condizionale, della durata delle limitazioni patite dal condannato nel periodo di prova o di libertà condizionale, trova la sua ragione nella particolare funzione svolta dal magistrato di sorveglianza, chiamato alla valutazione della persona e del suo comportamento ai fini del giudizio prognostico in ordine alla pericolosità ed alla possibilità di reinserimento nel tessuto sociale, nonché nelle finalità delle misure alternative alla detenzione, volte alla rieducazione del reo, ben diverse sia dalla funzione attribuita al PM, chiamato in sede di esecuzione ad un mero esercizio di calcolo matematico che prescinde da valutazioni di tipo diverso, sia dalle finalità proprie delle anzidette misure cautelari (Sez. 3, 30017/2016).
È giustificato che a breve distanza dalla commissione dei fatti materiali in addebito, l’attività lavorativa e/o professionale nel cui ambito si sia determinata la commissione del fatto - reato possa essere considerata come inestricabilmente connessa agli illeciti per cui si procede (si pensi a mero titolo di esempio alla commissione di reati tributari da parte di soggetto esercente l’attività professionale di commercialista), potendo costituire oggetto di misure interdittive dirette ovvero la ragione determinante l’imposizione di più gravi misure coercitive personali, trattandosi invero di eliminare in via cautelare l’occasione principale di reiterazione dell’illecito.
Meno giustificato è che detta valutazione avvenga a distanza consistente dalla consumazione di fatti - reato manifestatisi quali episodi circoscritti della complessiva attività riferita allo indagato: in tal caso, la proibizione di svolgere attività lavorativa e/o professionale o anche, come nella specie, la mera considerazione che il relativo svolgimento costituisca ragione e titolo per l’applicazione di misure personali coercitive, finisce per incidere in senso indebito sulla libera esplicazione di attività (quella lavorativa e/o professionale) costituenti esplicazione dei diritti di libertà spettanti ai consociati e come tali munite di tutela costituzionale (artt. 2 e 41 Cost.).
E’ evidente che a diverse conclusioni è lecito pervenire ove vengano acquisiti concreti elementi indiziari per inferire la reiterazione delle condotte illecite in addebito, ma se così non è (ed è questo il caso in esame) le considerazioni che precedono, unite a un non astratto apprezzamento del valore rilevante del tempo decorso dalla commissione dei fatti, portano necessariamente a ritenere illegittima ed inutilmente vessatoria l’imposizione di misure coercitive in qualsiasi modo giustificate dal mero espletamento di attività del tutto lecite come quella lavorativa o nella specie professionale (Sez. 6, 16641/2015).