x

x

Art. 291 - Procedimento applicativo

1.1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda e comunque conferiti nell’archivio di cui all’articolo 269, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.
1-bis. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice può disporre misure meno gravi solo se il pubblico ministero non ha espressamente richiesto di provvedere esclusivamente in ordine alle misure indicate.
1-ter. - Quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate.
2. Se riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa, il giudice, quando ne ricorrono le condizioni e sussiste l’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’articolo 274, dispone la misura richiesta con lo stesso provvedimento con il quale dichiara la propria incompetenza. Si applicano in tal caso le disposizioni dell’articolo 27.
2-bis. In caso di necessità o urgenza il pubblico ministero può chiedere al giudice, nell’interesse della persona offesa, le misure patrimoniali provvisorie di cui all’articolo 282-bis. Il provvedimento perde efficacia qualora la misura cautelare sia successivamente revocata.

Rassegna giurisprudenziale

Procedimento applicativo (art. 291)

Domanda cautelare

Il procedimento disegnato dal legislatore per l’adozione di misure cautelari vede nella domanda del PM un essenziale e non surrogabile presupposto. Il legislatore, per contro, non prende in considerazione il percorso conducente alla determinazione del PM di avanzare la richiesta: sollecitazione della vittima, della PG, autonoma valutazione (Sez. 4, 40306/2017).

Non occorre che la richiesta di misura cautelare e, corrispondentemente, la conseguente ordinanza impositiva del giudice siano, rispettivamente, formulate e recepite nel provvedimento con l’indicazione delle ipotesi di reato formalmente trasfuse in autonomi, specifici capi d’imputazione, potendo invece risultare una o più di esse (anche) dal contesto motivazionale.

Quel che è indispensabile è che non solo le ipotesi di reato non esplicitamente formulate in capi di imputazione siano contenute nel contesto motivazionale del provvedimento, ma che queste risultino non inserite in maniera soltanto discorsiva, ovvero “obiter tantum” o comunque in un contesto non legato funzionalmente all’emissione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare verso la quale la richiesta del PM è stata diretta (Sez. 4, 40788/2017).

La disciplina prevista dagli artt. 291 e 292 si ispira al generale principio dell’esistenza di una struttura binaria nel procedimento applicativo della domanda cautelare, nel cui ambito il PM è soggetto necessariamente richiedente la misura cautelare senza legittimazione a disporre mentre per converso il giudice è soggetto decidente ma non ex officio.

In questo contesto dialogico si deve ritenere, benché l’art. 291 non fornisca chiare indicazioni circa il contenuto della richiesta cautelare presentata dal PM, che la stessa debba avere una struttura analoga all’ordinanza applicativa disciplinata dall’ art. 292 e contenere in maniera puntuale e dettagliata i requisiti ivi indicati, al fine di porre il giudice in condizione di adottare un provvedimento non inficiato dalle cause di nullità previste dalla medesima norma, ivi compresa quindi la descrizione sommaria del fatto con l’ indicazione delle norme di legge che si assumono violate.

Il parametro normativo a cui deve ispirarsi l’imputazione provvisoria è perciò costituito dalla descrizione sommaria del fatto, ex art. 292, comma 2, lett. c), e non dai canoni di chiarezza e precisione dell’enunciazione del fatto previsti dall’ art. 429, comma 1, lett. c),  per il decreto che dispone il giudizio; una simile differenza trova del resto giustificazione nelle diverse finalità che le imputazioni devono assicurare nelle distinte sedi giudiziali a cui sono funzionali e nel diverso stato delle indagini nel momento della loro formulazione.

Nel caso poi in cui la richiesta del PM non soddisfi appieno tale requisito tramite la formulazione di un’imputazione provvisoria incompleta o non esauriente il giudice investito dell’esame della domanda ben può superare l’ incompletezza di questo dato formale, stanti il suo carattere provvisorio e la conseguente impossibilità di applicare ad essa i canoni interpretativi riguardanti la formulazione dell’ imputazione definitiva nella richiesta di rinvio a giudizio, avendo riguardo al contenuto complessivo dell’ atto presentato dal PM e facendo riferimento anche agli atti di indagine che al suo interno siano richiamati (Sez. 2, 31339/2017).

Non è nulla per contrasto con il principio della domanda cautelare l’ordinanza emessa dal giudice per un capo di imputazione non esplicitamente indicato nella parte conclusiva della richiesta del PM solo qualora dalla lettura complessiva della richiesta medesima possa chiaramente intendersi che essa si riferiva anche a quel capo di imputazione; inoltre, se è pur vero che è preciso compito del GIP che emette la misura interpretare i termini giuridici dei fatti descritti nella relativa richiesta, anche in modo autonomo rispetto agli intendimenti del PM, è tuttavia necessario che dal contesto motivazionale di tale richiesta le specifiche ipotesi di reato risultino inserite in un contesto funzionalmente legato all’emissione dell’ordinanza e non già riportate in termini discorsivi o incidentali (Sez. 2, 50698/2017).

In materia di misure cautelari, la categoria della nullità per vizio della motivazione o motivazione apparente non è applicabile alla richiesta del PM risultando la prima prevista, ai sensi dell’art. 125, comma 3 per i soli provvedimenti del giudice (Sez. 6, 36422/2014).

Il principio della domanda cautelare, per il quale il giudice procede solo su richiesta del PM (artt. 291, comma 1, e 292, comma 1), si atteggia secondo sue proprie peculiarità e come non richiede che la richiesta contenga oltre agli elementi su cui essa si fonda ed a quelli a favore dell’indagato, anche l’indicazione dei pericula in relazione ai quali possano ravvisarsi le esigenze cautelari, allo stesso modo non impedisce al giudice di valutare, a prescindere dagli specifici contenuti della richiesta, la sussistenza dei relativi presupposti, ivi comprese le esigenze cautelare. Il PM deve infatti dare conto del peso dimostrativo e probatorio di quegli elementi su cui egli basa la propria richiesta, al fine di fornire al giudice un adeguato contributo argomentativo, sia in ordine alla gravità indiziaria che alle esigenze cautelari ed alla scelta della misura, nel rispetto dei principi di adeguatezza e di proporzionalità (Sez. 6, 51066/2017).

Non è nulla l’ordinanza adottata per un fatto diversamente qualificato rispetto alla richiesta originaria del PM, essendo preciso compito del GIP che emette la misura interpretare i termini giuridici dei fatti descritti nella relativa richiesta, anche in modo autonomo rispetto agli intendimenti della pubblica accusa, con la sola preclusione della possibilità di immutarli L’interlocuzione che intervenga nel corso del procedimento cautelare tra la pubblica accusa che richieda la misura ed il giudice chiamato a pronunciare non vale a denunciare la nullità della richiesta cautelare ove il PM, nel corso del procedimento, si trovi a modificare la prima anche in conseguenza delle decisioni adottate dal giudice della cautela sia questo il GIP o il TDR (Sez. 6, 51066/2017).

 

Elementi su cui si fonda la richiesta

Il PM non ha l’obbligo di allegare determinati atti tassativamente indicati, ma può utilizzare quelli più rilevanti o riassuntivi. L’onere di provare la sussistenza degli indizi e delle esigenze cautelari è soltanto a suo carico ed è pertanto discrezionale la scelta dei documenti all’uopo opportuni.

Rientra poi nella valutazione dei giudici del merito stabilire la congruità degli atti stessi ai fini del decidere. Alla Cassazione spetta invece accertare se le conclusioni, alle quali questi ultimi sono pervenuti, trovino completo e logico sostegno negli atti indicati nel provvedimento impugnato (Sez. 4, 53168/2017).

Qualora il PM abbia omesso di trasmettere al giudice, in sede di richiesta di una misura cautelare, e quindi al TDR, ai sensi dell’art. 309, comma 5, copia dei decreti di autorizzazione all’effettuazione di intercettazioni di comunicazioni, detta omissione, pur non determinando di per sé l’inefficacia della misura cautelare, costituisce violazione di un obbligo finalizzato a far sì che possa essere vagliata la legittimità e l’ammissibilità delle suddette interettazioni, con conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati, ove la difesa la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, e la stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità.

L’inutilizzabilità delle intercettazioni che consegue alla mancata trasmissione da parte del PM al giudice della cautela dei decreti di autorizzazione è sancita a presidio dell’esercizio del controllo che incombe sul TDR  e, prima ancora, sul GIP  che è strumentale, a sua volta, alla tutela del diritto della difesa di verificare la legittimità delle operazioni di intercettazione e, per esse, dei decreti di autorizzazione, in quanto provvedimenti che concorrono al corretto processo di formazione dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. 6, 56990/2017).

Deve ritenersi l’utilizzabilità di conversazioni oggetto di attività di captazione il cui contenuto sia stato reso conoscibile al GIP ai fini dell’applicazione della misura solo mediante sintesi esposta in una richiesta di proroga delle intercettazioni (Sez. 6, 37604/2018).

L’omesso deposito degli atti concernenti le intercettazioni disposte nel procedimento a quo - compresi i nastri di registrazione - presso l’autorità competente per il procedimento ad quem non determina l’inutilizzabilità dei risultati intercettativi, in quanto detta sanzione non è prevista dall’art. 270 e non rientra tra quelle tassativamente indicate dall’art. 27 (Sez. 5, 34509/2018).

La questione di legittimità costituzionale degli artt. 291, comma primo, e 309, commi 5 e 10, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono la trasmissione al GIP e al TDR anche dei supporti informatici delle intercettazioni o videoriprese utilizzati ai fini dell’applicazione di misure cautelari, è stata già ritenuta manifestamente infondata «in quanto i predetti supporti e i brogliacci non costituiscono un unico atto processuale unitamente alle trascrizioni effettuate dalla PG, rispetto ai quali è sempre possibile contestarne, in presenza di concreti elementi a sostegno, la mancata corrispondenza.

In motivazione, la Corte ha altresì osservato che l’art. 291, comma 1 non impone al PM che richiede l’applicazione di misure cautelari la trasmissione di tutti gli atti, ma soltanto di quegli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché degli elementi a favore dell’imputato e degli eventuali atti provenienti dalla difesa già depositati (Sez. 5, 34509/2018).

L’obbligo di trasmissione al giudice, unitamente alla richiesta di misura cautelare oltre che degli elementi posti a base della richiesta, anche di tutti gli elementi favorevoli all’imputato, ha riguardo a quegli elementi che hanno un’oggettiva natura favorevole e non fa riferimento a quegli elementi che possano apparire favorevoli in forza di argomentazioni o ricostruzioni logiche (Sez. 1, 32328/2018).

 

Giudice competente

Qualora il TDR rilevi l’incompetenza per territorio del giudice a quo, e, per contro, non rilevi la sussistenza di una situazione di urgenza - nel qual caso, dovrà confermare il provvedimento che avrà un’efficacia limitata ai sensi dell’art. 27 - non potrà che annullare la misura cautelare emessa (Sez. 2, 34782/2018).

L’incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art 22, comma 1, come stabilito dal successivo comma 2 del medesimo articolo, produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto.

Alla dichiarazione di incompetenza pertanto segue la restituzione degli atti al PM procedente, il quale non rimane vincolato dalla decisione, potendo continuare a trattenere il procedimento e rivolgere altre sue richieste a quello stesso giudice, il quale, nel prosieguo, rimarrà libero di considerare la stessa questione della competenza anche nel senso della propria attribuzione e pur a prescindere da qualsiasi sopravvenienza che possa rilevare a tal riguardo.

Tuttavia, nel particolare caso previsto dall’art. 27, in presenza dell’adozione di un provvedimento che dispone misure cautelari nelle condizioni di urgenza di cui all’art. 291, comma 2, il giudice che si dichiara contestualmente o successivamente incompetente deve provvedere alla trasmissione degli atti a quello che egli ritiene competente, affinché quest’ultimo provveda, entro i successivi venti giorni a pena di inefficacia delle misure cautelari adottate, a norma degli artt. 292, 317 e 321.

Ciò perché l’emissione del provvedimento cautelare innesca un subprocedimento che comporta l’intervento di una particolare verifica da parte del giudice costantemente rapportata a un’imputazione che, seppur provvisoria, riflette precisi esiti di indagine ai fini dell’individuazione e attribuzione del reato.

Tanto invece non si verifica nell’ipotesi in cui il giudice abbia sì dichiarato la propria incompetenza ma contestualmente abbia rigettato, specificatamente per l’assenza di motivi di urgenza, la richiesta di emissione di misure cautelare.

Sicché, in tal caso ricorrono ugualmente i soli effetti in generale previsti dall’art. 22: dal comma 1, secondo cui il giudice che si dichiara incompetente nel corso delle indagini preliminari dispone la trasmissione degli atti allo stesso PM procedente, al quale rimane in tal modo rimessa in atto e nel prosieguo ogni possibile determinazione in ordine al trasferimento o meno ad altra sede del procedimento per ragioni di competenza; dal comma 2, secondo cui l’ordinanza adottata sulla competenza dal giudice delle indagini preliminari produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto.

Dopo la chiusura delle indagini preliminari, in senso contrario, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 22, il giudice per le indagini preliminari, se riconosce la sua incompetenza, la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice competente (Sez. 1, 28326/2018).