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Art. 292 - Ordinanza del giudice

1. Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza.

2. L’ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio:

a) le generalità dell’imputato o quanto altro valga a identificarlo;

b) la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate;

c) l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato;

c-bis) l’esposizione e l’autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure;

d) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l’esigenza cautelare di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 274;

e) la data e la sottoscrizione del giudice.

2-bis. L’ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell’ausiliario che assiste il giudice, il sigillo dell’ufficio e, se possibile, l’indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l’imputato.

2-ter. L’ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’imputato, di cui all’articolo 358, nonché all’articolo 327-bis.

2-quater. Quando è necessario per l’esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali.

3. L’incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione.

Rassegna giurisprudenziale

Ordinanza del giudice (art. 292)

Controllo di legittimità

Alla Corte Suprema spetta il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (SU, 11/2000).

In sede di legittimità è deducibile unicamente la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, che si risolva nell’assenza di motivazione o nella impossibilità di comprendere il ragionamento probatorio e, pertanto, si traduca in violazione di legge; sono quindi inammissibili i motivi che censurano la valutazione probatoria, rimessa ai giudici di merito, o la contraddittorietà della motivazione (Sez. 4, 18795/2018).

Allorché venga denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal TDR in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

La richiesta di riesame ha, infatti, come mezzo d’impugnazione, la precipua funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti enumerati dall’art. 292 e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo (Sez. 4, 38388/2018).

Il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, 31553/2017).

 

Descrizione sommaria del fatto

Il requisito della descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, previsto dall’art. 292, comma secondo, lett. b), ha la funzione di informare l’indagato circa il tenore delle accuse, al fine di consentirgli il pieno esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che esso può dirsi soddisfatto allorché le condotte addebitate siano indicate in modo tale che l’interessato ne abbia immediata e sicura conoscenza, in ciò essendo sufficiente una sintetica e sommaria enunciazione dei lineamenti essenziali della contestazione, senza la necessità di specificare eventuali elementi di dettagli (Sez. 1, 28811/2018).

 

Gravi indizi di colpevolezza

Gli indizi di colpevolezza altro non sono che gli elementi di prova sottoposti a valutazione incidentale nell'ambito del subprocedimento cautelare e presi in considerazione dal giudice chiamato a pronunziarsi nei modi di cui all'art. 292 comma 2 lett. c)  e la loro obbligatoria connotazione in termini di «gravità», al fine di rendere possibile l'applicazione della misura, sta dunque a significare che l'esito di tale valutazione incidentale deve essere tale da far ragionevolmente prevedere, anche in rapporto alle regole di giudizio tipiche della futura decisione finale, la qualificata probabilità di condanna del soggetto destinatario della misura. Pertanto, per dare corretta attuazione ai contenuti del giudizio prognostico, il giudice cautelare ha l'obbligo di confrontarsi con: A) la natura e le caratteristiche del singolo elemento sottoposto a valutazione come, a titolo di esempio, gli elementi tratti da captazioni di conversazioni; B) le regole prudenziali stabilite dal legislatore in rapporto alla natura del singolo elemento in questione; C) le regole di giudizio previste in sede di decisione finale del procedimento di primo grado, ivi compresa quella espressa dall'art. 533 comma 1 (Sez. 1, 43323/2021).

La nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 non si atteggia allo stesso modo del termine indizi inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 comma 2, come si desume dall’art. 273 comma 1-bis, che richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti) (Sez. 2, 37177/2018).

Quando ricorrono i gravi indizi dei reati ex artt. 270, 270-bis e 416- bis Cod. pen. e la presunzione relativa di pericolosità non sia stata superata dalla prova dell’inesistenza di una qualunque esigenza cautelare, è vincolante per il giudice la previsione legale di adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiare il pericolo presunto, senza che assuma rilievo e possa discutersi della natura e del grado dello stesso e che possano applicarsi forme di coercizione cautelare di intermedia afflittività, ponendosi soltanto l’alternativa tra la custodia intramuraria e lo stato di libertà del soggetto, in deroga ai principi generali sanciti dallo stesso art. 275 e dall’art. 292 comma 2, che impongono una valutazione specifica dell’idoneità di ciascuna misura rispetto alle esigenze del caso e la residualità dell’applicazione della custodia in carcere quando tutte le altre misure siano inefficaci. Le conseguenze di tale disciplina sono duplici, poiché, per quanto attiene ai compiti delibativi e giustificativi del giudice “la presunzione relativa di pericolosità sociale prevista dall’art. 275, comma 3, inverte gli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula libertatis, ma soltanto di apprezzamento delle ragioni di esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione”, mentre all’imputato o indagato compete allegare elementi di segno contrario, in grado di superare la presunzione, rispetto ai quali al giudicante spetta valutarne la sussistenza e l’efficacia rappresentativa in funzione dell’esclusione delle esigenze cautelari o dell’adeguatezza di altra misura. Va poi aggiunto che mantiene inalterata validità anche dopo la riforma il principio di diritto, formulato dalle Sezioni Unite, secondo il quale la presunzione in questione opera in tutte le fasi del procedimento penale e, dunque, non solo in fase genetica, ma anche in occasione delle successive valutazioni circa la permanenza dei presupposti applicativi della misura, tanto che l’art. 299 comma 2, contiene la clausola di riserva, che fa espressamente salva la previsione dell’art. 275, comma 3, presunzioni incluse; pertanto, soltanto la deduzione di fatti nuovi, anche se apprezzati congiuntamente a quelli in origine esaminati, dai quali risulti un mutamento “in melius” del quadro indiziario, possono condurre alla sostituzione o alla revoca della misura (Sez. 1, 38657/2018).

Secondo una pacifica linea interpretativa tracciata dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di misure cautelari personali, allorché venga denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine al vaglio delibativo espresso in merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e al quadro dei principii di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, mentre è del tutto inibito procedere ad una rivisitazione della vicenda storico-fattuale sottesa ai temi d’accusa provvisoriamente individuati in sede cautelare, ovvero ad una ricostruzione alternativa dei fatti che ne sorreggono l’enunciazione (Sez. 6, 53051/2018).

 

Autonoma valutazione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari

Il legislatore del 2015 ha chiaramente mostrato, anche con interventi paralleli su più norme (gli artt. 292, comma 2, lett. c) e 292, comma 2, lett. c -bis), di considerare fra gli obiettivi connotanti la riforma quello di sanzionare qualsiasi prassi di automatico recepimento, ad opera del giudice, delle tesi dell’ufficio richiedente, così da rendere effettivo il doveroso controllo giurisdizionale preteso dalla Costituzione prima che dalla legge ordinaria, e da rendere altresì forte la dimostrazione della specifica valutazione dell’organo giudiziario di prima istanza sui requisiti fondanti la misura, precludendone la sanatoria che potrebbe derivare dall’intervento surrogatorio pieno del giudice della impugnazione  (SU, 18954/2016).

Il tratto innovativo della riforma introdotta non riguarda tanto la previsione del rafforzamento dell’obbligo di motivazione del giudice nella parte in cui si richiede l’idoneità del provvedimento impositivo a soddisfare la necessità di una chiara intelligibilità dell’iter logico-argomentativo posto a fondamento del provvedimento coercitivo al fine di evitare motivazioni apparenti non sostanzialmente riferibili ad un giudice terzo, quanto, piuttosto, nella modifica dei poteri attribuiti, in fase decisoria, al TDR con la previsione di cui al comma 9 dell’art. 309. Al TDR è, infatti, attribuito il potere di annullamento dell’ordinanza che non contenga l’autonoma valutazione, a norma dell’art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.

La riforma impedisce dunque al giudice del riesame di riformare i provvedimenti cautelari afflitti dalle più gravi carenze motivazionali (motivazione “radicalmente assente o meramente apparente”, o “mancante in senso grafico” o consistente in mere “clausole di stile” di consistenza argomentativa nulla), mentre permane il potere di correggere le argomentazioni insufficienti, parzialmente carenti o contraddittorie (Sez. 6, 36841/2018).

La necessità di un’autonoma valutazione da parte del giudice delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, richiesta dall’art. 292, comma primo, lett. c), deve ritenersi assolta quando l’ordinanza, benché redatta con la tecnica del c.d. copia-incolla, accolga la richiesta del PM solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa graduazione delle misure costituiscono, di per sé, indice di una valutazione critica, e non meramente adesiva, della richiesta cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne (Sez. 6, 36854/2018).

In senso contrario: la circostanza che il GIP abbia parzialmente respinto la richiesta cautelare, per altre posizioni e/o per altri reati, non costituisce un indice del fatto che l’ordinanza cautelare contenga l’autonoma valutazione anche per le imputazioni contestate ad altro indagato per cui ha riconosciuto la gravità indiziaria.

Il procedimento valutativo, infatti, deve sussistere ed essere esplicitato per ciascuna posizione e per ciascuna imputazione, non potendo costituire valida spia di un’autonomia decisionale per il tutto l’originalità - rispetto alla parte pubblica - del percorso decisionale solo rispetto ad alcuni dei destinatari dell’ordinanza o ad alcuni reati o, addirittura, come sostenuto in relazione a talune censure specifiche del ricorso, alle circostanze del reato.

Ed invero, da una parte, l’ostensione chiara ed esaustiva del percorso decisionale del giudice consente al soggetto colpito dall’ordinanza di sceverare le ragioni della decisione e di difendersi contrastandole, senza temere - grazie all’attuale disposto dell’art. 309, comma 9 - che proprio l’organo adito per riesaminare la vicenda colmi le lacune eventualmente esistenti; dall’altra, l’intervento normativo serve soprattutto ad evitare che l’appiattimento acritico del giudice sulle argomentazioni della parte pubblica significhi saltare a piè pari, nei fatti, proprio il momento decisionale centrale da parte del giudice terzo e, in definitiva  come accade quando il decidente non operi un vaglio critico effettivo sul materiale offerto dal PM  lasciare la sorte del singolo nelle mani di una parte, sia pure pubblica.

E’ evidente che, se l’ordinanza viene meno rispetto ad un analitico obbligo motivazionale, tradisce la logica della riforma, perché il giudice della cautela avrà privato il soggetto colpito dalla misura cautelare dell’illustrazione delle ragioni della sua scelta che - si ritiene - deve riguardare distintamente non solo i singoli soggetti colpiti, ma anche i singoli addebiti, fermo restando che, in presenza di imputazioni seriali, il percorso argomentativo può sostanziarsi di una trattazione, quantomeno parzialmente, unitaria.

È questo il motivo per cui è preferibile quell’orientamento, formatosi all’indomani della novella in discorso, secondo cui «in tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), come modificato dalla L. 47/2015, è osservata anche quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; fermo restando che, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità “seriali”, non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purchè, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti, di volta in volta, considerati per essi sussistenti».

Non si ignora che esiste un diverso fronte interpretativo che reputa sintomatico di autonoma valutazione il rigetto della richiesta per altri reati o per altre posizioni rispetto ai reati e/o alle posizioni su ci deve essere formulato il giudizio cautelare (Sez. 2,  25750/2017); tale orientamento non è, tuttavia, condivisibile dal momento che, secondo la ratio della riforma di cui si è detto, l’“autonoma valutazione” è concetto che va riguardato il relazione al singolo percorso argomentativo - ed assicurando all’indagato l’ostensione delle ragioni della scelta circa la sua sottoposizione alla misura cautelare - e non vagliando se quel giudice sia, in generale, dotato di autonomia valutativa rispetto alla parte pubblica ovvero se l’abbia aliunde dimostrata (Sez. 5, 32444/2018).

Anche a seguito della novella del 2015, l’ordinanza cautelare può essere legittimamente motivata per relationem rispetto ad altro atto del procedimento e, in particolare, alla richiesta del PM. In tale caso, tuttavia, l’onere di cognizione e di autonoma valutazione può ritenersi legittimamente assolto a condizione che il giudice procedente non si limiti a motivare sulla base della mera autoevidenza dell’atto richiamato con l’aggiunta di clausole di stile o frasi apodittiche, ma, adempiendo in modo effettivo al ruolo di controllo che gli compete, evidenzi, con considerazioni proprie, le ragioni per le quali il contenuto dell’atto richiamato sia corretto e condivisibile.

In particolare, si è affermato che l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in cui sia stata trasfusa integralmente e alla lettera la richiesta del PM, non può essere considerata nulla per mancanza assoluta di motivazione, se risulta che il giudice abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni dell’atto richiamato, ritenendole coerenti alla sua decisione e sia possibile instaurare, nel procedimento incidentale, un effettivo e trasparente contraddittorio tra le parti, assicurando concretamente all’indagato il diritto di difesa e permettendo al giudice sovraordinato di controllare la rilevanza, la pertinenza e la concludenza degli elementi posti a base del giudizio di probabile reità e l’iter logico attraverso il quale si perviene alla decisione.

In altri termini, il mero rinvio o la testuale riproduzione cli altro atto del procedimento non insanabile dal TDR, a condizione che il provvedimento non si limiti alla semplice riedizione del compendio investigativo, ma sia supportato da considerazioni critiche proprie del giudice della cautela, autonome rispetto a l’atto richiamato (Sez. 6, 35279/2018).

La prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), è osservata quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; fermo restando che, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità “seriali”, non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti di volta in volta considerati per essi sussistenti (Sez. 6, 38566/2018).

Il giudice nel provvedimento cautelare ben può ripercorrere gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati nella richiesta del PM non potendosi certo pretendere che egli ne debba individuare di diversi (che potrebbero anche non esistere), così come ben può anche condividere in toto le argomentazioni espresse dall’autorità inquirente: il concetto di “autonoma” valutazione espresso dal legislatore, infatti, non può che essere inteso come valutazione “non condizionata” che è cosa ben diversa da una valutazione “non conforme” in quanto, se così non fosse, si dovrebbe giungere al paradosso di sostenere che il giudice potrebbe dimostrare la propria “autonomia” (così da evitare vizi dell’emittendo provvedimento cautelare) solo non accogliendo (in tutto od in parte) la richiesta del PM o ricorrendo, pur in presenza di fatti di palese evidenza e di univoca interpretazione, a motivazioni distoniche rispetto a quelle del PM che però portino comunque al medesimo condiviso risultato» (Sez, 2, 35460/2018).

 

Autonoma valutazione degli elementi forniti dalla difesa

L’obbligo previsto dal secondo comma dell’art. 292, lett. c) bis) di esporre i motivi per i quali non sono ritenuti rilevanti gli elementi addotti dalla difesa, è imposto sia al giudice che emette l’ordinanza sia al TDR che rigetta la richiesta di riesame, allorché tali elementi siano prospettati dinanzi a quest’ultimo (Sez. 6, 36874/2017).

In ordine all’obbligo di esporre i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli “elementi forniti dalla difesa” (art. 292, comma 2 lett. c-bis), va ribadito che essi debbono consistere non in mere argomentazioni difensive ma in specifiche circostanze di fatto idonee ad almeno degradare la ravvisata gravità indiziaria: gli “elementi forniti dalla difesa” richiamati nella norma vanno intesi quali «specifici elementi a discarico».

L’art. 292, comma 2-ter non impone al giudice del riesame la confutazione di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori e non anche di deduzioni dirette a proporre ricostruzioni alternative della vicenda e a contrastare il potere selettivo degli elementi di indagine posti a fondamento delle decisioni cautelari (Sez. 2, 30412/2018).

L’obbligo imposto dall’art. 292 comma 2, in ordine alla valutazione di specifici elementi a discarico forniti dalla difesa, richiede che il giudice del riesame proceda ad un puntuale vaglio degli stessi di guisa che il giudizio di rilevanza in ordine a detti elementi sia analitico e non si risolva in una valutazione del tutto sommaria e generica (Sez. 6, 30476/2018).

L’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive, principio che fa onere al ricorrente di indicare in fase di impugnazione quale argomento decisivo per la ricostruzione del fatto le memorie contenevano, altrimenti peccando di genericità il motivo di gravame proposto sul punto.

La giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che l’influenza della memoria difensiva sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione, non può determinare il vizio di omessa pronuncia - al quale si riferisce l’omessa pronuncia su una richiesta della parte - mentre l’omessa trattazione di un argomento può fondare il vizio di omessa motivazione soltanto se esso rivesta il carattere di decisività, e, cioè, che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della decisione (Sez. 6, 38631/2018).

 

Integrazione tra ordinanza cautelare e provvedimento del TDR

Le modifiche introdotte negli artt. 292 e 309 a seguito della L. 47/2015 non hanno carattere innovativo, essendosi solo esplicitata la necessità che dall’ordinanza emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante; ne consegue l’affermazione che, anche alla luce della succitata nuova disciplina, sussiste il potere- dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato, salvo che ricorra il caso di motivazione mancante sotto il profilo grafico o inesistente per inadeguatezza argomentativa (Sez. 6, 44606/2015).