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Art. 295 - Verbale di vane ricerche

1. Se la persona nei cui confronti la misura è disposta non viene rintracciata e non è possibile procedere nei modi previsti dall’articolo 293, l’ufficiale o l’agente redige ugualmente il verbale, indicando specificamente le indagini svolte, e lo trasmette senza ritardo al giudice che ha emesso l’ordinanza.

2. Il giudice, se ritiene le ricerche esaurienti, dichiara, nei casi previsti dall’articolo 296, lo stato di latitanza.

3. Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267, può disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione. Si applicano, ove possibile, le disposizioni degli articoli 268, 269 e 270.

3-bis. Fermo quanto disposto nel comma 3 del presente articolo e nel comma 5 dell’articolo 103, il giudice o il pubblico ministero può disporre l’intercettazione di comunicazioni tra presenti quando si tratta di agevolare le ricerche di un latitante in relazione a uno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis nonché dell’articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4).

3-ter. Nei giudizi davanti alla Corte d’assise, ai fini di quanto previsto dai commi 3 e 3-bis, in luogo del giudice provvede il presidente della Corte.

Rassegna giurisprudenziale

Verbale di vane ricerche (art.  295)

Ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibile tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla PG ai sensi dell’art. 295 – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma 4, dello stesso codice (SU, 18822/2014).

A partire dalla dichiarazione di latitanza, le notifiche sono state eseguite, mediante consegna di copia al difensore ai sensi dell’art. 165 che non prevede ulteriori ricerche del soggetto già dichiarato latitante ai fini specifici della notifica; ciò a differenza di quanto previsto per l’emissione del decreto di irreperibilità dall’art 159, norma che disciplina la modalità di notifica all’imputato quando non è possibile eseguire la notifica nei modi previsti dall’art. 157, stabilendo apposite ricerche nei luoghi indicati nella stessa norma, disponendo, in caso di esito negativo di tali ricerche, l’emissione di un decreto di irreperibilità col quale viene nominato un difensore di ufficio se l’imputato ne è privo, disponendosi altresì la notifica dell’atto mediante consegna di copia al difensore.

Mentre le ricerche dell’imputato irreperibile devono essere rinnovate nei luoghi indicati dall’art. 159, in occasione della emissione di nuovo decreto di irreperibilità nei passaggi di fase e di grado del procedimento previsti dall’art. 160, che disciplina i limiti temporali di efficacia di detto decreto, lo stesso non accade per il decreto di latitanza.

Difatti, le notificazioni all’imputato latitante devono essere eseguite mediante consegna di copia al difensore di fiducia o d’ufficio sino a quando non sia stata processualmente accertata la cessazione della latitanza, senza che sia necessaria la rinnovazione delle ricerche ad ogni passaggio di fase o grado (Sez. 7, 25166/2017).

Il problema dei limiti e delle condizioni di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello in cui sono state disposte si pone anche riguardo alle intercettazioni effettuate ai fini della ricerca del latitante, previste dall’art. 295, comma 3.

Tali intercettazioni non sono, a rigore, un mezzo di ricerca della prova in quanto vengono disposte al fine di agevolare le ricerche di chi volontariamente si sottragga ad una misura cautelare coercitiva o a un ordine di carcerazione (art. 296, comma 1).

Si è posto pertanto all’interprete il problema della possibilità di utilizzazione a fini probatori delle intercettazioni disposte ai sensi dell’art. 295. Invero, di tale utilizzabilità non pare potersi dubitare in ragione dell’espresso rinvio operato dall’art. 295, comma 3, all’art. 270, norma che, al primo comma, ammette l’utilizzo dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi solo se risultano indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali (come quello in questione) è obbligatorio l’arresto in flagranza.

Sul punto, si è infatti osservato che “i risultati delle intercettazioni disposte per agevolare le ricerche di latitanti possono essere utilizzati a fini probatori anche in procedimenti diversi, stante l’espresso rinvio operato dall’art. 295, comma 3, all’art. 270, dichiarato applicabile, in quanto possibile, anche alle intercettazioni volte ad agevolare le ricerche del latitante”.

Il rinvio dell’art. 295 all’art. 270 non può avere, come unica funzione, quella di richiamare le garanzie difensive previste dai commi 2 e 3 di quest’ultima norma, dal momento che tali garanzie hanno senso solo in relazione all’applicabilità del primo comma e, dunque, alla utilizzabilità probatoria dei risultati delle intercettazioni nel diverso procedimento (Sez. 4, 5306/2017).

Le intercettazioni per la ricerca dei latitanti, a differenza di quelle ordinarie, non necessitano della dimostrazione dei gravi indizi poiché presuppongono lo stato di latitanza che a sua volta è fondato su un’ordinanza cautelare o su un ordine di carcerazione per espiazione pena sicché la gravità indiziaria è in re ipsa (Sez. 6^, 44522/2009). Alle intercettazioni in esame non si applica il disposto dell’art. 203 (Sez. 2, 39380/2010).

La competenza ad emettere il provvedimento che dispone le intercettazioni spetta al GIP (o al PM in caso di urgenza) se la ricerca è finalizzata all’esecuzione di una misura cautelare. Spetta invece al giudice dell’esecuzione se è finalizzata all’esecuzione di un ordine di carcerazione per espiazione pena (Sez. 4, 34817/2015). Anche in quest’ultimo caso, tuttavia, la competenza spetta al GIP se ricorrano esigenze investigative connesse allo stato di latitanza (Sez. 4, 51670/2014).

Sono pienamente utilizzabili i risultati delle intercettazioni finalizzate alla ricerca di latitanti anche se disposte da un giudice incompetente (Sez. 4, 47/2013).

Non occorre né una motivazione autonoma sulla necessità e urgenza, perché entrambi i requisiti sono insiti nell’esigenza della cattura di una persona destinataria di un’ordinanza cautelare o un ordine di carcerazione come è peraltro dimostrato dal mancato rinvio dell’art. 295 comma 3 ai presupposti indicati dall’art. 267, né un collegamento tra le ricerche e i fatti per cui si procede (Sez. 1, 19979/2016).

Il richiamo che l’art. 295 comma 3 fa ai limiti posti dall’art. 267 deve essere inteso nel senso che anche per le intercettazioni per la ricerca dei latitanti operano i medesimi limiti temporali delle intercettazioni ordinarie sicché, allo scadere del termine di 15 giorni, la prosecuzione è consentita solo se sia stata chiesta e ottenuta la proroga (Tribunale Milano, Sez. 8, 19 ottobre 1995).