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Art. 296 - Latitanza

1.  È latitante chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o a un ordine con cui si dispone la carcerazione.

2. Con il provvedimento che dichiara la latitanza, il giudice designa un difensore di ufficio al latitante che ne sia privo e ordina che sia depositata in cancelleria copia dell’ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore.

3. Gli effetti processuali conseguenti alla latitanza operano soltanto nel procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata.

4. La qualità di latitante permane fino a che il provvedimento che vi ha dato causa sia stato revocato a norma dell’articolo 299 o abbia altrimenti perso efficacia ovvero siano estinti il reato o la pena per cui il provvedimento è stato emesso.

5. Al latitante per ogni effetto è equiparato l’evaso.

Rassegna giurisprudenziale

Latitanza (art. 296)

Ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibile tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla PG ai sensi dell’art. 295 – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma 4, dello stesso codice (SU, 18822/2014).

La notificazione ex art. 165 non può essere equiparata a quella all’irreperibile ex art. 159 essendo differenti essendo le condizioni per l’accertamento delle due indicate situazioni ed i relativi effetti. La latitanza ha immediata rilevanza processuale ed è determinata da una scelta volontaria dell’imputato di sottrarsi ad un provvedimento dell’AG limitativo della libertà e a non presenziare quindi al procedimento.

L’irreperibilità è una situazione di fatto, che può anche essere involontaria e incolpevole, e che diviene processualmente rilevante per effetto della chiamata nel giudizio.

Sicché, in un procedimento diverso da quello in cui si è verificata la latitanza, non solo non è applicabile alle notificazioni la relativa disciplina, ma nemmeno può affermarsi automaticamente che il latitante debba essere trattato come irreperibile, se non se ne verificano le condizioni.

Infine, il profilo diacronico-funzionale degli adempimenti muta con riferimento a ciascuna delle due figure indicate, dato che le notificazioni all’imputato latitante vanno eseguite mediante consegna di copia al difensore di fiducia o d’ufficio sino a quando non sia stata processualmente accertata la cessazione della latitanza, senza necessità di rinnovazione delle ricerche ad ogni passaggio di fase o grado, mentre l’efficacia del decreto di irreperibilità è limitata alle fasi scandite dall’art. 160 (Sez. 1, 17178/2018).

Lo stato di latitanza, a cui è equiparata la condizione dell’evaso, cessa, oltre che nelle ipotesi previste dall’ art. 296, comma 4, soltanto con la cattura o con la costituzione spontanea in Italia o con l’arresto all’estero a seguito di procedura di estradizione, nel caso in cui l’imputato possa considerarsi a disposizione dell’AG italiana.

Una simile condizione ricorre in caso di arresto effettuato secondo la procedura prevista dalla Decisione quadro del Consiglio relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 (decisione che al fine di creare un sistema di libera circolazione delle statuizioni giudiziarie in materia penale ha inteso introdurre un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate per dare esecuzione alle sentenze di condanna in materia penale ed eliminare la complessità e i potenziali ritardi provocati dalla precedente disciplina in materia di estradizione), dato che l’arresto pone la persona richiesta anche nella disponibilità dell’AG che ha emesso il provvedimento coercitivo, in ragione del fatto che l’AG dell’esecuzione non solo deve prendere una decisione definitiva sull’ esecuzione del MAE nei termini previsti dall’ art. 17 e consegnare al più presto il ricercato, ai sensi dell’ art. 23, ma è tenuta anche ad accertarsi che nel frattempo siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva e a motivare qualsiasi rifiuto di eseguire il mandato.

Questa condizione si riverbera anche sul piano del diritto interno. Il giudice della cognizione infatti, dovendo avere riguardo ai fini della individuazione delle modalità di notificazione all’imputato a fatti, comportamenti e dichiarazioni riguardanti lo stesso intervenuti all’interno del medesimo procedimento, è onerato, ove l’imputato risulti evaso, a preoccuparsi della persistenza di questa condizione, anche verificando l’esito del MAE emesso presso il sistema di informazione a ciò deputato, ai fini dell’assolvimento degli obblighi ricollegati all’evoluzione del procedimento e volti a garantire il diritto del prevenuto di partecipare al giudizio, riconosciuto dall’ art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU. Una volta chiarito che l’arresto dell’imputato avvenuto all’estero in esecuzione del MAE ha provocato il venir meno della condizione di evaso, occorrerà poi precisare che alla fattispecie trova applicazione il disposto dell’ art. 169, comma 5, a mente del quale la disciplina delle notificazione all’ imputato all’estero involge anche chi sia detenuto in altro paese; al riguardo, la detenzione all’estero della persona richiesta in estradizione integra comunque un’ipotesi di “dimora”, da intendersi come la permanenza della persona fisica in un certo luogo sia pure in via transitoria ma con un minimo di stabilità (Sez. 2, 54245/2017).

In fase esecutiva può essere sollevata la questione della validità del decreto di latitanza all’esclusivo fine di contestare la validità della notifica dell’estratto contumaciale e, di conseguenza, l’avvenuta formazione del titolo esecutivo: più in generale, infatti, il vizio determinante nella instaurazione del contraddittorio verificatosi nel giudizio di cognizione rileva in executivis soltanto nella misura in cui determini l’invalidità della notifica dell’estratto contumaciale, la quale non subisce alcuna preclusione collegata al giudicato (Sez. 1, 7430/2017).

Lo stato di latitanza, a mente dell’art. 296, comma 1, presuppone la volontaria sottrazione del soggetto alla cattura e l’emissione di un’ordinanza restrittiva in tal senso, così come le indagini previste dall’art. 295 sono giustificate dal mancato rintraccio della persona nei cui confronti una misura cautelare è disposta.

Risulta quindi di tutta evidenza l’illegittimità di indagini di PG svolte in prevenzione e concluse prima dell’adozione della misura coercitiva, non solo per la mancanza della condizione che le provoca, ma anche per la loro intrinseca inidoneità a dimostrare la volontà dell’interessato di sottrarsi all’esecuzione della misura. Il criterio di effettività delle indagini, da declinarsi di volta in volta secondo le peculiarità del caso concreto, non può però essere soddisfatto da ricerche burocratiche svolte solo in archivi e banche dati, che debbono essere accompagnate da uno sforzo investigativo che si preoccupi di rinvenire sul territorio le tracce del soggetto nei cui confronti è stata disposta la misura cautelare.

Risulta altrettanto palese come il criterio dell’effettività risulti difficilmente compatibile con indagini concluse nel pomeriggio dello stesso giorno in cui si assume essere stata emessa l’ordinanza che dispone la misura cautelare, in quanto uno sforzo investigativo di rintraccio del soggetto interessato alla cattura, per essere effettivo, deve protrarsi quanto meno per un tempo congruo a garantire la minuziosità degli accertamenti e giustificare l’impossibilità di battere altre strade utili all’individuazione del soggetto ricercato.

L’erronea dichiarazione di latitanza, formulata omettendo un’ effettiva valutazione in ordine al carattere sufficientemente completo ed esauriente delle ricerche svolte e in assenza di prove della volontaria irreperibilità qualificata dalla consapevolezza che il provvedimento restrittivo era stato o poteva essere emesso, determina la nullità degli atti conseguenti, in specie della citazione a giudizio e delle sentenze pronunciate nel corso del giudizio, che pertanto devono essere annullate senza rinvio (Sez. 2, 45604/2017).