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Art. 297 - Computo dei termini di durata delle misure

1. Gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo.

2. Gli effetti delle altre misure decorrono dal momento in cui l’ordinanza che le dispone è notificata a norma dell’articolo 293.

3. Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma.

4. Nel computo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni solo ai fini della determinazione della durata complessiva della custodia a norma dell’articolo 303 comma 4.

5. Se l’imputato è detenuto per un altro reato o è internato per misura di sicurezza, gli effetti della misura decorrono dal giorno in cui è notificata l’ordinanza che la dispone, se sono compatibili con lo stato di detenzione o di internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo. Ai soli effetti del computo dei termini di durata massima, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza.

Rassegna giurisprudenziale

Computo dei termini di durata delle misure (art. 297)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 297 comma 3 nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza (408/2005).

È costituzionalmente illegittimo l’art. 297 comma 3 nella parte in cui – con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi – non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura (Corte costituzionale, sentenza 233/2011).

L’istituto della proroga, disciplinato dall’art. 305 e quello del cosiddetto “congelamento” dei termini massimi di custodia cautelare, disciplinato dall’art. 297 comma 4, sono ben distinti e non sovrapponibili all’istituto della sospensione dei termini di durata massima disciplinato dall’art. 304, che prevede l’ordinanza, come comune forma del provvedimento giudiziale di adozione (Sez. 4, 27540/2018).

In ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee (Sez. 6, 3058/2017).

Deve condividersi l’affermazione della giurisprudenza prevalente, posta a fondamento delle precedenti decisioni negative nei confronti del ricorrente) che la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza.

È solo rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, che prende in considerazione solo i fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza (SU, 14535/2007, ribadita da ultimo da SU, 48109/2018).

In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità” delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilità” di determinate evenienze fattuali. Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo dì cui all’art. 297, comma terzo, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica “significanza processuale”; ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del panorama indiziarlo, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo - in presenza di concrete esigenze cautelari - alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare (Sez. 3, 4990/2019).

Perché si possa parlare di “contestazione a catena” e perché possa eventualmente trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, è necessario che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione dell’ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (Sez. 2, 53069/2018).

In ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297, comma 3, impone, ai fini del calcolo dei termini di fase, di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee (Sez. F, 47581/2014).

In senso contrario: in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee (Sez. 6, 3058/2016).

Va rimessa alle Sezioni unite la seguente questione: Se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee (Sez. 2, 19100/2018).

Ai fini previsti dall’art. 300, comma 4, deve computarsi anche il periodo in cui il soggetto è stato contestualmente detenuto in esecuzione pena per un altro titolo, poiché questa, in quanto compatibile, ai sensi dell’art. 297, comma 5, con lo stato di detenzione derivante dalla misura cautelare, non sospende gli effetti di quest’ultima (Sez. 6, 8512/2016).

Anche in questo caso, si determina un superamento dei termini massimi di custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma 5, dovendo gli stessi essere computati per l’intervenuta affermazione di responsabilità, non più con riguardo a quelli, astratti, di cui all’art. 303, ma in relazione alla pena in concreto inflitta (Sez. 5, 47998/2014).