Art. 270 - Utilizzazione in altri procedimenti

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1.

1-bisFermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2 -bis.

2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l'autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell’art. 268 commi 6, 7 e 8.

3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate.

Rassegna giurisprudenziale

Utilizzazione in altri procedimenti (art. 270)

Procedimento penale diverso

Quesito posto alle Sezioni unite: "se il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le intercettazioni siano state disposte, di cui all’art. 270, riguardi anche i reati non oggetto della intercettazione ab origine disposta e che, privi di collegamento strutturale, probatorio e finalistico con quelli invece già oggetto di essa, siano emersi dalle stesse operazioni di intercettazione" (Sez. 6, 11160/2019).

Soluzione delle Sezioni unite: il divieto di cui all’art. 270 di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni - salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza - non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempre che rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge ( SU, 51/2020).

Il primo ed essenziale problema posto dalla norma è la corretta identificazione del concetto di procedimento diverso. Non a caso, dunque, una congerie di decisioni di legittimità si è focalizzata su di esso. 

È stato anzitutto escluso che il frazionamento di un procedimento originariamente unitario, dovuto all’eterogeneità delle ipotesi di reato e degli indagati, dia luogo a diversità di procedimenti sicché l’ipotesi è estranea alla disciplina dell’art. 270 che invece richiede procedimenti distinti ab origine (Sez. 5, 43977/2017).

Lo stesso vale ovviamente nei casi di distinzione solo fisica degli incartamenti tra due procedimenti in realtà unitari e nel caso che, per eventi di natura meramente procedimentale, il procedimento iniziale sia stato scomposto in più procedimenti ad ognuno dei quali sia stato assegnato un diverso numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato (Sez. 1, 29421/2006).

La medesima soluzione giuridica si estende al caso del mutamento dell’iniziale qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, 9247/1994 e, più di recente, Sez. 6, 50072/2009).

Il medesimo principio si applica al caso in cui in un procedimento archiviato venga autorizzata la riapertura delle indagini in conseguenza del rinvenimento di nuovi elementi di prova (Sez. 6, 1626/1996).

Si è precisato inoltre che l’espressione “diverso procedimento” ha un significato sostanziale e non riguarda i casi in cui sia presente una connessione rilevante secondo l’art. 12 di tipo investigativo (Sez. 6, 41771/2017).

Questa connessione può essere di tipo oggettivo, probatorio o finalistico e quando è presente non si applica la disciplina prevista per i procedimenti diversi (Sez. 5, 45535/2016).

Ricorre certamente questa connessione quando un procedimento abbia ad oggetto condotte di favoreggiamento collegate all’oggetto di un altro procedimento, anche se non sia stata formalmente contestata l’aggravante del nesso teleologico (Sez. 6, 2218/1997).

La relazione tra connessione e identico procedimento è stata compiutamente analizzata dalle SU, 32697/2014. È stato affermato in questa decisione che «in tema di intercettazioni di conversazioni, la nozione di identico procedimento, che esclude l’operatività del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 , prescinde da elementi formali come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, ma implica una valutazione di tipo ‘sostanziale’, con la conseguenza che il procedimento è considerato identico solo quando tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo (art. 12 ), probatorio o finalistico, che ne denuncia l’appartenenza ad un unico sostanziale filone investigativo e che integra un’unica provvista probatoria». La stessa sentenza 32697/2014 ha chiarito ulteriormente che le intercettazioni compiute in un procedimento sono utilizzabili in altri procedimenti qualora la comunicazione captata costituisca essa stessa condotta delittuosa: in questo caso, infatti, si applica la disciplina del corpo di reato e non trovano applicazione i limiti posti dall’art. 270. 

L’alterità del procedimento richiede che esso abbia ad oggetto un fatto storicamente diverso (Sez. 2, 19730/2015).

L’emersione di più reati nell’ambito del medesimo procedimento è una situazione estranea a quella regolata dall’art. 270 e consente la piena utilizzazione dei risultati delle intercettazioni per tutti i reati ipotizzati dall’accusa, anche per quelli che da soli non avrebbero consentito le intercettazioni stesse (Sez. 6, 41768/2017).

L’esportazione delle intercettazioni da un procedimento a un altro non è condizionata da alcun limite soggettivo e il loro contenuto può essere quindi utilizzato nei confronti di qualsiasi individuo nei cui confronti quel contenuto evidenzi elementi di responsabilità (Sez. 6, 9822/1992).

Si segnala infine un’interessante questione circa l’utilizzabilità delle intercettazioni ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa dell’ente prevista dal D. Lgs. 231/2001: I risultati desumibili dalle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ordinate per il reato presupposto sono comunque utilizzabili anche per accertare la responsabilità dell’ente, ed anche se il procedimento relativo a quest’ultimo sia stato formalmente separato per vicende successive.

Invero, pure a voler sottolineare che altro è il reato presupposto ed altro è l’illecito amministrativo dipendente dal reato presupposto, è innegabile l’esistenza di una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dell’illecito amministrativo dipendente dal medesimo reato.

Questa conclusione, inoltre, non appare suscettibile di differenziazione nel caso in cui si procede separatamente per il reato presupposto e per l’illecito amministrativo da esso conseguente, posto che la “scissione” dei procedimenti non potrebbe essere certo causata dalla eterogeneità delle ipotesi di illecito penale.

Né, poi, l’utilizzabilità delle intercettazioni è preclusa dalla posteriorità dell’annotazione del procedimento nei confronti degli enti rispetto al compimento delle operazioni di captazione.

Costituisce principio assolutamente consolidato quello secondo cui l’omessa o ritardata iscrizione del nome dell’indagato nel registro previsto dall’art. 335  non determina alcuna invalidità delle indagini stesse, sicché la tardiva iscrizione può incidere sulla utilizzabilità delle indagini finali, ma non sulla utilizzabilità di quelle svolte prima della iscrizione.

Tale principio, stante l’assenza di disposizioni o ragioni sistematiche di segno contrario, deve ritenersi applicabile anche in materia di utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (Sez. 6, 41768/2017).

Si segnala inoltre Sez. 6, 11160/2019 la quale ha devoluto alle Sezioni unite il seguente quesito: “se a seguito di autorizzazione allo svolgimento di operazioni di intercettazione per uno dei reati di cui all’art. 266, le conversazioni intercettate siano comunque utilizzabili per tutti i reati oggetto del procedimento e se dunque la nozione di “diverso procedimento” di cui all’art. 270 sia applicabile solo nel caso di procedimento ab origine diverso e non anche nel caso di reato basato su notizia di reato emergente dalle stesse operazioni di intercettazione, ma priva di collegamento strutturale, probatorio e finalistico con il reato o i reati per i quali le intercettazioni sono state autorizzate”.

 

Indispensabilità per l’accertamento di delitti per i quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza

Il concetto di indispensabilità comprende l’accertamento non solo del fatto reato ma dell’intera imputazione e dunque anche i fatti inerenti alla punibilità, la determinazione della pena e le circostanze del reato (Sez. 2, 2809/2016).

L’indispensabilità ricorre anche quando le captazioni servano solamente come riscontri per il rafforzamento di dichiarazioni accusatorie (Sez. 2, 12625/2015).

 

Divieto di utilizzazione

Nel caso in cui non trovi applicazione, ratione temporis, la modifica dell'art. 270 introdotta dal DL 161/2019, convertito con modificazioni dalla L. 7/2020, deve ritenersi che il divieto di cui all'art. 270 di utilizzazione i risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - non operi con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12, a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata "ab origine" disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 (fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto di dover accogliere le deduzioni del ricorrente in ordine alla inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, risultando pacifico che il reato per cui si procedeva - art. 318 CP - non rientrasse fra quelli per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza - e per i quali non opera, come noto, il presupposto della necessità della connessione - e dovendosi escludere, altresì, che tale reato fosse connesso sul piano sostanziale a quelli per i quali le operazioni erano state autorizzate e prorogate) (Sez. 6, 15138/2022).

L'inutilizzabilità prevista dall'art. 270, comma 2, ha natura patologica con conseguente possibilità di rilevarla anche nel giudizio abbreviato, trattandosi di divieto probatorio stabilito a tutela del fondamentale diritto di inviolabilità della libertà e segretezza delle comunicazioni, protetto dall'art. 15 Cost. e dall'art. 8 CEDU (Sez. 3, 14536/2022).

Il divieto di cui all’art. 270 che impedisce di utilizzare i risultati delle intercettazioni acquisite in procedimenti penali diversi da quelli per i quali le operazioni di ascolto sono state autorizzate, non opera con riferimento alle captazioni relative ai reati che sono connessi ex art. 12 a quelli per cui l’autorizzazione era stata originariamente concessa, a condizione che rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 (Sez. 1, 29596/2021).

In tema di intercettazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 comma 1, nel concetto di "diverso procedimento" non rientrano le indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato per il cui accertamento è stato predisposto il mezzo di ricerca della prova, dovendo la diversità del procedimento intendersi in senso sostanziale, e non già collegabile al dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato. La diversità dei procedimenti, dunque, è legata all’insussistenza di un nesso tra due fatti-reato, o ai sensi dell’art. 12, o di tipo investigativo ex art. 371 comma 2 lett. b) e c), quando il collegamento tra gli stessi risulti meramente fattuale ed occasionale (la Corte ha evidenziato che il procedimento a carico del ricorrente costituisce stralcio di quello originariamente iscritto a carico di altri soggetti per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., aggravato ai sensi del comma 4 e 5 dalla natura armata del sodalizio, nel cui ambito è stata ritualmente autorizzata l’attività di intercettazione mediante installazione di captatore informatico nei telefoni cellulari dei colloquianti, trattandosi di delitto di criminalità organizzata; sussiste, dunque, un’evidente connessione dei reati di detenzione e porto illegale di un’arma comune da sparo aggravati dal fine di agevolare l’attività della cosca di ndrangheta oggetto della notitia criminis originaria col relativo delitto associativo) (Sez. 1, 1237/2021).

Il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi di cui all’art. 270 riguarda solo la valutazione degli stessi come elementi di prova e non anche la possibilità di utilizzarli come notizia di reato ai fini dell’avvio di nuove indagini e dell’acquisizione di ulteriori fonti probatorie (Sez. 3, 12536/2015).

Sullo stesso tema, sia pure diversamente declinato, Sez. 2, 17759/2017 ha ritenuto legittima la traslazione di intercettazioni che sono state utilizzate nel procedimento ad quem al solo fine dell’accertamento della capacità di stare in giudizio dell’imputato, ovviando in tal modo al problema posto dal costante rifiuto di costui di sottoporsi a un colloquio clinico psichiatrico.

La conclusione dei giudici di legittimità è stata fondata sull’equiparazione ad una notizia di reato della registrazione da cui risultava che l’imputato aveva fraudolentemente simulato o enfatizzato disturbi psichiatrici con l’obiettivo evidente di paralizzare la celebrazione del giudizio.

A sua volta, Sez. 4, 5306/2017 ha escluso che il divieto possa riguardare le intercettazioni consentite dall’art. 295 comma 3 per la ricerca dei latitanti. Ciò per via dell’espresso rinvio che tale norma fa all’art. 270. e del convincimento che esso non possa avere l’unica funzione di richiamare le garanzie difensive previste dai commi 2 e 3 di quest’ultima norma, dal momento che tali garanzie hanno senso solo in relazione all’applicabilità del primo comma e, dunque, alla utilizzabilità probatoria dei risultati delle intercettazioni nel diverso procedimento.

La dichiarata inutilizzabilità delle intercettazioni nel procedimento a quo non impedisce che le stesse, una volta acquisite nel procedimento ad quem, siano riconosciute invece utilizzabili dal giudice competente (Sez. 1, 2599/2003).

L’autonomia del secondo giudice è stata recentemente ribadita da Sez. 6, 36874/2017 anche in senso contrario, potendo cioè il giudice ad quem ritenere inutilizzabili intercettazioni considerate utilizzabili nel procedimento a quo.

Sez. 1, 4048/1998 afferma che non è vietato acquisire in un procedimento penale italiano i risultati delle intercettazioni svolte in un procedimento penale estero che siano stati acquisiti mediante rogatoria. La legittimità di quest’operazione è tuttavia subordinata ad alcune condizioni: l’utilizzazione concreta non può eccedere i limiti eventualmente posti dall’autorità straniera; le intercettazioni devono essere state condotte nel rispetto della legge nazionale dello Stato straniero; le stesse devono rispettare i principi fondamentali di garanzia propri del nostro ordinamento costituzionale.

Al contrario, nei casi di palese inutilizzabilità della traslazione delle intercettazioni, non si può surrettiziamente recuperarne il contenuto con la deposizione degli addetti di PG che hanno proceduto all’ascolto (Sez. 6, 4136/1996).

Il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali dette intercettazioni siano state autorizzate, previsto in linea generale dall’art. 270 c.p.p., non opera — oltre ai casi nei quali i risultati siano indispensabili per l’accertamento di reati in ordine ai quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza — con riguardo a reati che presentino connessione, nelle ipotesi di cui all’art. 12 c.p.p., con quelli oggetto dell’iniziale autorizzazione. Ne segue che, ove tali reati risultassero non connessi, nelle forme indicate dall’art. 12 c.p.p., rispetto a quelli che avevano motivato l’originaria autorizzazione delle intercettazioni, l’utilizzazione dei risultati di tali intercettazioni sarebbe preclusa dal divieto di cui all’art. 270 c.p.p., secondo il menzionato principio giurisprudenziale. Questa causa di inutilizzabilità non sarebbe sanata dalla scelta difensiva del giudizio abbreviato. In questo rito alternativo, infatti, rimangono deducibili le inutilizzabilità definibili come «patologiche», ossia derivanti dall’assunzione di atti probatori in violazione di specifici divieti normativi (Sez. 5, 11745/2020).

Deposito degli atti presso l’autorità competente per il diverso procedimento

In via generale, la giurisprudenza di legittimità afferma che l’obbligo di deposito sancito dall’art. 270 comma 2 riguarda esclusivamente gli atti ivi specificamente menzionati, cioè i verbali e le registrazioni. Non comprende invece i decreti autorizzativi sicché la loro mancata inclusione nel compendio depositato nel procedimento ad quem non determina alcuna sanzione (SU, 45189/2004).

Merita di essere segnalata la distinzione operata nell’occasione dalle Sezioni unite tra il procedimento per l’ammissione delle intercettazioni e quello per la selezione delle prove acquisite per loro tramite.

Il massimo collegio di legittimità ha ritenuto che l’art. 270 incorpora soltanto il secondo dei due e quindi, essendogli funzionalmente estranea la verifica dell’ammissibilità dell’intercettazione, il deposito dei provvedimenti autorizzativi non gli è indispensabile. Ha però contestualmente riconosciuto che se nel giudizio a quo vi sono state violazioni tali da rendere la prova inutilizzabile, gli effetti della inutilizzabilità non possono non riverberarsi anche nel procedimento ad quem.

Perché questo accada, tuttavia, occorre l’attivazione di chi vi abbia interesse, nel senso che ha l’onere di produrre, ove chieda il riconoscimento dell’inutilizzabilità per vizi propri del procedimento a quo, i decreti autorizzativi idonei a dimostrare la fondatezza della sua tesi.

Specularmente, il giudice del procedimento ad quem è tenuto a dichiarare anche d’ufficio l’inutilizzabilità che risulti per tabulas ma non ha invece l’obbligo di controllare gli atti che gli sono stati sottoposti alla ricerca di eventuali violazioni normative. La dichiarazione di inutilizzabilità, beninteso, produce effetti limitatamente al procedimento ad quem e non vincola in alcun modo le valutazioni del procedimento a quo.

La giurisprudenza di legittimità successiva all’intervento delle Sezioni unite si è in più di un caso discostata, sebbene non in modo esplicito, dai principi che queste avevano affermato.

Sez. 7, 46147/2017 ha affermato che l’omissione del deposito degli atti non determina, anche quando comprenda i nastri su cui sono impresse le registrazioni, l’inutilizzabilità degli stessi poiché l’art. 270 non prevede questa sanzione.

Questo principio rimane valido anche dopo  che la Consulta (Corte costituzionale, sentenza 336/2008) ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 268, per contrasto con gli artt. 3, 24, comma 2 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.

La decisione della Corte ha indubbiamente ampliato i diritti della difesa, incidendo sulle forme e sulle modalità di deposito delle bobine, ma senza incidere sul regime delle sanzioni processuali in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni di cui all’art. 271.

Ugualmente, Sez. 1, 18876/2017 ha ritenuto utilizzabili, ai fini cautelari, i risultati delle intercettazioni telefoniche, disposte a seguito di captazione eseguita in diverso procedimento, di cui non sia stato acquisito l’originario provvedimento autorizzativo né sia stato effettuato alcun deposito ai sensi dell’art. 270.

La decisione ha chiarito che i risultati dell’intercettazione del procedimento a quo influiscono sulle autorizzazioni relative al procedimento ad quem come mero presupposto di fatto, incidente sulla motivazione dei successivi, autonomi provvedimenti autorizzativi solo sotto il profilo della loro rilevanza ai fini della verifica dei “gravi indizi di reato”, richiesta dall’art. 267, comma 1, mentre il deposito di cui all’art. 270, comma 2,  da effettuarsi con le modalità previste dall’art. 268, commi 6 e 8  non rileva, a pena di inutilizzabilità, nel corso delle indagini preliminari, trattandosi di adempimento che può essere legittimamente procrastinato per esigenze investigative, non oltre il termine delle indagini stesse, ex art. 268, comma 5, fermo restando che, ove la parte richieda una verifica al riguardo, il giudice di merito è tenuto ad effettuarla in via incidentale.

Nel caso in cui i risultati intercettivi siano prodotti in un diverso procedimento per essere valutati ai fini dell’eventuale emissione di una misura cautelare, è sufficiente il loro inserimento tra gli atti depositati a sostegno della richiesta e non è quindi indispensabile il loro recepimento formale nel procedimento ad quem (Sez. 6, 14246/2007).

In tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, l'omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l'autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l'inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall'art. 270 e non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 271 aventi carattere tassativo (Sez. 3, 37057/2019).

 

Competenza a riconoscere la violazione dell’art. 270 comma 1 e dichiarare l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni illegittime

Sez. 6, 52603/2016 ha affermato che, in sede di udienza preliminare, è corretto il comportamento del giudice che, essendogli stato chiesto di dichiarare l’inutilizzabilità di intercettazioni acquisite in violazione dell’art. 270, abbia declinato la competenza a favore del giudice della successiva fase di merito. Ciò perché solo una valutazione complessiva del materiale probatorio al momento della definizione delle diverse posizioni processuali può consentire al giudice di esaminare le eccezioni rilevanti ai fini della decisione resa all’esito della discussione delle parti.

A sua volta, Sez. 3, 40209/2014 ha ritenuto che il GIP non è tenuto a decidere anticipatamente, rispetto alla trattazione del merito, le questioni riguardanti l’utilizzabilità degli atti processuali al fine di consentire all’imputato di valutare l’opportunità di accedere a rito abbreviato nella piena conoscenza delle prove utilizzabili, in quanto nessun obbligo in tal senso è contemplato dalle disposizioni processuali.

Un’anticipazione della pronuncia sulla utilizzabilità della prova nel corso dell’udienza preliminare è irrituale in mancanza di un sistema di decisione graduale sul merito della richiesta di rinvio a giudizio, oltre che inutile. La disciplina in rito dell’udienza (art. 421) non contempla alcun momento in cui il GIP sia chiamato a statuire sulla utilizzabilità delle prove e non vi è sanzione per una siffatta mancanza e la stessa struttura e finalità del giudizio abbreviato preclude al giudice di statuire, a mezzo di ordinanza, sull’ammissione delle prove ai sensi dell’art. 190 comma 1, momento, questo, che appartiene invece al giudizio come dibattimento.

Diverso e più pregnante è invece, secondo Sez. 6, 36874/2017, l’onere valutativo che spetta al GIP cui sia chiesta l’emissione di una misura cautelare che si fondi su intercettazioni provenienti da un diverso procedimento. In tal caso, infatti, tale giudice, come si è già detto, ha il potere/dovere di compiere un autonomo apprezzamento sul materiale intercettivo che si deve estendere non solo al significato probatorio ma, prima ancora, alla sua utilizzabilità. Lo stesso onere spetta di seguito al Tribunale del Riesame, tanto più a fronte di specifiche censure sul punto.

 

Utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti extrapenali

In più occasioni (SU civili, sentenza 3020/2015) le sezioni unite hanno affermato che «le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall’art. 270, norma quest’ultima riferibile al solo procedimento penale deputato all’accertamento delle responsabilità penali dell’imputato o dell’indagato, sicché si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale».

Ed ancora: "Le intercettazioni possono essere utilizzate nel procedimento disciplinare, in applicazione della consolidata giurisprudenza secondo cui le intercettazioni effettuate in un procedimento penale sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati, purché siano state legittimamente disposte ed acquisite. In particolare, l'utilizzazione delle intercettazioni in sede disciplinare non soffre i limiti previsti dall'art. 270 (che disciplina l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti penali), norma riferibile solo al procedimento deputato all'accertamento delle responsabilità penali dell'imputato o dell'indagato, nel quale si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale" (SU civili, 741/2020).

Lo stesso principio è stato affermato riguardo al processo civile (nella specie un giudizio finalizzato alla dichiarazione di incandidabilità) da Sez. 1 civile, 1948/2016 la quale ha peraltro chiarito che «la mancata partecipazione al procedimento penale nell’ambito del quale le intercettazioni sono state disposte della persona nei cui confronti sono utilizzate in sede civile non impedisce il pieno dispiegamento delle garanzie difensive nel diverso procedimento in cui esse debbano essere utilizzate, non escludendo la facoltà dell’interessato di contestarne la legittima effettuazione ed il contenuto, nonché di dedurre o produrre mezzi di prova in contrario.

Peraltro, nell’ambito di quest’ultimo procedimento le intercettazioni non assumono la medesima efficacia probatoria rivestita in quello penale di provenienza, configurandosi come elementi indiziari, liberamente valutabili da parte del giudice ai fini della formazione del proprio convincimento».

È parimenti consolidato il principio (Sez. Lavoro, 10017/2016) per cui le «intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare di cui all’art. 7 della I. n. 300 del 1970, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall’art. 270, riferibili al solo procedimento penale, in cui si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale».

Il principio, per il medesimo oggetto, è condiviso dalla giurisprudenza amministrativa secondo la quale «le intercettazioni telefoniche conseguite nell’ambito di un processo penale (nel quale nemmeno sia stato affrontato il problema della loro corretta acquisizione) sono utilizzabili nel procedimento disciplinare» (Cons. Stato, Sez. 6, 7703/2009).

Uguali conclusioni valgono per il giudizio tributario. Sez. 5 civile, 2916/2016 afferma infatti che il divieto posto dall’art. 270 di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui sono state disposte non vale per il contenzioso tributario “non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie».

La decisione chiarisce inoltre che la traslazione delle intercettazioni nel giudizio tributario non viola il diritto di libertà e segretezza delle comunicazioni perché ogni valutazione al riguardo è già stata fatta dal giudice penale con le garanzie di legge né viola il diritto alla difesa.

Si ammette ugualmente che i risultati delle intercettazioni possano essere esportati nel giudizio sportivo. Le Sezioni unite della Corte di giustizia federale (si veda il comunicato ufficiale 56/CGF del 4.10.2011) hanno riconosciuto la legittimità della traslazione, prescrivendo tuttavia al giudice sportivo di operare un rigoroso controllo sull’attendibilità delle conversazioni e comunicazioni intercettate.

Idem, infine, per il giudizio contabile. Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sentenza 174/2014, chiarisce infatti che «In effetti, l’art. 270 del codice di procedura penale stabilisce chei risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”. Ma questi limiti all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non appaiono applicabili nei giudizi davanti a questa Corte, nei casi in cui le intercettazioni abbiano portato al rinvio a giudizio degli imputati e siano state, quindi, debitamente vagliate in sede dibattimentale.

Appare, infatti, indubbio che ove sia stato celebrato un processo penale la valutazione del giudice contabile ha per oggetto non le mere intercettazioni telefoniche disposte nel corso delle indagini preliminari, ma le complessive risultanze del processo penale, contrassegnate ormai dal carattere della pubblicità. La giurisprudenza contabile ha, poi, più volte chiarito che, pur in assenza di un rapporto di pregiudizialità tra i giudizi, il giudice può appunto acquisire fatti e documenti formati in sede penale e valutarli liberamente».

A conclusione di questa rassegna, si segnala una sentenza dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU, Matheron c/o Francia, 29.3.2005). La Corte affermò la contrarietà all’art. 8 CEDU nei casi in cui, a seguito dell’acquisizione in un procedimento di intercettazioni provenienti da altro procedimento, si impedisca di contestarne la validità a chi ne subisce gli effetti senza essere stato parte del procedimento a quo.