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Art. 299 - Revoca e sostituzione delle misure

1. Le misure coercitive e interdittive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall’art. 273 o dalle disposizioni relative alle singole misure ovvero le esigenze cautelari previste dall’articolo 274.

2. Salvo quanto previsto dall’art. 275, comma 3, quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con un’altra meno grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità meno gravose.

2-bis. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore.

3. Il pubblico ministero e l’imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del presente articolo, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. Il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie ai sensi dell’articolo 121. Decorso il predetto termine il giudice procede. Il giudice provvede anche di ufficio quando assume l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell’assunzione di incidente probatorio ovvero quando procede all’udienza preliminare o al giudizio.

3-bis. Il giudice, prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive e interdittive, di ufficio o su richiesta dell’imputato, deve sentire il pubblico ministero. Se nei due giorni successivi il pubblico ministero non esprime il proprio parere, il giudice procede.

3-ter. Il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Se l’istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve assumere l’interrogatorio dell’imputato che ne ha fatto richiesta.

4. Fermo quanto previsto dall’articolo 276, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un’altra più grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva.

4-bis. Dopo la chiusura delle indagini preliminari, se l’imputato chiede la revoca o la sostituzione della misura con altra meno grave ovvero la sua applicazione con modalità meno gravose, il giudice, se la richiesta non è presentata in udienza, ne dà comunicazione al pubblico ministero, il quale, nei due giorni successivi, formula le proprie richieste. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del presente articolo, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.

4-ter. In ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell’imputato. Gli accertamenti sono eseguiti al più presto e comunque entro quindici giorni da quello in cui la richiesta è pervenuta al giudice. Se la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere è basata sulle condizioni di salute di cui all’articolo 275, comma 4-bis, ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultano in altro modo al giudice, questi, se non ritiene di accogliere la richiesta sulla base degli atti, dispone con immediatezza, e comunque non oltre il termine previsto nel comma 3, gli accertamenti medici del caso, nominando perito ai sensi dell’articolo 220 e seguenti, il quale deve tener conto del parere del medico penitenziario e riferire entro il termine di cinque giorni, ovvero, nel caso di rilevata urgenza, non oltre due giorni dall’accertamento. Durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per gli accertamenti medesimi, è sospeso il termine previsto dal comma 3.

4-quater. Si applicano altresì le disposizioni di cui all’articolo 286-bis, comma 3.

Rassegna giurisprudenziale

Revoca e sostituzione delle misure (art. 299)

Presunzioni cautelari

L’art. 299 comma 2 contiene la clausola di riserva, che fa espressamente salva la previsione dell’art. 275, comma 3, presunzioni incluse (SU, 34473/2012).

Collaboratori di giustizia

Nei procedimenti relativi alla richiesta di modifica o di revoca della misura della custodia cautelare a carico di un collaboratore di giustizia, la decisione del giudice presuppone, a pena di nullità a regime intermedio, la previa acquisizione del parere del procuratore nazionale antimafia, prescritto dall’art. 16-octies d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con mod. dalla l. 15 marzo 1991, n. 82, anche nei casi in cui non sia stata concessa l’attenuante speciale di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203/91, al fine di accertare l’attualità della pericolosità sociale (persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso) e di poter pienamente valutare il rispetto degli impegni assunti dal collaboratore; l’acquisizione del parere del procuratore nazionale antimafia può avvenire anche in sede di appello cautelare (Sez. 2, 33532/2021).

Notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione

Nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare deve essere notificata, a cura del richiedente, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa, a condizione, in quest'ultimo caso, che essa abbia dichiarato o eletto domicilio. In ragione delle finalità eminentemente informative e partecipative al processo, della notifica di cui all'art. 299, commi 3 e 4-bis, essa, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, deve essere effettuata, con le stesse modalità previste per la vittima, ai prossimi congiunti o alla persona a quella legata da relazione affettiva e stabilmente convivente (SU, 17156/2022).

Le Sezioni unite, all’esito dell’udienza del 14 luglio 2022, secondo l’informazione fornita dal servizio novità della Cassazione, al quesito devoluto: “se nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, sia impugnabile con ricorso per cassazione, da parte della persona offesa, l'ordinanza con cui il giudice abbia disposto la revoca o la sostituzione di misura cautelare coercitiva, diversa da quelle del divieto di espatrio o dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, senza attendere il decorso del termine di due giorni previsto per l'eventuale memoria della stessa persona offesa”, hanno fornito soluzione negativa, attesa la mancanza di previsione di legge che consenta il ricorso per cassazione o altro mezzo d'impugnazione, fermo restando che la persona offesa può presentare richiesta motivata al PM, affinché questi proponga impugnazione ex art. 572 (SU, udienza del 14 luglio 2022, informazione provvisoria).

In tema di misure cautelari, ai fini della ammissibilità della richiesta di revoca o di sostituzione del provvedimento applicato nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, è valida la notifica tramite posta elettronica effettuata, ai sensi dell'art. 299, comma 4-bis, c.p.p., dal difensore dell'imputato a quello della persona offesa, essendo l'utilizzo di tale mezzo giustificato dalle esigenze di celerità della trattazione dell'istanza de libertate e privo di incompatibilità sistematiche con le disposizioni del processo penale telematico, in quanto rende effettive le facoltà processuali riconosciute alla parte, senza sacrifici per altri interessi contrastanti (Sez. 5, 21736/2021).

Il tenore letterale dell’art. 299 comma 3, secondo periodo, deve stimarsi inequivoco nel senso della necessaria notifica della richiesta de libertate alla persona offesa. La norma individua infatti, nella sua formulazione di apertura, l’obbligo contestuale (a pena di inammissibilità) della notifica della istanza de libertate, a cura della parte richiedente, da effettuarsi presso il difensore o - in mancanza dello stesso - alla persona offesa. Successivamente la disposizione individua solo modalità alternative della notifica, senza punto rimettere in discussione l’obbligo della notifica imposto a pena di inammissibilità. L’omessa dichiarazione o elezione di domicilio rileva quindi solo ed esclusivamente per le modalità della notifica, poiché l’ultima parte della norma si riferisce solo al luogo della notifica, e non già all’obbligo della notifica, cui corrisponde il sacrosanto diritto dell’offeso alla informazione sulla possibile modifica dello status libertatis del suo offensore. In tali sensi dunque volge anche l’esegesi sistematica, ovvero l’interesse specifico tutelato dalla disposizione, la ragione di sistema (nella fattispecie la Corte, pur dando atto di un orientamento contrario - cfr. Sez. 1, 5552/2020 – ha ritenuto non giustificata la rimessione della questione alle Sezioni Unite e, in applicazione del principio enunciato, ha rigettato il ricorso dell’imputato avverso l’ordinanza che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza de libertate non notificata alle persone offese che non avevano nominato un difensore, né dichiarato od eletto il domicilio) (Sez. 2, 12377/2021).

Nel verificare se sussiste l’obbligo di notifica, al difensore della persona offesa o a quest’ultima, dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in atto, il giudice deve tener conto - alla luce dei canoni interpretativi emergenti dalla Direttiva 2012/29/UE - in via gradata, della tipologia della parte offesa (se è parte offesa di delitti di tratta di esseri umani, di terrorismo, di criminalità organizzata, di violenza o sfruttamento sessuale, di crimini di odio) o del movente del reato (se si sia trattato di violenza di genere), ovvero del contesto in cui il reato è stato commesso (se si sia trattato di violenza nelle relazioni strette); al di fuori di tali casi, deve valutare se al delitto connotato da violenza si ricolleghi un concreto pericolo di intimidazione, ritorsioni o vittimizzazione secondaria ripetuta, tali da escludere che si tratti di un reato minore o che vi sia un debole rischio di danno per la vittima (Sez. 2, 12800/2020).

In riferimento agli adempimenti di cui all’art. 299, comma 4-bis, l’obbligo di notifica alla persona offesa dell’istanza sulla libertà proposta dall’imputato non si estende all’appello che egli abbia proposto, ex art. 310, avverso il rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, trattandosi di onere non previsto da alcuna norma di legge ed essendo il diritto di partecipazione della vittima alla fase incidentale cautelare assicurato dalla comunicazione della originaria istanza modificativa.

Nella medesima prospettiva, va, altresì, rilevato come l’adempimento declinato dalla citata disposizione sia previsto in riferimento all’istanza di revoca o sostituzione formulata in relazione alle misure coercitive di cui agli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, mentre ne è esclusa la previsione in riferimento all’obbligo di presentazione alla PG.

Siffatta esclusione appare rispondente alla funzione cautelare che la medesima misura è destinata ad assicurare, essenzialmente fondata sul contenimento del pericolo di fuga e sulla deterrenza del rischio di recidiva, che non involge immediatamente l’aspetto relazionale tra l’autore del reato e la persona offesa.

L’ambito di applicabilità dell’obbligo di notifica alla persona offesa dell’istanza sulla libertà proposta dall’imputato è, infine, circoscritto ai “delitti commessi con violenza alla persona” e riguarda, pertanto, tutti i delitti maturati nell’ambito di un pregresso rapporto tra vittima e aggressore ovvero per i quali sussistono concrete possibilità di intimidazione o di ritorsioni, circostanze che permettono di individuare un fondamento razionale alla norma, tale da giustificare la compressione dei diritti processuali dell’indagato sottoposto a limitazione della libertà personale, sulla scorta del criterio interpretativo costituito dai principi espressi dalla direttiva 2012/29/UE, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

Con la conseguenza per cui si deve escludere l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, prevista dall’art. 299, comma quarto bis, per l’ipotesi in cui il richiedente non provveda alla contestuale notifica dell’istanza di revoca o di modifica alla persona offesa, qualora quest’ultima sia vittima soltanto “occasionale” del reato (Sez. 5, 11279/2019).

L’imputato non può ritenersi dispensato dall’onere di notifica alla parte offesa stabilito dall’art. 299, comma 4-bis, in ragione del fatto che questa, seppur ritualmente citata per l’udienza preliminare, non sia comparsa e non si sia costituita parte civile, trattandosi di mero fatto processuale al quale non può ricondursi il significato di “abdicare” ad interloquire sulla cognizione della domanda cautelare, non essendo una tale conseguenza contemplata dall’ordinamento ed essendo principio generale che gli oneri processuali a delle parti devono avere una fonte legale, così come le conseguenze che al loro mancato esercizio vogliono ricondursi.

Propendere per la soluzione interpretativa del ricorrente significherebbe anche svuotare di contenuto la disposizione censurata, alla quale, invece, deve riconoscersi natura precettiva e di sistema, in quanto volta proprio a costituire un effettivo contraddittorio sulle specifiche ragioni sottese alla domanda cautelare ad opera di colui che risulta titolare di quel bene - interesse leso dalla condotta criminosa (Sez. 2, 38497/2018).

L’indagato ha l’obbligo di notificare l’istanza di revoca o sostituzione della misura alla persona offesa solo se questa abbia nominato un difensore o abbia eletto o dichiarato domicilio (Sez. 5, 36212/2018).

L’obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla PG, previsto a pena di inammissibilità dall’art. 299, comma 4-bis, si estende anche al caso in cui la richiesta abbia ad oggetto il mutamento delle modalità esecutive delle misure coercitive, e dunque anche il mutamento del luogo di detenzione domiciliare (Sez. 5, 18306/2016).

Richiesta e parere del PM

Non viola il principio della domanda cautelare il giudice che ritenga sussistente un “periculum libertatis” diverso o ulteriore rispetto a quello indicato dal PM.

A fortiori, poiché la ratio sottesa all’art. 299, è volta a garantire la permanente attualità delle condizioni legittimanti la misura coercitiva, l’appello concernente misure cautelari personali, implicando una valutazione globale della prognosi cautelare, attribuisce al giudice ad quem tutti i poteri ab origine rientranti nella competenza funzionale del primo giudice, ivi compreso quello di decidere, pur nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, del principio devolutivo, anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall’ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento l’art. 603, commi 2 e 3 (Sez. 6, 11825/2017).

In caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, sussiste, ai sensi dell’art. 276, il potere del giudice di attivarsi d’ufficio a seguito della segnalazione ad opera degli organi di polizia della trasgressione.

L’attivazione di tale procedura, che ha carattere sanzionatorio, prescinde infatti dalla situazione descritta dall’art. 299 comma 4, che attiene invece al caso di misure più gravi applicate dal giudice su richiesta del PM ove si verifichi un aggravamento delle esigenze cautelari. Il citato art. 299 comma 4, infatti, fa salvo quanto disposto dall’art. 276, stabilendo espressamente “fermo quanto previsto dall’art. 276”; e tale norma attribuisce al giudice che abbia emesso - su richiesta - una misura coercitiva, il potere di sostituire o cumulare d’ufficio la misura già disposta con altra più grave, senza che sia necessaria la richiesta o il parere del PM (Sez. 2, 45324/2017).

La nullità conseguente alla mancata partecipazione del PM al giudizio incidentale sulla libertà personale, quando non pregiudichi la sua iniziativa in materia, è motivo di nullità generale, ai sensi dell’art. 178, comma 1 lett. b), ma non insanabile ed assoluta agli effetti previsti dal successivo art. 179. Ne deriva che, a norma dell’art. 182, la parte che solleva l’eccezione di nullità ha l’onere di dedurne il suo concreto interesse, che non può consistere nella mera costituzione del contraddittorio sulla sua istanza (potendo il PM omettere di formulare il suo parere) (Sez. 5, 12620/2017).

Interrogatorio di garanzia

Il giudice nell’ipotesi di aggravamento delle misure cautelari personali a seguito della trasgressione alle prescrizioni imposte, non deve procedere all’interrogatorio di garanzia in alcuno dei casi contemplati dall’art. 276, commi 1 e 1-ter (SU, 4932/2009).

In tema di revoca o sostituzione di misure cautelari personali, non sussiste alcun obbligo per il giudice di assumere l’interrogatorio dell’indagato ai sensi dell’art. 299, comma 3-ter, a fronte di una richiesta di quest’ultimo che prospetti l’esistenza di elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, posto che permane in capo al giudice il potere di escludere motivatamente la sussistenza dei presupposti di applicazione della norma processuale (Sez. 2, 28974/2017).

La richiesta di essere audito da parte del sottoposto alla misura cautelare deve innanzitutto prospettare l’esistenza di elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati ed il giudice procedente è chiamato a vagliare comunque la sussistenza dei relativi presupposti; ciò all’evidente fine di impedire un abuso dello strumento processuale in questione e di contemperare l’esercizio dei diritti di difesa con le esigenze di economia processuale e di speditezza del procedimento (Sez. 3, 2252/2017).

Circostanze sopravvenute

In materia di misure cautelari personali, l’impossibilità di applicare la custodia in carcere laddove sia pronosticabile l’irrogazione di una pena non superiore a tre anni di reclusione, di cui all’art. 275, co. 2-bis, costituisce una regola di valutazione della proporzionalità della custodia in carcere di cui va tenuto conto, ai sensi dell’art. 299, co. 2, anche nella fase dinamica della misura cautelare, in particolare allorché sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore
al suddetto limite, evenienza che impone la sostituzione della custodia in carcere con altra misura meno afflittiva (Sez. 5, 4948/2021).

Il “fatto nuovo” rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione della misura coercitiva con altra meno grave, deve essere costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio del trattamento cautelare con riferimento al singolo indagato (od imputato), risultando all’uopo inconferenti sia il mero decorso del tempo dall’inizio dell’applicazione della misura che il “bilanciamento” con la valutazione (in melius) delle esigenze cautelari operata in relazione a coindagati o coimputati (Sez. 2, 30413/2018).

La disciplina prevista dall’art. 299 in materia di misure cautelari coercitive si richiama al principio “rebus sic stantibus”, in base al quale lo status libertatis del prevenuto deve necessariamente essere adeguato alle vicende fattuali e processuali che intervengono nel corso delle indagini e del procedimento.

Principio che opera sia a favore dell’indagato o dell’imputato, nel caso di venir meno dei gravi indizi di colpevolezza o di sopravvenuta mancanza o attenuazione delle esigenze cautelari, sia a suo danno, nell’ipotesi di modificazioni che evidenzino un aggravamento delle esigenze cautelari. In quest’ultimo caso, l’art. 299 comma 4, consente al giudice di sostituire, a richiesta del PM, la misura in esecuzione con altra più grave ovvero con modalità più gravose.

Ciò, evidentemente, a prescindere dal caso di violazione delle prescrizioni imposte con la misura in esecuzione, disciplinato dall’art. 276. Nei casi in considerazione, presupposto per l’emissione del provvedimento che sostituisce la misura cautelare o ne aggrava le modalità di esecuzione, ai sensi dell’art. 299 comma 4, è la sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravate le esigenze di cui all’art. 274, e costituite da elementi fattuali non presi in considerazione, perché non ancora verificatisi ovvero non accertati o esaminati nelle precedenti decisioni inerenti alla libertà del soggetto interessato.

In particolare, il giudice può liberamente apprezzare le circostanze indicate dall’art. 274, e dunque prendere in considerazione qualsiasi situazione in relazione alla quale egli reputi che si siano aggravate le esigenze cautelari rispetto al tempo dell’adozione della misura in esecuzione, talché si renda necessario intervenire con l’imposizione di altra misura, ovvero di più congrue modalità di esecuzione della misura in corso, che meglio garantisca il rispetto di quelle esigenze (Sez. 2, 36962/2018).

Soltanto la deduzione di fatti nuovi, anche se apprezzati congiuntamente a quelli in origine esaminati, dai quali risulti un mutamento “in melius” del quadro indiziario, possono condurre alla sostituzione o alla revoca della misura (Sez. 1, 82/2016).

Secondo costante giurisprudenza di legittimità, la preclusione del c.d. giudicato cautelare riguarda solo le questioni dedotte e decise, non già quelle che, pur deducibili, non sono state dedotte ovvero quelle che, pur essendo state dedotte dalla difesa, non sono state valutate dal giudicante (Sez. 1, 37178/2019).

In tema di sostituzione e revoca delle misure cautelari coercitive, il presupposto per l’aggravamento della misura non è la violazione delle prescrizioni, bensì la necessità di adeguare lo status libertatis alla eventuale sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravata l’esigenza cautelare di cui all’art. 274. (Sez. 1, 3285/2016).

L’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non possono essere desunte dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (Sez. 1, 82/2016).

Il tempo trascorso dalla commissione del reato deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma primo, lett. c), da parte del giudice che emette l’ordinanza di custodia cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dal successivo art. 299 ai fini della revoca o della sostituzione della misura (Sez. 2, 46368/2016).

In linea di principio, anche una intervenuta sentenza di condanna può essere considerata ai fini di un aggravamento di misura cautelare.

Infatti, l’art. 299, comma 4, costituente disposizione di riferimento per il caso di aggravamento delle esigenze cautelari non determinato dalla trasgressione delle prescrizioni imposte con altra misura, recita: «Fermo quanto previsto dall’art. 276, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un’altra più grave, ovvero ne dispone l’applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva».

Si tratta di una previsione che non tipizza le fonti da cui deve dipendere l’aggravamento dei pericula libertatis, e che pertanto ne rimette l’individuazione al giudice.

Di conseguenza, non può ritenersi inibito al giudice di far riferimento, a tal fine, alla pronuncia di una sentenza di condanna a pena elevata, quando tale circostanza, unitamente ad altri elementi, lascia ragionevolmente inferire che il destinatario si sottrarrà all’applicazione della pena all’esito del processo (Sez. 1, 30714/2018).

In tema di revoca delle misure cautelari, non può costituire “elemento nuovo” idoneo a superare il giudicato cautelare la sopravvenuta diversa e più favorevole valutazione operata nei confronti di un diverso soggetto coindagato dello stesso reato (Sez. 6, 39346/2017).

In tema di misure cautelari personali, costituisce elemento nuovo, valutabile dal giudice ai fini della revoca della misura, ai sensi dell’art. 299, comma 1, il passaggio in giudicato di una sentenza emessa nei confronti dei coimputati, giudicati separatamente, che abbia escluso una o più circostanze aggravanti ad effetto speciale, quando l’applicazione della medesima soluzione nel procedimento in corso determini una riduzione dei termini di custodia cautelare e la conseguente scadenza degli stessi” (Sez. 6, 26547/2015).

Accertamenti sulle condizioni di salute

La previsione di cui all'art. 299 comma 4-ter, in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell'indagato, attiene esclusivamente alla procedura della revoca o sostituzione della misura cautelare, disciplinata nell'art. 299 citato e, quindi, alla valutazione in sede di gravame attraverso il cosiddetto appello cautelare; essa, pertanto, non risulta applicabile al procedimento di riesame di una misura cautelare, disciplinato dall'art. 309, con il quale viene richiesto al Tribunale di rivalutare, nell'ambito dei termini perentori stabiliti dalla legge per la presentazione dell'istanza, per la trasmissione degli atti da parte dell'ufficio procedente, per la fissazione dell'udienza e per il deposito del provvedimento previsti a pena di perdita di efficacia della misura cautelare, la sussistenza dei presupposti giustificativi della privazione della libertà personale (Sez. 1, 13973/2021).

La valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata verificando, alla luce delle indicazioni del perito e del parere del medico penitenziario ai sensi dell’art. 299, comma 4-ter, la concreta situazione nella quale il detenuto si trova ristretto e la possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita. La valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita. Ne consegue che, da un lato, la permanenza nel sistema penitenziario può essere deliberata se il giudice accerta che esistano istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità, dall’altro, che tale accertamento deve rappresentare un “prius” rispetto alla decisione e non una mera modalità esecutiva della stessa rimessa all’autorità amministrativa (Sez. 5, 44127/2019).

Il giudice che non ritenga condivisibili le conclusioni del perito concernenti le condizioni di salute dell’imputato e la compatibilità delle stesse con lo stato di detenzione in carcere, è tenuto, mediante una specifica e compiuta motivazione, a dare conto delle ragioni della scelta operata e dei motivi per i quali ritenga di non fare proprie le valutazioni medico legali formulate dal perito (Sez. 2, 23120/2018).

La previsione di cui all’art. 299, comma 4-ter non impone automaticamente al giudice la nomina del perito se non sussista un apprezzabile fumus, e cioè se non risulti formulata una diagnosi di incompatibilità dello stato di salute con quello detentivo o comunque non si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere.

Ove il giudice non ritenga di accogliere, sulla base degli atti, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere basata sulla prospettazione di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie, è tenuto a disporre gli accertamenti medici del caso, nominando un perito secondo quanto disposto dall’art. 299, comma 4-ter, ben potendo delibare sull’ammissibilità della richiesta, onde attivare la procedura decisoria, ma solo al fine di verificare che sia stata prospettata una situazione di salute della specie prevista dall’art. 275, comma 4, senza la possibilità di alcuna valutazione di merito (Sez. 4, 13357/2018).

La previsione di cui all’art. 299 comma 4-quater in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell’indagato attiene esclusivamente alla procedura della revoca o sostituzione della misura cautelare disciplinata nell’art. 299 citato; essa, invece, non risulta estensibile in via analogica al procedimento di riesame di una misura cautelare disciplinato dall’art. 309 con il quale viene richiesto al Tribunale di rivalutare la misura, nell’ambito dei termini perentori stabiliti dalla legge previsti a pena di perdita di efficacia della misura (Sez.  2, 57291/2017).

Lo stato di restrizione domiciliare, che consente al ricorrente di vivere nella propria abitazione, non è assimilabile a quello di custodia in carcere: solo rispetto a quest’ultimo si pone la cogente e inderogabile necessità di verificare attentamente la compatibilità dello stato di salute con quel tipo di restrizione e se del caso quella di nominare un perito al fine di procedere ai doverosi accertamenti medici, mentre nel caso di arresti domiciliari può disporsi un accertamento in quanto il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti (secondo quanto in generale previsto dall’art. 299, comma 4-ter (Sez. 7, 7610/2017).

Modalità esecutive

L’ampliamento del luogo dell’obbligo di dimora non è altro che un provvedimento che rende meno gravose le modalità di applicazione della misura sulla base di una valutazione di compatibilità di tale ampliamento con la tutela delle esigenze cautelari (Sez. 5, 16117/2017).

Valutazioni spettanti al Tribunale in sede di appello

In sede di appello avverso la ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato, principi validi anche con riguardo all’aspetto della adeguatezza della misura in concreto applicata, in relazione al decorso del tempo ed alle vicende che incidono sul giudizio di proporzionalità della misura.

Per tale aspetto, inoltre, deve escludersi ogni automatismo fra il presofferto e la durata della pena inflitta o irroganda, ricorrendo ad un criterio aritmetico, poiché il giudice è comunque tenuto alla valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che avevano originariamente giustificato l’applicazione della misura, come chiarito dalle SU, 16085/2011 (Sez. 6, 38633/2018).

La ratio sottesa all’art. 299, volta a garantire la permanente attualità delle condizioni legittimanti la misura coercitiva, comporta l’attribuzione al giudice dell’appello cautelare del potere di decidere, pur nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, del principio devolutivo, anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall’ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento l’art. 603, commi 2 e 3.

Tale affermazione, di applicazione generalizzata in materia di acquisizione di elementi di prova sopravvenuti, ai fini del giudizio di gravità indiziaria, deve trovare applicazione anche per ciò che concerne il giudizio sulla sussistenza e gravità delle esigenze cautelari e attribuisce al giudice dell’appello avverso ordinanza de libertate il potere di decidere, nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, dell’ossequio al principio devolutivo, anche sulla scorta di elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall’ordinanza impugnata, a condizione che le produzioni dell’indagato siano relative agli stessi fatti oggetto di valutazione da parte del primo giudice della cautela (Sez. 6, 18869/2018).

Nozione di delitti commessi con violenza alla persona

In tema di revoca, sostituzione o modifica di misure cautelari, la partecipazione della persona offesa all'incidente cautelare e, dunque, il diritto a ricevere la notifica della richiesta del PM o dell'imputato previsto dall'art. 299, comma 3,  sussiste nei casi di delitti commessi con violenza alla persona che consentono di configurare un pericolo di recidiva "personale" per la vittima, in considerazione dell’esistenza di relazioni qualificate, preesistenti, anche di carattere affettivo con l'autore del reato. (In motivazione, la Suprema corte ha osservato come tale impostazione interpretativa, valorizzando correttamente il rapporto tra esigenze cautelari, pericolo di recidiva "personale" e specifica vittima del reato, limita la portata applicativa dell'art. 299, comma 2-bis: invero, proprio la necessità di bilanciare i diritti della vittima con quelli dell'accusato, ovvero di contemperare il diritto dell'indagato ad una rapida definizione dell'incidente cautelare con quello dell'offeso a fornire il proprio contributo in ordine alle decisioni sulla libertà, giustifichi la necessità di attribuire rilievo solo al rischio di "recidiva personale", essendo detto rischio specifico a giustificare l'allungamento dei tempi per la decisione sulla cautela) (Sez. 6, 9529/2021).