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Art. 308 - Termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare

1. Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare perdono efficacia quando dall’inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’articolo 303.

2. Le misure interdittive non possono avere durata superiore a dodici mesi e perdono efficacia quando è decorso il termine fissato dal giudice nell’ordinanza. In ogni caso, qualora siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione nei limiti temporali previsti dal primo periodo del presente comma.

2-bis.  Abrogato

3. L’estinzione delle misure non pregiudica l’esercizio dei poteri che la legge attribuisce al giudice penale o ad altre autorità nell’applicazione di pene accessorie o di altre misure interdittive.

Rassegna giurisprudenziale

Termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare (art. 308)

In tema di misure interdittive, la flessibilità della disciplina relativa al termine di durata prevista dall'art. 308, comma 2, come novellato dalla L. 47/2015, impone al giudice della cautela un onere di motivazione in merito al termine indicato nell'ordinanza, a maggior ragione là dove questo coincida con quello massimo legale (Sez. 3, 39652/2021).

Gli effetti delle misure diverse da quelle restrittive decorrono dal momento in cui l’ordinanza che le dispone è notificata all’interessato e non sono cumulabili, dovendo conseguentemente ritenersi pacifico che il termine iniziale di applicazione della singola misura, da cui eseguire il computo del termine massimo, è quello della sua esecuzione, indipendentemente dall’essere stata o meno tale misura preceduta da un’altra più grave (Sez. 6 44700/2015).

È principio consolidato, che trova fondamento in più pronunce del giudice di legittimità e che ha superato il vaglio di legittimità, quello secondo il quale nella materia cautelare si applica la regola tempus regit actum, con la conseguenza che la nuova norma trova applicazione dal momento della sua entrata in vigore anche in rapporto alle misure cautelari da adottare per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della novella legislativa (SU, 20/1991, SU, 44895/2014).

È stato, altresì, escluso, in sede sia di legittimità che costituzionale, che detta interpretazione del principio tempus regit actum nella materia processuale si ponga in contrasto con il principio di retroattività della legge penale più favorevole previsto dall’art. 7 CEDU, in quanto è stata la stessa Corte EDU a fissare con chiarezza i limiti al suo ambito di applicazione, desumendoli dalla stessa norma convenzionale: il principio di retroattività della lex mitior concerne le sole «disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono» (Corte EDU, 27/04/2010, Morabito c. Italia).

Pertanto, del tutto legittimamente le misure interdittive emesse prima dell’entrata in vigore della L. 47/2015 sono regolate dalla disciplina introdotta da quest’ultima (Sez. 6, 51378/2016).

L’omessa indicazione del termine nell’ordinanza applicativa della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio comporta che la durata sia quella massima prevista dall’art. 308, comma 2, come modificato dall’art. 10, comma 1, L. 47/2015 (Sez. 6, 51057/2015).

La novella del 2015, nel prevedere rispetto alla normativa previgente un “modello” flessibile» di durata della misura interdittiva – per un periodo oggetto di valutazione discrezionale del giudice, non superiore nel massimo a dodici mesi – impone al giudice della cautela uno specifico onere motivazionale in punto di durata della medesima (Sez. 5, 1325/2016).