x

x

Art. 303 - Termini di durata massima della custodia cautelare

1. La custodia cautelare perde efficacia quando:

a) dall’inizio della sua esecuzione sono decorsi i seguenti termini senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o l’ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato ai sensi dell’articolo 438, ovvero senza che sia stata pronunciata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti:

1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni, salvo quanto previsto dal numero 3);

3) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni;

b) dall’emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado:

1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dal numero 1);

3) un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;

3-bis) qualora si proceda per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), i termini di cui ai numeri 1), 2) e 3) sono aumentati fino a sei mesi. Tale termine è imputato a quello della fase precedente ove non completamente utilizzato, ovvero ai termini di cui alla lettera d) per la parte eventualmente residua. In quest’ultimo caso i termini di cui alla lettera d) sono proporzionalmente ridotti; b-bis) dall’emissione dell’ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna ai sensi dell’articolo 442:

1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto nel numero 1;

3) nove mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;

c) dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello:

1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni;

2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni;

3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni;

d) dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, salve le ipotesi di cui alla lettera b), numero 3-bis). Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4.

2. Nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del procedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento.

3. Nel caso di evasione dell’imputato sottoposto a custodia cautelare, i termini previsti dal comma 1 decorrono di nuovo, relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento, dal momento in cui venga ripristinata la custodia cautelare.

4. La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall’articolo 305, non può superare i seguenti termini:

a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a);

c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge

 stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni.

Rassegna giurisprudenziale

Termini massimi della custodia cautelare (art. 303)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 303 comma 2 nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6 i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito (Corte costituzionale, sentenza 299/2005).

 

Differenziazione da altri istituti

L’istituto della proroga, disciplinato dall’art. 305 e quello del cosiddetto “congelamento” dei termini massimi di custodia cautelare, disciplinato dall’art. 297, sono ben distinti e non sovrapponibili all’istituto della sospensione dei termini di durata massima disciplinato dall’art. 304, che prevede l’ordinanza, come comune forma del provvedimento giudiziale di adozione (Sez. 4, 27540/2018).

 

Incidenza delle circostanze aggravanti

Ai fini della determinazione della pena agli effetti dell’applicazione di una misura cautelare personale e segnatamente della individuazione dei corrispondenti termini di durata massima delle fasi processuali precedenti la sentenza di merito di primo grado, deve tenersi conto, nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, oltre che della pena stabilita dalla legge per la circostanza più grave, anche dell’ulteriore aumento complessivo di un terzo, ai sensi dell’art. 63, comma 4, per le ulteriori omologhe aggravanti meno gravi.

Il criterio di calcolo di cui all’art. 63, comma 4 non opera nella diversa ipotesi di concorso di più aggravanti ad effetto speciale per le quali l’incremento sanzionatorio sia autonomamente indicato ex lege, trovando in tal caso applicazione il criterio cumulativo di calcolo a fini cautelari, previsto dall’art. 278, comma 1 (SU, 38518/2015).

Nell’ipotesi in cui il giudice di legittimità abbia disposto l’annullamento con rinvio limitatamente all’esclusione di una circostanza aggravante in grado di appello, deve ritenersi che si sia formato il giudicato sull’affermazione di responsabilità dell’imputato a prescindere dalle statuizioni del giudice in ordine al bilanciamento tra circostanze, sicché i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell’art. 303, comma 1, lett. d), seconda parte, quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari del quarto comma dello stesso articolo e non invece quelli di fase rapportati alla pena in concreto irrogata (Sez. 2, 23115/2018).

 

Casistica

In tema di custodia cautelare, la sentenza della Corte costituzionale 32/2014, dichiarativa dell’incostituzionalità degli articoli 4-bis e 4-vicies ter DL 272/2005, convertito, con modificazioni, dalla L.49/2006, concernente il trattamento sanzionatorio unificato per le droghe leggere e per le droghe pesanti, con la conseguente reviviscenza del trattamento sanzionatorio differenziato previsto dal DPR 309/1990 per i reati aventi ad oggetto le droghe leggere e per quelli concernenti le droghe pesanti, non comporta la rideterminazione retroattiva, ‘ora per allora’ dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, ormai esaurite prima della pubblicazione della sentenza stessa, attesa l’autonomia di ciascuna fase (SU, 44895/2014).

È inammissibile, per difetto di attualità dell’interesse all’impugnazione, il ricorso per cassazione del PM avverso l’ordinanza del TDR che abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto l’incidenza della contestazione cautelare della circostanza sui termini di durata massima della custodia cautelare costituisce oggetto di situazioni future (Sez. 6, 3326/2014).

In senso contrario: è certamente sussistente in capo all’organo requirente un interesse concreto ed attuale di vedersi riconosciuta l’aggravante ad effetto speciale. In tale direzione milita la maggiore durata dei termini massimi di custodia cautelare ex art. 303 che, contrariamente a quanto sostenuto dal difforme indirizzo  pur basato su solidi argomenti , non involge un dato meramente cronologico, ma attiene alla struttura complessiva dell’ordinanza cautelare che, proprio in ragione della maggiore durata, presenta una difforme caratterizzazione sotto plurimi profili; uno fra tutti l’impossibilità, in caso di consolidamento della imputazione per come differentemente valutata dal tribunale della cautela, di poter, alla scadenza, proporre utile ricorso  in tal caso sì  carente dei requisiti di concreto ed attuale interesse che, in assenza di precedente impugnazione sul punto, sarebbe destinato certa inammissibilità (Sez. 6, 33473/2018).

In presenza di una specifica disciplina (art. 303) che prevede, a pena di inefficacia delle misure coercitive, termini di durata massima della custodia cautelare, appare evidente l’irrilevanza del mero tempo trascorso in custodia cautelare (nel rispetto dei predetti termini) ai fini del venir meno o dell’affievolimento delle esigenze cautelari in origine ritenute (Sez. 2, 10808/2015).

Le cause di sospensione dei termini di cui all’art. 304 operano non solo per i termini intermedi e di fase, ma anche per il termine di durata complessiva della misura, previsto dal comma 4 dell’art. 303, fermo restando il limite assoluto di cui al comma 6 del seguente art. 304 (limite pari al termine complessivo, aumentato della metà, o, se più favorevole, corrispondente ai due terzi del massimo della pena prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza) (Sez. 1, 17454/2018).

 

Impugnazione delle ordinanze in materia di inefficacia della misura per decorrenza dei termini massimi

Nel procedimento di riesame non è deducibile la questione relativa all’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza, tali termini fossero già scaduti, trattandosi altrimenti di vizio che non intacca l’intrinseca legittimità dell’ordinanza, ma agisce sul piano dell’efficacia della misura cautelare.

La questione del diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini, da calcolarsi al momento dell’esecuzione del primo titolo custodiale, deve altrimenti essere proposta al GIP con istanza ex art. 306 e, successivamente, in caso di provvedimento reiettivo, al tribunale in sede di appello ex art. 310 (Sez. 2, 23381).

Contro l’ordinanza con cui il giudice procedente dichiara la perdita di efficacia della misura cautelare per il decorso dei termini di fase di cui all’art. 303, comma 1, lett. c, il PG può ricorrere soltanto ex art. 310 (Sez. 6, 22542/2018).

Nell’ipotesi in cui la restrizione dello “status libertatis” debba protrarsi per altro reato più grave, l’imputato non ha interesse ad ottenere un provvedimento di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di fase della custodia cautelare in ordine al reato meno grave, salvo che prospetti l’esistenza di un interesse concreto ed attuale all’adozione di tale pronuncia (Sez. 6, 9923/2014).