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Art. 225 - Nomina del consulente tecnico

1. Disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti.

2. Le parti private, nei casi e alle condizioni previste dalla legge sul patrocinio statale dei non abbienti, hanno diritto di farsi assistere da un consulente tecnico a spese dello Stato.

3. Non può essere nominato consulente tecnico chi si trova nelle condizioni indicate nell’articolo 222 comma 1 lettere a), b), c), d).

Rassegna giurisprudenziale

Nomina del consulente tecnico (art. 225)

Non sussiste alcuna incompatibilità per l’ausiliario, nominato dalla PG nella prima fase delle indagini, ad assumere la veste di consulente tecnico del PM, in quanto le preclusioni previste dall’art. 225, comma 3 trovano applicazione soltanto per il perito d’ufficio (Sez. 3, 38642/2017).

La violazione del principio del contraddittorio e quella conseguente del diritto di difesa derivata dall’indebita limitazione del diritto dell’imputato a controesaminare in maniera piena ed appropriata il consulente tecnico del PM – ammesso dal giudice in qualità di testimone ‘puro’, come tale impossibilitato ad esprimere valutazioni tecniche e ciò nonostante autorizzato a compulsare documenti e note scritte di carattere tecnico – non dà luogo a inutilizzabilità ai sensi dello art. 191 poiché l’acquisizione della prova non viola alcun divieto, ma integra nullità di carattere relativo ai sensi dell’art. 181 (Sez. 6, 52903/2016).

In tema di istruzione dibattimentale, il giudice può legittimamente desumere elementi di prova dall’esame del consulente tecnico di cui le parti abbiano chiesto ed ottenuto l’ammissione, (o, naturalmente, di quello di cui il giudice ritiene necessario l’escussione ex art. 507) stante l’assimilazione della sua posizione a quella del testimone, senza necessità di dover disporre apposita perizia se, con adeguata e logica motivazione, dimostri che essa non è indispensabile per essere gli elementi forniti dall’ausiliario privi di incertezze, scientificamente corretti e basati su argomentazioni logiche e convincenti. Il principio di cui sopra vale, ovviamente, anche per un tecnico ausiliario della PG o per un consulente del PM.

A tal proposito si deve sottolineare che non sussiste alcuna incompatibilità per l’ausiliario, nominato dalla PG nella prima fase delle indagini, ad assumere la veste di consulente tecnico del PM, in quanto le preclusioni previste dall’art. 225, comma 3 trovano applicazione soltanto per il perito d’ufficio (nella specie si trattava di psicologo nominato ausiliario di PG per assumere le dichiarazioni di un minore abusato, successivamente nominato consulente tecnico del PM.

Inoltre, l’ausiliario del giudice o del PM si identifica con l’ausiliario in senso tecnico, ossia con l’appartenente al personale di cancelleria e segreteria e non già con un estraneo all’amministrazione della giustizia che si trovi a svolgere di fatto, ed occasionalmente determinate funzioni previste dalla legge. Pertanto non riveste la qualità di ausiliario il consulente tecnico del PM, per il quale non può valere la condizione di incompatibilità a testimoniare prevista dall’art. 197, comma 1 (Sez. 2, 30265/2016).

Lo svolgimento dell’attività del consulente tecnico, che viene sentito dal giudice nella formulazione dei quesiti al perito, e l’interlocuzione dello stesso con il giudice ed il perito per formulazione di richieste, osservazioni e riserve (artt. 226, comma 2, e 230) sia pure nei limiti del generale rispetto del compimento delle attività processuali (art. 230, comma 4) e dell’esigenza di celerità segnata dal peculiare procedimento (art. 299, comma 4-ter), si collocano quindi tra le garanzie a tutela del contraddittorio nel procedimento di nomina del perito quando questo intervenga all’interno del procedimento cautelare incidentale, indicato.

L’indicata interlocuzione deve infatti restare salva all’interno del procedimento cautelare di cui all’art. 299, comma 4-ter, anche per la fase di appello, la cui disciplina, pure contratta nei tempi, non deve spingersi a sacrificare l’effettivo esercizio del contraddittorio, pena l’integrazione di una ipotesi di nullità generale per violazione del diritto di difesa (art. 178, comma 1, lett. c) (Sez. 6, 19404/2016).

A norma dell’art. 228 comma 3, qualora ai fini dello svolgimento dell’incarico, il perito richieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale. Pur facendo la norma in questione riferimento al perito, è pacifico che essa debba valere anche nei confronti del consulente per identità di ratio legis.

Il consulente, così come il perito, ha la facoltà di chiedere notizie alla persona offesa, tanto più quando questa sia l’oggetto degli accertamenti tecnici. In tal modo il consulente tecnico viene a svolgere non solo una funzione critica e scientifica, ma anche un’attività di percezione e ricezione di notizie (c.d. potere istruttorie del perito). Orbene l’art. 228 comma 3 consente l’utilizzazione degli elementi acquisiti nell’ambito della funzione percettiva e recettiva solo ai fini dell’esercizio della funzione critico - scientifica (solo ai fini dell’accertamento peritale, dice la norma).

I risultati istruttori acquisiti dal perito, insomma, possono essere utilizzati solo dal medesimo per rispondere ai quesiti, e non dal giudice per l’accertamento della verità processuale.

Sicché, più specificamente, le dichiarazioni rese da minori vittime di reati sessuali al consulente tecnico del PM sono utilizzabili solo ai fini delle conclusioni dell’incarico di consulenza – volta a verificare la credibilità dei testi in vista dell’esame protetto –, ma non possono essere utilizzate dal giudice quali dichiarazioni testimoniali ai fini della ricostruzione del fatto, giusto il divieto di cui all’art. 228 comma 3 e il disposto degli artt. 392 comma 1-bis e art. 398 comma 5-bis (Sez. 3, 5676/2014).