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Art. 576 - Impugnazione della parte civile e del querelante

1. La parte civile può proporre impugnazione, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. La parte civile può altresì proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell’articolo 442, quando ha consentito alla abbreviazione del rito.

2. Lo stesso diritto compete al querelante condannato a norma dell’articolo 542.

Rassegna giurisprudenziale

Impugnazione della parte civile e del querelante (art. 576)

È inammissibile, per difetto di interesse concreto, il ricorso per cassazione della parte civile diretto esclusivamente alla sostituzione della formula perché il fatto non sussiste con quella, corretta, perché il fatto non costituisce reato nella sentenza di assoluzione che non abbia compiuto un positivo accertamento circa l'insussistenza del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato, o la commissione del medesimo nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, e l'impugnazione sia proposta in funzione delle decisioni del giudice civile in materia di danno (Sez. 4, 29861/2022).

La parte civile è legittimata a proporre appello, ai soli effetti civili, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace, ferma restando la proponibilità del solo ricorso per Cassazione, anche ai fini penali qualora il procedimento sia stato instaurato a seguito di ricorso immediato al giudice (Sez. 4, 38404/2021).

È ammissibile l’impugnazione della parte civile nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, ove con la stessa si contesti l’erroneità dell’affermazione di avvenuta prescrizione (SU, 28911/2019).

L’interesse della parte civile a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 568 comma 4 deve essere apprezzabile non solo in termini di attualità ma anche di concretezza; esso deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione del contesto pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa rispetto a quella determinatasi con la pronuncia giudizialeD’altro canto, la concretezza dell’interesse è ravvisabile non solo quando l’impugnante, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti processuali diretti vantaggiosi, ma anche quando miri ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli ovvero ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli, come quelli che l’ordinamento fa derivare dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione dell’imputato nei giudizi di danno (artt. 651 e 652) o in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654). In altre parole, si palesano rilevanti, nei riguardi della parte civile ai fini dell’interesse ad agire, tutte le conseguenze configurabili, anche extrapenali, che possono comunque influire in modo a lei favorevole, nel giudizio di accertamento della responsabilità civile del prevenuto. In conclusione, l’impugnazione, per essere ammissibile, deve tendere all’eliminazione della lesione concreta di un diritto o di un interesse giuridico del proponente l’impugnazione (SU, 42/1996 e SU, 40049/2008, entrambe richiamate da Sez. 2, 19738/2018).

L’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione sussiste in quanto l’oggetto del giudizio è costituito dall’accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilità civile e dall’eliminazione degli effetti preclusivi del giudicato di insussistenza del fatto, con possibilità di condanna al risarcimento dei danni. Una volta deciso di perseguire i propri interessi in sede penale, invero, la persona offesa ha diritto ad opporsi, attraverso i rimedi impugnatori, ad una pronunzia diversa da quella cui avrebbe aspirato; e tanto anche ove la decisione non sia preclusiva all’azione civile ai sensi dell’art. 652 in quanto anche le limitazioni all’efficacia del giudicato non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione ad essa riconosciuto, in termini generali, nel processo penale dall’art. 576, imponendosi altrimenti alla stessa di rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale e a riavviare ab initio l’accertamento in sede civile, con conseguente dilatazione dei tempi processuali (Sez. 5, 37634/2020).

Sussiste l'interesse processuale della parte civile a impugnare anche nel caso in cui la decisione di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato, in quanto le limitazioni all'efficacia del giudicato, previste dall'art. 652, non incidono sull'estensione del diritto all'impugnazione, riconosciuto in termini generali alla parte civile dall'art. 576, dal momento che chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della controparte si giova di tale accertamento e, dunque, si trova in posizione migliore rispetto a chi, invece, deve cominciare il giudizio "ex novo" (Sez. 5, 18689/2021).

È ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione e preordinata a richiedere l’affermazione della responsabilità dell’imputato, quale presupposto logico-giuridico della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, anche qualora il riferimento agli effetti civili da conseguire non sia esplicito, in quanto l’atto va valutato, in applicazione del principio del favor impugnationis, nel suo complesso, senza che esso debba necessariamente contenere la specificazione della domanda restitutoria e/o risarcitoria (Sez. 5, 42411/2009). E, infatti, le Sezioni unite hanno condivisibilmente stabilito che l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti civili (SU, 6509/2013) (la riassunzione si deve a Sez. 4, 29154/2018).

In senso contrario: è ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, preordinata a chiedere l’affermazione della responsabilità dell’imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato in mancanza dell’impugnazione del PM, ma semplicemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. L’impugnazione della parte civile deve, in tal caso, fare riferimento specifico, a pena di inammissibilità, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire e non limitarsi alla richiesta concernente l’affermazione della responsabilità dell’imputato, che esulando dalle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile renderebbe inammissibile l’impugnazione (Sez. 4, 15258/2018).

Con la costituzione di parte civile la persona offesa ha manifestato la sua volontà di collegare l’azione risarcitoria all’accertamento del fatto in sede penale, assorbendo lo statuto processuale previsto dal codice di procedura penale che, all’art. 576 prevede un generale diritto di impugnazione della parte civile svincolato dall’esercizio dell’omologo potere del PMTale diritto non patisce alcuna limitazione in relazione alla formula di assoluzione, dato che la scelta di esercitare i propri diritti in sede penale implica che la parte abbia diritto di percorrere l’intero percorso processuale, nulla rilevando le limitazioni all’efficacia del giudicato previste dall’art. 652 che non incidono sulla estensione del diritto alla impugnazione, ma operano sul piano dell’efficacia del giudicato penale nel processo civile, chiarendo che la formula assolutoria fondata sulla rilevata carenza dell’elemento soggettivo non limita l’accertamento della responsabilità aquiliana, che è integrata anche dalla rilevazione di un atteggiamento soggettivo di mera colpa (Sez. 2, 41784/2018).

Sussiste la legittimazione della parte civile a proporre appello avverso i capi della sentenza di condanna concernenti l’azione civile, in quanto il testo novellato dell’art. 576 – ad opera dell’art. 6 L. 46/2006 – prevedendo una generica legittimazione della parte civile ad impugnare, non limita detto potere al solo ricorso per cassazione né esclude espressamente o per implicito l’appello, sicché può essere inteso nel senso che è consentita ogni forma di impugnazione ordinaria (Sez. 5, 21143/2018).

L’azione civile risarcitoria, esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha provocato danno, può essere accolta soltanto in presenza di una sentenza di condanna dell’imputato; ne deriva che ove nel giudizio di impugnazione il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione od amnistia, la decisione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili può essere assunta soltanto nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Sez. 6, 41601/2018).

Non è consentita alla parte civile l’impugnazione della sentenza di appello che, dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione del reato, intervenuta prima della pronuncia di primo grado, revochi i relativi effetti civili della sentenza di condanna (Sez. 4, 27393/2018).

Il risarcimento del danno non patrimoniale non consegue necessariamente a un fatto riconosciuto in concreto come reato dal giudice penale, ma genericamente a un fatto illecito, che, per avere caratteristiche di reato, presenta maggiore gravità e determina più elevata sanzione civile. Sotto tale profilo, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, che, peraltro, comporta anche la preliminare valutazione della sussistenza di cause di non punibilità per una pronuncia assolutoria piena ex art. 129, comporta che, qualora venga iniziata l’azione civile, il giudice di tale procedimento, mancando l’accertamento del fatto-reato da parte del giudice penale, ha il dovere, in tal caso, di accertare ai fini civili se il fatto dannoso abbia effettivamente tale carattereOve tale accertamento sia mancato, per errore del giudice che ha omesso la relativa pronuncia, nondimeno la parte civile conserva l’interesse a coltivare la domanda risarcitoria che, però, essendo venuta meno la possibilità di conoscerne da parte del giudice penale, deve essere rimessa al giudice civile (Sez. 6, 41601/2018).

L’art. 652 attribuisce efficacia di giudicato, nel giudizio civile o amministrativo promosso dal danneggiato per il risarcimento del danno, soltanto alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, negandola invece alla sentenza di assoluzione che non sia emessa all’esito del dibattimento. Di conseguenza, la parte civile, potendo far valere le sue ragioni nel processo civile o amministrativo senza incontrare preclusioni derivanti dal giudicato penale, non ha interesse a impugnare la sentenza assolutoria non emessa all’esito del dibattimento (Sez. 4, 39128/2018).

La parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell’azione civilistica. Difatti, in mancanza di gravame del PM della sentenza di proscioglimento per mancanza di querela, l’accertamento circa la sussistenza o meno dell’atto condizionante la procedibilità penale non influisce in alcun modo sulla posizione processuale del danneggiato, nell’esercizio dell’azione intesa ad affermare la responsabilità civile dell’autore dell’illecito e la sua obbligazione di risarcimento del danno procurato. La parte civile non ha alcun interesse a che la querela sia qualificata o meno come sussistente. In tal guisa, l’impugnazione della parte civile di una pronuncia penale meramente processuale si palesa priva di ogni idoneità ad apportare al proponente effetti di vantaggio o non pregiudizievoli di qualunque genere, non configurandosi alcuna utilità, ai fini dell’azione civilistica intentata, che, in modo concreto e attuale, immediato e diretto, risulti connessa all’accoglimento dell’impugnazione (SU, 35599/2012, richiamata da Sez. 2, 19738/2018).

La parte civile non è legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato. Ciò in quanto deve ritenersi che tutte le disposizioni contenute nell’art. 165 Cod. pen., concernenti il potere del giudice di subordinare la concessione del beneficio alla eliminazione di ogni forma di conseguenza dannosa o pericolosa del reato, non riguardino il danno civilistico patrimonialmente inteso, bensì il danno criminale, cioè quelle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, che strettamente ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata (Sez. 5, 33837/2018).

È inammissibile – per il principio di tassatività delle impugnazioni – il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso il capo della sentenza pronunciata all’esito del patteggiamento in cui è disposta l’applicazione della pena a richiesta delle parti, atteso che l’art. 576 limita il potere di impugnazione della parte civile ai capi delle sentenze di condanna che riguardano l’azione civile. Non sussiste infatti alcun rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale ex art. 444 e la posizione delle parti civili, i cui diritti conseguenti al fatto reato e connessi al risarcimento dei danni patrimoniali e morali sono pienamente tutelabili in sede civili (Sez. 2, 14991/2018).

Il giudice dell’impugnazione, adito ai sensi dell’art. 576, ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Se si convince che tale giudice ha sbagliato nell’assolvere l’imputato ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e (come indirettamente conferma il disposto di cui all’art. 622) condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l’accertamento incidentale equivale virtualmente - oggi per allora - alla condanna di cui all’art. 538 comma 1, che non venne pronunziata per errore. Tanto anche nel caso in cui sia sopravvenuta l’estinzione del reato per prescrizione, laddove se la prescrizione si fosse dovuta pronunziare in primo grado, in luogo della formula più liberatoria, allora, e solo in questo caso, il giudice dell’impugnazione, sebbene adito ai sensi dell’art. 576, non può provvedere agli effetti civili, per effetto dell’art. 538 comma 1 (SU, 25083/2006, richiamata da Sez. 2, 25936/2018).

Nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace, la parte civile può proporre impugnazione agli effetti penali avverso le sentenze di proscioglimento solo nei casi in cui la citazione a giudizio dell’imputato sia stata da essa chiesta quale persona offesa con ricorso immediato ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 274/2000 (Sez. 5, 39480/2018).

In forza dell’art. 576, applicabile nel procedimento penale davanti al giudice di pace, la parte civile è legittimata a proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace ai soli effetti civili (Sez. 5, 32650/2018).

La parte civile, ex art. 576, è legittimata a proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace ai soli effetti civili. Può anche proporre ricorso per saltum ex art. 569 comma 1 a condizione che non deduca i vizi motivazionali di cui all’art. 606 lett. d) ed e) (Sez. 2, 14958/2018).

In tema di reati di competenza del giudice di pace non sussiste l’interesse per la parte civile ad impugnare la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. 274/2000 (SU, 33864/2015).

Nel delitto di falsa testimonianza, essendo persona offesa solo lo Stato, il privato, pur se costituito parte civile, non è legittimato a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere (Sez. 6, 12412/2018).