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Art. 579 - Impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza

1. Contro le sentenze di condanna o di proscioglimento è data impugnazione anche per ciò che concerne le misure di sicurezza, se l’impugnazione è proposta per un altro capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili.

2. L’impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza è proposta a norma dell’articolo 680 comma 2.

3. L’impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca è proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali.

Rassegna giurisprudenziale

Impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579)

Il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame. Qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame (SU, 48126/2017).

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-sexies del DL 306/1992, qualora venga disposta, con la sentenza di condanna in primo grado, la confisca dei beni sequestrati all’imputato, questi può far valere il proprio diritto alla restituzione dei beni solo attraverso lo strumento dell’impugnazione della sentenza ex art. 579, comma 3, con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione cautelare eventualmente proposta (Sez. 1, 12769/2016).

In senso contrario: il principio affermato da Sez. 1, 12769/2016 è stato superato dalle Sezioni Unite (SU, 48126/2017) che, sebbene formalmente riguardante la posizione dei terzi estranei nei confronti di una vicenda cautelare reale, ha espresso principi generali di immediata applicazione alla fattispecie.

In particolare, i giudici di legittimità, dopo aver decisamente ribadito il divieto di ricorrere alla procedura dell’incidente di esecuzione in pendenza del giudizio di merito, hanno superato l’interpretazione che negava al Tribunale del riesame il potere di intervenire in costanza di giudizio di cognizione e di disporre il dissequestro in presenza di un provvedimento di confisca non definitivo.

Inoltre, in detta pronuncia, viene definito il rapporto tra misure cautelari reali e provvedimento non definitivo di confisca e riaffermati i poteri di ordine generale del TDR in materia cautelare reale.

Di particolare interesse è l’esplicito riconoscimento della radicale diversità delle ragioni giustificatrici del sequestro preventivo rispetto a quelle della confisca. In tal senso, viene riaffermata la bontà dell’orientamento giurisprudenziale (Sez. 3, 42362/2013) secondo cui, proprio il mancato passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca, rende la stessa come non irrevocabile, situazione che, a ragione della sua non definitività, lascia inalterato il titolo giuridico dell’ablazione, che continua ad essere rappresentato dall’originario provvedimento di sequestro: di tal che il bene, finché la sentenza non diviene irrevocabile, è indisponibile, non perché confiscato, ma perché sequestrato. proprio la natura incidentale del procedimento cautelare consente di ritenere che esso possa essere attivato anche nel corso del processo di cognizione.

Esso infatti non interferisce con il thema decidendum rimesso al giudice, ma incide su di un aspetto parentetico e che dunque non vincola e non rischia di contraddire la decisione definitiva del giudicante.

Prova di ciò è costituita, per quel che riguarda le misure cautelari personali, dal fatto che, anche in pendenza del processo di cognizione e persino dopo la pronunzia di sentenza di condanna (in primo o in secondo grado), l’imputato può chiedere che sia rivalutata la sua posizione in relazione allo status libertatis e, in caso di risposta (ritenuta) insoddisfacente, può ricorrere al tribunale del riesame.

Non si vede per qual motivo ciò non debba essere possibile per quel che riguarda le misure cautelari reali, con specifico riferimento al sequestro preventivo, posto che, da un lato, ricorre la eadem ratio; dall’altro non può essere di ostacolo il dettato dell’art. 586, commi 1 e 2, proprio per la natura incidentale della “questione cautelare”.

In conclusione: l’eventuale confisca non definitiva di un bene sottoposto a sequestro non incide in alcun modo sul potere di riesaminare il titolo custodiale rappresentato dal sequestro, in quanto il titolo legittimante la temporanea ablazione del bene rimane solo ed esclusivamente il provvedimento di sequestro e non la confisca non definitiva; l’organo legittimato a compiere detto controllo, in assenza di irrevocabilità della pronuncia di merito, è il TDR (l’excursus è contenuto in Sez. 2, 31813/2018).

Anche in tema di misure cautelari reali vale il principio che, una volta intervenuta la sentenza non definitiva di merito, il giudice della cautela non può discostarsi nella valutazione del fumus, ovverosia degli elementi prognostici che legittimano la misura nei confronti dell’imputato, da quanto oramai accertato nei suoi confronti in sede di cognizione.

La perfetta coincidenza, per l’imputato, dell’oggetto dell’impugnazione cautelare con quello dell’impugnazione di merito del provvedimento di confisca, costituito in entrambi i casi dalla contestazione della sussistenza nei suoi riguardi dei presupposti ai quali l’art. 12-sexies del DL 306/1992 subordina l’ablazione dei beni, in via di cautela preventiva in un caso e in via definitiva nell’altro, determina, dunque, l’assorbimento del primo rimedio nel secondo, con conseguente inammissibilità di un ricorso autonomo avverso il provvedimento cautelare (Sez. 5, 34492/2018).

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ove il sequestro venga disposto o eseguito su beni di terzi ma nella disponibilità dell’indagato, unico mezzo per il terzo per rivendicarne l’esclusiva titolarità o disponibilità è il giudizio di riesame o l’appello ex art. 322 bis, in quanto la disponibilità del bene non attiene alla mera esecuzione della misura ma costituisce presupposto di legittimità della stessa (Sez. 3, 16696/2018).

L’art. 579 prescrive l’attrazione della impugnazione delle statuizioni che concernono le misure di sicurezza nella impugnazione eventualmente proposta “per un altro capo della sentenza che non riguarda gli interessi civili”. Tale regola vale anche per l’ipotesi che il procedimento venga definito ai sensi dell’art. 444 – con ordine di confisca di quanto in sequestro, ai sensi del successivo art. 445 – dal momento che, anche in tal caso, è consentita l’impugnazione della sentenza, sebbene negli stretti limiti - noti al patteggiante, allorché ha assunto la decisione di definire il procedimento con rito speciale - segnati dall’art. 606.

Né è a dire che, così ricostruita, la disciplina delle impugnazioni si riveli illegittimamente compressiva delle facoltà difensive, in quanto anche con la sentenza di patteggiamento, il giudice che disponga la confisca facoltativa delle cose sequestrate deve motivare sulla circostanza che la libera disponibilità del bene possa costituire un incentivo alla reiterazione della condotta criminosa.

Parallelamente, dato il carattere strumentale del sequestro preventivo – che ha la funzione di cristallizzare la situazione fattuale fino alla pronuncia sulla regiudicanda – la sopravvenienza del provvedimento di confisca comporta che ogni questione relativa al diritto alla restituzione dei beni, da parte dell’imputato, debba essere fatta valere da quest’ultimo esclusivamente con lo strumento dell’impugnazione della sentenza.

Poiché, infatti, in casi siffatti il soggetto che intende far valere il diritto alla restituzione dei beni coincide con l’imputato, la pronuncia – nei confronti di quest’ultimo – del provvedimento ablativo che lo priva, a titolo definitivo, della proprietà dei beni colpiti dal sequestro, implica che in capo a lui non residui alcun potere di contestare in sede cautelare la sussistenza del presupposto che ha legittimato il sequestro, censurabile ormai soltanto mediante l’impugnazione della sentenza di merito che, disponendo la confisca, ha realizzato la funzione cautelare del sequestro.

Anche in tema di misure cautelari reali vale, in altri termini, il principio –    costantemente affermato in tema di misure cautelari personali – che, una volta intervenuta, nel corso del procedimento principale, la sentenza non definitiva di merito, il giudice della cautela non può discostarsi nella valutazione del fumus e del periculum in mora - ovverosia degli elementi prognostici che legittimano la misura nei confronti dell’imputato - da quanto oramai accertato nei suoi confronti in sede di cognizione.

Tale principio trova un preciso addentellato giuridico nella previsione dell’art. 323, comma 3, secondo cui, “se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate”; norma interpretata, dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che, quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna deve escludersi, non solo la possibilità di restituire i beni di cui è stata disposta la confisca, ma anche l’immediata esecutività dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo di cui non sia stata disposta la confisca, potendo quest’ultima intervenire nel successivo grado di giudizio di merito e, ricorrendo l’ipotesi di confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva (Sez. 5, 639/2018).

Una volta passata in cosa giudicata la sentenza di condanna che la confisca ha ordinato nei confronti del condannato, tale specifica questione non può essere rimessa in discussione da alcuno in sede esecutiva (art. 648).

Il terzo estraneo al reato per la cui commissione è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna che chieda al giudice dell’esecuzione penale la restituzione di cosa confiscata al condannato sulla deduzione dell’appartenenza alla sua persona della cosa stessa, non è dunque legittimato a rimettere in discussione la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 240, comma 1, per pronunciare la confisca.

Egli può solo dedurre avanti il giudice dell’esecuzione di avere diritto alla restituzione della cosa confiscata al condannato in quanto proprietario della cosa medesima ovvero titolare su di essa di diritto reale di godimento (Sez. 1, 7251/2018).

Ai sensi degli artt. 579 e 680, l’impugnazione per ciò che concerne le misure di sicurezza, diverse dalla confisca, si propone dinanzi alla corte di appello, se l’impugnazione è proposta anche per un altro capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili. Sussiste invece la competenza funzionale del tribunale di sorveglianza se l’impugnazione è proposta contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza.

In tal caso, l’art. 579 comma 2 prevede che l’impugnazione sia proposta a norma dell’articolo 680 comma 2. Deve però rilevarsi che l’art. 680 qualifica tale impugnazione quale appello.

Pertanto, l’impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza non può essere proposta dinanzi al tribunale di Sorveglianza allorché sia precluso l’appello, come nel caso in esame in cui, ai sensi dell’art. 443, il PM non può proporre appello contro le sentenze di condanna emesse all’esito del giudizio abbreviato, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato.

Il PM, pertanto, può proporre ricorso per cassazione avverso le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza (Sez. 3, 32173/2018).