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Art. 655 - Funzioni del pubblico ministero

1. Salvo che sia diversamente disposto, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell’articolo 665 cura di ufficio l’esecuzione dei provvedimenti.

2. Il pubblico ministero propone le sue richieste al giudice competente e interviene in tutti i procedimenti di esecuzione.

3. Quando occorre, il pubblico ministero può chiedere il compimento di singoli atti a un ufficio del pubblico ministero di altra sede.

4. Se per l’esecuzione di un provvedimento è necessaria l’autorizzazione, il pubblico ministero ne fa richiesta all’autorità competente; l’esecuzione è sospesa fino a quando l’autorizzazione non è concessa. Allo stesso modo si procede quando la necessità dell’autorizzazione è sorta nel corso dell’esecuzione.

5. I provvedimenti del pubblico ministero dei quali è prescritta nel presente titolo la notificazione al difensore, sono notificati, a pena di nullità, entro trenta giorni dalla loro emissione, al difensore nominato dall’interessato o, in mancanza, a quello designato dal pubblico ministero a norma dell’articolo 97, senza che ciò determini la sospensione o il ritardo dell’esecuzione.

Rassegna giurisprudenziale

Funzioni del pubblico ministero (art. 655)

Alla giurisdizione esecutiva sono riconosciuti «ampi margini di manovra», non circoscritti alla sola verifica della validità e dell’efficacia del titolo esecutivo, ma incidenti anche sul contenuto di esso, «allorquando imprescindibili esigenze di giustizia, venute in evidenza dopo l’irrevocabilità della sentenza, lo esigano»; e ha affermato che il procedimento di esecuzione è il mezzo con cui investire il giudice dell’esecuzione «di tutti quei vizi che, al di là delle specifiche previsioni espresse, non potrebbero farsi valere altrimenti, considerata l’esigenza di garantire la permanente conformità a legge del fenomeno esecutivo» (SU, 18821/2014).

Il principio di infungibilità della difesa nel procedimento di esecuzione, rispetto al difensore nominato in sede di cognizione, stabilito dall’art. 656, comma 5, opera – tanto nel caso di difesa di fiducia, quanto d’ufficio – soltanto laddove si tratti di eseguire pene detentive, dovendo altrimenti farsi applicazione del generale principio stabilito nell’art. 655, comma 5, giusta il quale, in tutti gli altri casi, in sede di procedimento di esecuzione viene nominato un nuovo difensore d’ufficio a chi sia privo di difensore di fiducia (Sez. 3, 11934/2017).

Sull’istanza avanzata dal soggetto in executivis deve essere preventivamente “sentito” il PM, organo titolare della potestà esecutiva e che campeggia nella fase relativa, risultandone il motore esecutivo (artt. 655 e ss.).

Non sarebbero ammissibili provvedimenti inaudita altera parte, neppure del giudice dell’esecuzione, poiché il contraddittorio è principio di sistema e strumento necessario e indefettibile d’attuazione della giurisdizione stessa, che concorre a concretizzare la stessa legalità del processo, da intendere come regolamentazione giuridica di esso, in funzione della limitazione e della esatta definizione delle potestà coercitive, per “garantire” i diritti di libertà del cittadino. Il contraddittorio, dunque, rileva come “metodo di conoscenza” e non come strumento d’attuazione di un giudizio potestativo.

È un meccanismo fondato sul confronto dialettico tra le parti, normativamente disciplinato e ritualizzato. Il tutto in funzione di un confronto che vede le parti stesse in posizione di parità perfetta e chi è chiamato a decidere in posizione di oggettiva terzietà.

È un modello, ancora, che attua la relazione processuale triadica, relazione diversa dalla cognitio di tipo cd. inquisitorio, contrariamente, legata a una concezione diadica di esercizio della iurisdictio (giudice/imputato o condannato).

Queste premesse fanno intendere come attraverso il contraddittorio si realizzi anche una forma di costante controllo delle parti sulle reciproche attività processuali.

È un controllo della difesa sull’accusa e viceversa ed è un controllo che si concretizza, anche al cospetto della speciale forma cartolare di confronto che prevede la norma in esame.

Ciò spiega perché risulterebbe riduttivo e contrario alla stessa ragione fondante del principio anzidetto ritenere che il contraddittorio “speciale” e di tipo cartolare oggetto d’esame sia una forma di “confronto” prevista nel solo interesse della parte pubblica, che diventerebbe, pertanto, unica titolata a dolersi, attraverso l’impugnazione, della relativa violazione.

La mancata acquisizione del parere del PM non è valutabile alla stregua di un adempimento finalizzato all’acquisizione di un elemento procedimentale che accede ab externo al procedimento, né di un dato di valenza puramente procedimentale.

Contrariamente essa acquisizione è strumento di attuazione del controllo e del confronto tra le parti ed è l’unico meccanismo attraverso il quale la controparte può conoscere la posizione dell’organo titolare della potestà esecutiva, sul tema dedotto in executivis, attraverso l’incidente proposto.

Ragionare diversamente significherebbe ammettere in sede di esecuzione un procedimento con tratti di specialità, caratterizzato da una relazione diadica (giudice/esecutando), priva del confronto con il contraddittore necessario, titolare della potestà esecutiva e che deve essere sentito, non solo in funzione dell’interesse che rappresenta, ma in ragione dell’interesse che ha l’esecutando stesso a conoscere la posizione della controparte sul tema dedotto.

La decisione, in difetto dell’acquisizione del parere del PM, ancora, realizzerebbe uno squilibrio di sistema in cui il decreto d’inammissibilità è assunto, senza conoscere l’orientamento di una delle parti, rischiando così di ascrivere alla decisione stessa un ruolo in certa misura surrogatorio della parte pretermessa.

Ciò detto si intende come la violazione del contraddittorio, sia pure cartolare nel rito ex art. 666 comma 2, non risulti strumentale al solo interesse astratto e di natura procedimentale del PM, ma sia funzionale e cooperi ad un corretto esercizio della stessa giurisdizione esecutiva.

Deriva da quanto detto che l’impugnazione e la deduzione della relativa nullità non compete alla sola parte pubblica, che non sia stata sentita, ma risultando essa nullità lesiva della regola anzidetta e del metodo di attuazione della giurisdizione esecutiva, essa nullità può essere dedotta anche dalla parte istante che ha precipuo e specifico interesse a sollevare la questione, per esserle stato inibito il confronto, sia pur cartolare, con il suo contraddittore e per non aver avuto la possibilità di conoscerne la posizione sul tema prospettato (Sez. 1, 42540/2018).

La disposizione di cui all’art. 655 comma 5 fissa la regola che il provvedimento del PM è notificato, oltre che al condannato, al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che ha assistito il condannato nella fase del giudizio.

È indubbio, per ciò, che, in assenza di apposita nomina di altro difensore ad opera dell’interessato, legittimato a ricevere la notifica sia in primo luogo, ove non vi sia stata revoca, il difensore di fiducia. La notifica al difensore che lo ha sostituito non può avere medesima valenza.

Ciò tanto nell’ipotesi in cui la sua costituzione sia avvenuta in sostituzione del difensore di fiducia assente e, dunque, quale difensore d’ufficio, sia nel caso in cui egli sia stato costituito quale delegato del dominus di fiducia ex art. 102.

D’altro canto, persistendo, comunque, il difensore di fiducia, costui avrebbe avuto, in ogni caso, diritto a ricevere la notifica, anche là dove avesse designato un sostituto processuale per l’udienza ex art. 102. I poteri del professionista delegato ex art. 102, infatti, si esauriscono in relazione all’oggetto del mandato e non valgono ad istituire in capo a costui una posizione equipollente a quella del dominus processuale, unico soggetto che, contrariamente, mantiene i diritti che la legge gli riconosce, in proprio, in ragione del mandato difensivo direttamente conferitogli dal cliente.

Ciò anche e soprattutto in funzione delle facoltà cui essi sono strumentali, come accade in materia di esecuzione delle pene detentive, là dove il singolo difensore titolato a ricevere in proprio la notifica (ex art 656 comma 5) ha diritto anche a proporre istanza ex art. 656 comma 6 al tribunale di sorveglianza.

Si tratta, infatti, di diritti che non si duplicano, né si trasferiscono in capo al sostituto processuale d’udienza e che resistono in capo al solo dominus (Sez. 1, 12905/2018).

Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione.

Ne consegue che: “Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionalità dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, DPR 309/1990, sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 4, Cod. pen., il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 666, comma 1, e in applicazione dell’art. 30, comma 4, L. 87/1953, potrà affermare la prevalenza della circostanza attenuante, sempreché una simile valutazione non sia stata esclusa nel merito dal giudice della cognizione, secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile.”

Per effetto della medesima sentenza della Corte costituzionale 251/2012, è compito del PM, ai sensi degli artt. 655, 656 e 666, di richiedere al giudice dell’esecuzione l’eventuale rideterminazione della pena inflitta all’esito del nuovo giudizio di comparazione” (SU, 42858/2014).

Per comprendere quali siano i poteri del giudice dell’esecuzione è utile ripercorrere alcuni passaggi della motivazione di SU, 42858/2014, laddove viene preso in esame il divieto normativo che inibiva al giudice la possibilità di trarre dalle sue autonome valutazioni il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, così come prevedeva l’art. 3 L.  251/2005, che modificò il comma 4 dell’art. 69 Cod. pen.: la norma, in tema di giudizio di bilanciamento di circostanze eterogenee, stabiliva il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti su quella prevista dall’art. 99, comma 4, Cod. pen.

In tale contesto, è stata giudicata illegittima l’esecuzione della pena, nella parte in cui deriva dall’applicazione dell’art. 69, comma 4, Cod. pen. come modificato dall’art. 3 della legge citata. Il compito di rimuovere tale illegittimità è stato attribuito al giudice dell’esecuzione, che deve procedere a quel giudizio di valenza che era stato illegittimamente inibito al giudice della cognizione dal divieto ritenuto costituzionalmente illegittimo.

Correlativamente, in situazioni siffatte, ai sensi degli artt. 655, 656 e 666, compete al PM, nell’ambito delle sue funzioni istituzionali di vigilanza sulla «osservanza delle leggi» e dello specifico compito di promozione dell’esecuzione penale «nei casi stabiliti dalla legge» (art. 73, comma 1 Ord. giud.) di richiedere al giudice dell’esecuzione, sia all’atto di promovimento dell’esecuzione sia nel corso di questa, l’eventuale rideterminazione della pena inflitta (Sez. 1, 31714/2018).

Quando la revoca di un beneficio (nella specie l’indulto) è prevista ex lege come obbligatoria ed automatica, il PM è legittimato a porre direttamente in esecuzione la pena coperta dalla misura di favore caducata, sempre che, nello stesso tempo, richieda al competente giudice dell’esecuzione di pronunciare, nelle forme previste, la declaratoria di cui all’art. 674 (Sez. 1, 55795/2017, cui aderisce Sez. 1, 16900/2018).

In senso contrario: spetta soltanto al giudice la decisione in ordine alla revoca dell’indulto in precedenza concesso, con conseguente illegittimità dell’ordine di carcerazione del PM che, in assenza di un formale provvedimento di revoca, abbia a computare nel cumulo la relativa pena, arresto riferito, peraltro, a caso in cui non si esplicita l’avvenuta coeva richiesta di emissione del provvedimento di cui all’art. 674 (Sez. 1, 8756/2011).

Compete non al giudice ma al PM, quale organo promotore dell’esecuzione ex art. 655, determinare le modalità attuative della demolizione e, qualora sorga una controversia concernente non solo il titolo, ma anche le modalità esecutive, va instaurato dallo stesso PM, dall’interessato o dal difensore procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione (Sez. 3, 40763/2013, richiamata da Sez. 3, 47016/2018).

Ai sensi dell’art. 655, l’organo promotore dell’esecuzione è il PM, il quale, ove il condannato non ottemperi all’ingiunzione a demolire, è tenuto ad investire, per la fissazione delle modalità di esecuzione, il giudice dell’esecuzione, la cui cancelleria è preposta, inoltre, al recupero delle spese del procedimento esecutivo ai sensi dell’art. 181 Att. (SU, 15/1997).

L’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell’art. 31 DPR 380/2001 è soggetto all’esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa. L’attuazione della procedura esecutiva spetta, dunque, al PM ed al giudice dell’esecuzione senza alcun vincolo diverso da quelli imposti dalla legge (Sez. 3, 28781/2018).

In materia di reati edilizi, l’ingiunzione a demolire, conseguente all’ordine di demolizione disposto dal giudice con la sentenza di condanna ex art. 31, comma 9, DPR 380/2001, non deve essere notificata dal PM al difensore, ma esclusivamente al condannato, essendo preordinata a consentirgli lo spontaneo adempimento dell’obbligo senza ulteriori aggravi di spese a suo carico (Sez. 3, 254/2015).

I provvedimenti coi quali il presidente del tribunale o il giudice dell’esecuzione decidono sulla richiesta di nulla osta al rilascio di passaporto o altro documento valido per l’espatrio, avanzata da soggetto nei cui confronti sia eseguibile una pronuncia di condanna, sono da considerare abnormi, in quanto l’art. 3, lett. d), L. 1805/1967 attribuisce tale competenza alla “autorità giudiziaria che deve curare l’esecuzione della sentenza”, e cioè, in base agli artt. 655, 656 e 660, al PM presso il giudice competente per l’esecuzione, ferma restando la facoltà dell’interessato di sollecitare, attraverso l’incidente di esecuzione, il controllo giurisdizionale sulla relativa decisione (Sez. 1, 11427/2004).

In senso contrario: in materia di nulla osta al rilascio di passaporto o altro documento valido per l’espatrio è applicabile per analogia l’art. 676, comma 1, che prevede e disciplina, come è noto, le “altre competenze” del giudice dell’esecuzione, diverse da quelle specificamente indicate negli articoli precedenti (Sez. 1, 5455/1997, cui ha aderito Sez. 1, 32951/2018).