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Art. 656 - Esecuzione delle pene detentive

1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell’ordine è consegnata all’interessato.

2. Se il condannato è già detenuto, l’ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all’interessato.

3. L’ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant’altro valga a identificarla, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all’esecuzione. L’ordine è notificato al difensore del condannato.

4. L’ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall’articolo 277.

4-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.

4-ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4-bis, trasmette senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata.

4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza.

5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione. L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico. L’avviso informa altresì che, ove non sia presentata l’istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l’esecuzione della pena avrà corso immediato.

6. L’istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato dal pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero. Se l’istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d’ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all’assunzione di prove a norma dell’articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell’istanza.

7. La sospensione dell’esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l’istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione. Il pubblico ministero provvede analogamente quando l’istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all’articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto. A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l’istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti.

8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all’esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica.

9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:

a)  nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, 624-bis del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;

b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva.

c) (abrogato).

10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza.

Rassegna giurisprudenziale

Esecuzione delle pene detentive (art. 656)

Pronunce di incostituzionalità

È costituzionalmente illegittimo l’art. 656 comma 9 lettera a) nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo (Corte costituzionale, sentenza 125/2016).

È costituzionalmente illegittimo l’art. 656 comma 9 lettera a) nella parte in cui stabilisce non consente la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi indicati (Corte costituzionale, sentenza 90/2017).

È costituzionalmente illegittimo l’art. 656, comma 5 nella parte in cui si prevede che il PM sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni (Corte costituzionale, sentenza 41/2018).

 

Ordine di carcerazione

L’art. 656 prevede che, “quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il Pubblico Ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione”. La norma si riferisce, all’evidenza, alle condanne per cui deve essere espiata una pena, e non già alle condanne a pena interamente espiata, anche se in custodia cautelareÈ, pertanto, senza fondamento normativo la tesi secondo cui perché una pena possa dirsi legittimamente espiata, o da espiarsi, non è sufficiente che la sentenza sia divenuta irrevocabile, occorre che venga emesso l’ordine di carcerazione, perché le pene interamente espiate in custodia cautelare hanno il loro titolo di legittimazione nell’ordine del giudice e non hanno bisogno di un provvedimento dell’organo esecutivo (Sez. 5, 47536/2018).

 

Sospensione dell’esecuzione

L'art. 656 co. 9  effettua un rinvio formale ai delitti di cui all'art. 4 bis legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario al fine di determinare per quali di essi non è possibile la sospensione dell'esecuzione in forza del quinto comma della stessa norma: di conseguenza, la sottoposizione del condannato, a favore del quale sia stata riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 609 bis ultimo c.p., all'osservazione collegiale della durata di un anno ai fini della concessione di misure alternative alla detenzione è, in verità, questione demandata alla magistratura di sorveglianza ma non rileva per il provvedimento di esecuzione della pena da parte del pubblico ministero che deve limitarsi a verificare che la condanna sia stata pronunciata per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis o.p. (Precisa la Corte in sentenza che il pubblico ministero non ha l'onere di verificare la concedibilità o meno delle misure, ma, al contrario, è tenuto, senza alcuna discrezionalità, a sospendere o meno l'esecuzione della pena contestualmente all'emissione dell'ordine sulla base di un elenco di reati indicati dal legislatore come non legittimanti la sospensione) (Sez. 1, 32506/2021).

La sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, e tale è la sentenza 41/2018 della Consulta, ha efficacia erga omnes – con l’effetto che il giudice ha l’obbligo di non applicare la norma illegittima dal giorno successivo a quello in cui la decisione è pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica – e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell’annullamento, nel senso che essa incide anche sulle situazioni pregresse verificatesi nel corso del giudizio in cui è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, spiegando, così, effetti non soltanto per il futuro, ma anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre, però, che non si tratti di situazioni giuridiche “esaurite”, e cioè non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall’operatività della decadenza, dalla preclusione processuale (Sez. 1, 34427/2018).

La sospensione dell’ordine di esecuzione della pena è una misura funzionale a impedire l’ingresso in carcere dei soggetti che possono aspirare a una misura alternativa alla detenzione, sulla base di un’opzione di politica criminale non rilevante nei confronti dei condannati che si trovano già ristretti in carcere, ancorché per un titolo diverso da quello da eseguire (nello specifico giudizio, la Corte ha potuto ricordare che la ratio della misura sospensiva prevista è evidentemente volta a impedire l’ingresso in carcere dei condannati che possono legittimamente aspirare a uno dei regimi alternativi alla detenzione; aspirazione che, viceversa, deve ritenersi insussistente nei confronti dei soggetti che, al momento dell’ordine di esecuzione, non si trovano in stato di libertà, essendo già ristretti in carcere per un altro titolo esecutivo; né potrebbe essere diversamente, atteso che la possibilità di disporre la sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656 co. 5 nei confronti di un soggetto già ristretto non tiene conto dell’impossibilità materiale di applicare un beneficio penitenziario extracarcerario fino a quando il soggetto permane in stato di detenzione per un altro titolo esecutivo; impossibilità che discende – ulteriormente – dalla difficoltà di eseguire gli accertamenti prescritti dall’ordinamento penitenziario e funzionali alla verifica della sussistenza delle condizioni necessarie per l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione nei confronti di un condannato detenuto) (Sez. 1, 32729/2020).

L’abolitio criminis del comma 2 dell’art. 572 c.p. è solo apparente perché il provvedimento legislativo che ha eliminato formalmente tale comma ha introdotto la previsione dell’art. 61 co. 1 n. 11-quinquies c.p. stabilendo una continuità normativa tra le due disposizioni, pertanto, il reato previsto dall’art. 572 co. 2 c.p. costituisce causa ostativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione, nonostante l’abrogazione di detta norma, attesa la natura “mobile” del rinvio contenuto nell’art. 656 co. 9 c.p.p. all’art. 572 co. 2 c.p.p. e la continuità normativa tra l’ipotesi formalmente abrogata e l’analoga previsione di cui agli artt. 572 co. 1 e 61 co. 1 n. 11 quinquies c.p. (Sez. 1, 32727/2020).

In riferimento alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 656 comma 5 (Corte costituzionale, sentenza 41/2018) il giudice dell’esecuzione, lì dove il condannato, da detenuto in espiazione per reati non ostativi, formuli domanda di sospensione temporanea dell’ordine di esecuzione (relativo a pena superiore a tre anni ed inferiore a quattro anni) ha il dovere di valutare la domanda e di provvedere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, al ripristino della facoltà di proposizione - da libero - della domanda di misura alternativa, con temporanea sospensione della esecuzione, salva l’ipotesi di avvenuta decisione da parte del tribunale di sorveglianza di una analoga domanda proposta dopo l’inizio della esecuzione cui la richiesta si riferisce (Sez. 1, 34428/2018).

La sola pendenza di un ricorso individuale innanzi alla Corte EDU per asserita violazione dei principi in tema di giusto processo non legittima il giudice dell’esecuzione a disporre la sospensione dell’esecuzione della pena, perché tale possibilità è subordinata all’accoglimento del ricorso in sede sovranazionale ed alla successiva attivazione, da parte del condannato, della procedura di revisione introdotta a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale 113/2011 (Sez. 1, 41307/2015, richiamata adesivamente da Sez. 1, 16900/2018).

La richiesta di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 656, comma 6, deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto (SU, 18775/2010).

La sospensione dell’esecuzione della pena finalizzata, secondo il meccanismo delineato dall’art. 656, comma 5 alla presentazione di una richiesta di misura alternativa da parte dell’interessato, non può essere disposta nei casi in cui vi sia stata condanna per uno dei reati previsti dall’art. 4-bis Ord. pen., secondo quanto stabilito dalla disciplina derogatoria posta dal comma 9 del medesimo articolo 656; e ciò anche quando il condannato, tossicodipendente, intenda portare avanti un programma terapeutico-riabilitativoFa eccezione a tale regime giuridico, il caso, previsto dall’ultimo periodo della lett. a) del comma 9 dell’art. 656, in cui il condannato, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, si trovi sottoposto alla misura degli arresti domiciliari applicati ai sensi dell’art. 89 DPR 309/1990, ovvero “in una struttura residenziale”, sempre che l’imputato sia persona tossicodipendente o alcool dipendente, la quale abbia in corso un programma terapeutico di recupero e ove l’interruzione del programma possa pregiudicarne il recupero (Sez. 1, 47084/2018).

Ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. a), la sospensione obbligatoria dell’esecuzione della pena non opera nei confronti di un soggetto condannato per reati previsti dall’art. 4-bis Ord. pen., in relazione al quale ricorre una ipotesi di presunzione di pericolosità sociale che può essere superata mediante la richiesta di ammissione ai benefici penitenziari fondata sulla dimostrazione della sussistenza di elementi che escludono la suddetta pericolosità: la cui valutazione, peraltro, è rimessa esclusivamente al tribunale di sorveglianza e non al PMPer altro verso, il divieto di sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi di cui si tratta è applicabile anche nel caso in cui il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna (Sez. 7, 42382/2018).

La tardiva sospensione dell’esecuzione della pena legittimamente disposta non determina l’ingiustizia della detenzione sofferta fino all’adozione del provvedimento di sospensione e pertanto non costituisce titolo per la domanda di riparazione (Sez. 4, 7091/2009).

Con riguardo al rapporto tra il giudicato e la dichiarazione di incostituzionalità della norma, il giudice dell’esecuzione deve tener conto delle componenti, attinenti il trattamento sanzionatorio, già riconosciute in sede di cognizione, anche ove frutto, nell’an, di una valutazione discrezionale, come è il caso delle attenuanti generiche e del giudizio di bilanciamento tra circostanze, mentre, con riferimento al quantum di pena, anche nei diversi passaggi della determinazione del trattamento sanzionatorio - individuazione della pena base, applicazione delle circostanze, aumento per la continuazione, eventuale riduzione ai sensi dell’art. 444 ovvero 442 - il giudice dell’esecuzione è vincolato quanto al risultato finale, che deve pervenire ad una pena più mite, operando con discrezionalità ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p. (Sez. 1, 3744/2021).

Ai fini dell’esecutività di una condanna a pena detentiva, il PM è tenuto ad emettere immediatamente ordine di carcerazione e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto altresì a determinare la pena complessiva. Ne consegue che, anche nel caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l’obbligo di provvedere al cumulo, con l’ulteriore conseguenza che, unificata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 come modificato dalla L. 165/1998, non può essere più disposta (Sez. 1, 25483/2017).

La disciplina dettata dall’art. 656, comma 10 (secondo cui, sussistendo le condizioni indicate nel precedente comma 5, qualora il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza per l’eventuale concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare), non può trovare applicazione nel caso in cui la pena da eseguire sia cumulata con altre; e ciò senza che in contrario possa invocarsi il principio della scindibilità del cumulo ogni qual volta possa da ciò derivare un vantaggio per il condannato, atteso che la sospensione dell’ordine di carcerazione, ai sensi della disposizione normativa sopra citata, è funzionalmente preordinata al possibile conseguimento di una misura alternativa alla detenzione, e una tale misura non può operare su una soltanto delle pene concorrenti, ma esclusivamente sulla pena unica determinata sulla base di tutti i titoli contemporaneamente esecutivi nei confronti del medesimo soggetto (Sez. 1, 440/2000, richiamata adesivamente da Sez. 1, 37343/2018).

È ammissibile la scissione del cumulo per pene concorrenti, ove esso sia in grado di realizzare l’effetto vantaggioso della sospensione dell’ordine di esecuzione, ad esempio, per imputazione dell’indulto alla pena irrogata con condanna per reato che a detta sospensione sia di ostacolo (Sez. 1, 22663/2012). 

La regola per la quale le pene della stessa specie, concorrenti a norma dell’art. 73 Cod. pen., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico, non può in nessun caso condurre a ingiustificate differenziazioni di trattamento a seconda dell’eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un cumulo materiale ai sensi dell’art. 663 anziché di distinte esecuzioni, dipendenti dai titoli che scaturiscono da separate condanne. Diversamente, chi è stato condannato per diversi reati, ostativi e non ostativi ai benefici penitenziari, verrebbe a subire, anche in relazione alle condanne per i reati non ostativi, un trattamento equivalente a coloro i quali sono stati condannati solo per reati ostativi ed un regime penitenziario deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne, sia per delitti ostativi, che per reati non ostativi, ha separatamente scontato ciascuna delle pene inflitte con sentenze divenute irrevocabili e poste in esecuzione più tempestivamente. Come segnalato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza 361/1994, che ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis Ord. pen. nella parte in cui rendeva la condanna per alcuno dei delitti ivi enumerati ostativa alla concessione di misura alternativa, “non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall’art. 4-bis abbia creato una sorta di status di “detenuto pericoloso” che permei di sè l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna”; al contrario, proprio l’articolazione della disciplina sulle misure alternative “in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna giurisprudenziale “della necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene”. Pur non tradotti in disposizioni normative esplicite, tali principi di origine interpretativa si sono affermati anche in riferimento al cumulo giuridico. La disciplina del concorso formale di reati o del reato continuato persegue la finalità di mitigare l’effetto del cumulo materiale delle pene, cui viene sostituito il cumulo giuridico in coerenza col rilievo che l’ordinamento assegna al carattere personale della responsabilità penale ed al conseguente adattamento alla realtà individuale del reo, grazie alla decisione giudiziale, anche della pena che ne discenda (SU, 1/1997; SU, 14/1999). La giurisprudenza di legittimità ha dunque evidenziato che all’unificazione dei reati deve procedersi qualora vi sia una disposizione apposita in tal senso, ovvero la considerazione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo secondo i principi ispiratori dell’istituto del reato continuato. Sulla scorta dei medesimi principi si è stabilito che il cumulo viene mantenuto e non si scioglie se dallo stesso derivino per il condannato degli effetti più vantaggiosi (SU, 7930/1995, Corte costituzionale, sentenze 108/1973 e 154/1976) e che, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti in esecuzione, è legittimo lo scioglimento del cumulo quando occorre procedere al giudizio sull’ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario, il quale trovi ostacolo nella presenza nel cumulo di uno o più titoli di reato inclusi nel novero dei delitti elencati nell’art. 4-bis Ord. pen., al fine di accertare se il condannato abbia o meno terminato di espiare la parte di pena relativa ai delitti cosiddetti ostativi (Sez. 1, 18172/2016).

Spetta alla magistratura di sorveglianza, e non al giudice dell’esecuzione, la competenza in ordine alle valutazioni funzionali alla concessione dei benefici penitenziari, come nelle ipotesi in cui debba provvedersi alla scissione di un cumulo di sanzioni penali tra le quali ne sia compresa taluna riferibile ad un reato ostativo alla fruizione di essi (Sez. 1, 52182/2016).

A norma dell’art. 656, comma 6, l’istanza di concessione delle misure alternative alla detenzione deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 dello stesso articolo al PM che ha emesso l’ordine di esecuzione, “il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del PMQualora dopo la presentazione da parte del condannato dell’istanza di accesso ad una misura alternativa alla detenzione, sopraggiungano altre istanze volte ad incidere sulla medesima misura o comunque siano ad essa connesse o collegate, rimane ferma, in virtù del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza radicatasi con riferimento alla situazione esistente al momento della prima richiesta di misura alternativa (Sez. 1, 44978/2018).

Avverso il diniego di sospensione dell’ordine di carcerazione, deciso dal PM e di cui si lamenti l’illegittimità, è possibile proporre incidente di esecuzione innanzi al giudice indicato dall’art. 665, secondo il procedimento dettato dal successivo art. 666La competenza, intestata dalla legge al tribunale di sorveglianza, attiene esclusivamente alla concessione, in favore del condannato, delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario. Il tribunale di sorveglianza provvede su istanza del condannato medesimo, libero o detenuto, ovvero anche d’ufficio nei casi previsti dall’art. 656, comma 10, ossia rispetto al condannato che, trovandosi agli arresti domiciliari all’atto dell’esecutività del titolo di condanna, permane in tale condizione sino alla decisione di tale organo giudiziario. Anche in quest’ultima ipotesi, tuttavia, le determinazioni a ciò funzionali (ossia la sospensione dell’ordine di carcerazione, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza) rientrano nella responsabilità del PM dell’esecuzione, che opera sotto il controllo del giudice omonimo; mentre al magistrato di sorveglianza spetta adottare ogni altro provvedimento incidente sullo stato detentivo domiciliare (Sez. 1, 35218/2018).

Non esiste un termine minimo per l’emanazione dell’ordine di esecuzione della pena, essendo onere della difesa premunirsi, in vista del passaggio in giudicato di una sentenza di condanna, al fine di rappresentare tempestivamente all’ufficio del PM eventuali condizioni (nella specie lo stato di tossicodipendenza del condannato) per la sospensione dell’esecuzione della pena, con conseguente piena legittimità, in assenza di istanze di sospensione della esecuzione della pena, dell’ordine eseguito (Sez. 1, 48299/2018).

Per il differimento della pena detentiva è necessario che la patologia da cui è affetto il condannato sia tale da porlo in pericolo la vita o da provocare conseguenze dannose rilevanti, esigendo un trattamento terapeutico che - anche tenuto conto della pericolosità sociale del detenuto valutata comparativamente - non si possa attuare nello stato di detenzione (Sez. 1, 49987/2018).

 

Difensore

Il principio di infungibilità della difesa nel procedimento di esecuzione, rispetto al difensore nominato in sede di cognizione, stabilito dall’art. 656, comma 5, opera  tanto nel caso di difesa di fiducia, quanto d’ufficio  soltanto laddove si tratti di eseguire pene detentive, dovendo altrimenti farsi applicazione del generale principio stabilito nell’art. 655, comma 5, giusta il quale, in tutti gli altri casi, in sede di procedimento di esecuzione viene nominato un nuovo difensore d’ufficio a chi sia privo di difensore di fiducia (Sez. 3, 11934/2017).

La disposizione di cui all’art. 655 comma 5 fissa la regola che il provvedimento del PM è notificato, oltre che al condannato, al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che ha assistito il condannato nella fase del giudizio.

È indubbio, per ciò, che, in assenza di apposita nomina di altro difensore ad opera dell’interessato, legittimato a ricevere la notifica sia in primo luogo, ove non vi sia stata revoca, il difensore di fiducia. La notifica al difensore che lo ha sostituito non può avere medesima valenza.

Ciò tanto nell’ipotesi in cui la sua costituzione sia avvenuta in sostituzione del difensore di fiducia assente e, dunque, quale difensore d’ufficio, sia nel caso in cui egli sia stato costituito quale delegato del dominus di fiducia ex art. 102.

D’altro canto, persistendo, comunque, il difensore di fiducia, costui avrebbe avuto, in ogni caso, diritto a ricevere la notifica, anche là dove avesse designato un sostituto processuale per l’udienza ex art. 102.

I poteri del professionista delegato ex art. 102, infatti, si esauriscono in relazione all’oggetto del mandato e non valgono ad istituire in capo a costui una posizione equipollente a quella del dominus processuale, unico soggetto che, contrariamente, mantiene i diritti che la legge gli riconosce, in proprio, in ragione del mandato difensivo direttamente conferitogli dal cliente.

Ciò anche e soprattutto in funzione delle facoltà cui essi sono strumentali, come accade in materia di esecuzione delle pene detentive, là dove il singolo difensore titolato a ricevere in proprio la notifica (ex art 656 comma 5) ha diritto anche a proporre istanza ex art. 656 comma 6 al tribunale di sorveglianza. Si tratta, infatti, di diritti che non si duplicano, né si trasferiscono in capo al sostituto processuale d’udienza e che resistono in capo al solo dominus (Sez. 1, 12905/2018).