Art. 657 - Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo
1. Il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso. Allo stesso modo procede in caso di applicazione provvisoria di una misura di sicurezza detentiva, se questa non è stata applicata definitivamente.
2. Il pubblico ministero computa altresì il periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso, quando la relativa condanna è stata revocata, quando per il reato è stata concessa amnistia o quando è stato concesso indulto, nei limiti dello stesso.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, il condannato può chiedere al pubblico ministero che i periodi di custodia cautelare e di pena detentiva espiata, operato il ragguaglio, siano computati per la determinazione della pena pecuniaria o della sanzione sostitutiva da eseguire; nei casi previsti dal comma 2, può altresì chiedere che le sanzioni sostitutive espiate siano computate nelle sanzioni sostitutive da eseguire per altro reato.
4. In ogni caso sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire.
5. Il pubblico ministero provvede con decreto, che deve essere notificato al condannato e al suo difensore.
Rassegna giurisprudenziale
Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo (art. 657)
Contro il decreto del PM emesso ai sensi dell’art. 657 non è contemplato il ricorso per cassazione (Sez. 1, 11350/2018).
L’art. 657 impone il computo della custodia cautelare sofferta e delle pene espiate senza titolo entro determinati limiti e l’operazione prevista può coinvolgere anche pene diverse da quelle oggetto dell’ordine di esecuzione solo nei casi da tale norma previsti (Sez. 1, 57644/2017).
Ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, dovendosi escludere l’esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato (pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all’atto della richiesta di riparazione), tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove invece la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 Cod. civ. (SU, 31416/2008, richiamata da Sez. 4, 46479/2018).
Secondo l’interpretazione offerta dalle Sezioni unite (SU, 31416/2008), nell’ipotesi in cui la custodia cautelare ingiustamente sofferta venga computata a titolo di fungibilità sulla pena da espiare per altro reato ai sensi dell’art. 657, la ratio dell’art. 314 comma 4 deve essere interpretata nel senso che va considerato irretrattabile il beneficio della fungibilità, con conseguente inapplicabilità del diverso beneficio di cui all’art. 314.
Ed invero, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il criterio della fungibilità previsto dall’art. 657 improntato al favor libertatis configura, in combinato disposto con il comma 4 dell’art. 314, una riparazione in forma specifica per l’ingiusta privazione della libertà personale che prevale rispetto alla monetizzazione di cui al medesimo art. 314, introducendo una forma di compensazione per il periodo di detenzione ingiustamente subito, secondo un meccanismo che è compatibile con l’art. 5 CEDU, il quale opera solo in caso di violazione delle prescrizioni da esso poste e i paragrafi 1, 2, 3, 4 e che non può essere oggetto di disapplicazione per contrasto con l’art. 6 della Carta di Nizza, in assenza di collegamento tra la materia in oggetto e il diritto dell’Unione Europea (Sez. 3, 43453/2014).
L’art. 657, in tema di esecuzione, disciplina il computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo ed in particolare sancisce che “il pubblico ministero nel determinare la pena da eseguire computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per un altro reato”; quest’ultimo dettato non lascia adito a dubbi: il PM, preso atto di un periodo di privazione della libertà a titolo di custodia cautelare deve operare la detrazione, unico limite essendo rappresentato dalla circostanza che la misura sia stata subita dopo la commissione del reato per il quale va determinata la pena da eseguire (Sez. 4, 46472/2018).
In ipotesi di reato permanente, data la sua struttura unitaria, non è possibile operare una scomposizione in una pluralità di reati, anteriori e posteriori alla esecuzione dello stato detentivo rivelatosi senza titolo, e, di conseguenza, non può computarsi la pena espiata senza titolo al reato permanente che si protragga anche oltre tale carcerazione (fattispecie relativa a delitto di associazione di tipo mafioso) (Sez. 1, 40329/2013).
In tema di esecuzione di pene concorrenti inflitte con condanne diverse, se il condannato commette un nuovo reato durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, occorre procedere a cumuli parziali – e quindi al cumulo della pena inflitta per il reato cui si riferisce la pena parzialmente espiata – con applicazione del criterio moderatore previsto dall’art. 78 Cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto, operando successivi, nuovi cumuli, comprensivi della pena residua da espiare e delle pene inflitte per i reati successivamente commessi, fino all’esaurimento di queste ultime, previa detrazione, per ciascuna condanna, della pena già espiata in custodia cautelare o della pena di cui è cessata l’esecuzione (Sez. 5, 50135/2015).
Il riconoscimento della continuazione in fase esecutiva non è d’impedimento alla formazione di cumuli frazionati ove debba farsi applicazione della regola d’ordine generale di cui all’articolo 657, comma 4, in forza della quale non possono essere imputati alla espiazione di pena per un reato periodi di detenzione antecedenti alla commissione del medesimo.
Si è infatti stabilito che il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza formatasi possa essere automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657, comma 4, per cui, a tal fine, vanno computati solo periodi di custodia cautelare sofferta e di pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono (Sez. 1, 6072/18).
È affetto da vizio di motivazione, e va pertanto annullato con rinvio, il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, omettendo l’acquisizione di copia delle relative decisioni di condanna, dichiari la mancanza del nesso di continuazione tra i reati che ne hanno costituito oggetto (Sez.1, 12776/2019).
Quando si è in presenza di reati commessi in tempi diversi e di periodi di carcerazione parimenti sofferti in tempi diversi, non è possibile includere tutte le pene in un cumulo indiscriminato e globale, al quale venga unitariamente detratta la carcerazione presofferta, in quanto verrebbero altrimenti ad essere imputati periodi di carcerazione anteriormente sofferti ai reati commessi successivamente, in violazione del disposto di cui all’art. 657, comma 4, il quale consente la fungibilità solo a condizione che il reato giudicato separatamente sia stato commesso anteriormente alla detenzione eventualmente sofferta ingiustamente (Sez. 1, 9277/2006).
La ratio di tale limitazione, costantemente riaffermata, è quella di non consentire ad alcuno di fruire di crediti di pena che possano agevolare la commissione di fatti criminosi nella consapevolezza dell’assenza di conseguenze sanzionatorie (Sez. 1, 12937/2016).
L’interesse concreto e attuale del condannato alla rideterminazione della pena inflitta con sentenza irrevocabile sulla base di parametri edittali più favorevoli vigenti a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale riguardante il trattamento sanzionatorio, sussiste non solo se la pena non sia stata ancora interamente espiata, ma anche quando una quota della pena espiata in eccesso rispetto alla sopravvenuta cornice edittale più favorevole, possa essere imputata alla condanna per altro reato, ai sensi dell’art. 657, comma 3, sempre che la detenzione in eccesso sia sofferta dopo la commissione del reato per cui si chiede la fungibilità (Sez. 6, 27403/2016).
Occorre, cioè, che in concreto ricorrano le condizioni di fungibilità e che il reato cui imputare, attraverso l’anzidetto criterio di cui all’art. 657, il periodo di detenzione in eccesso non sia stato commesso in epoca successiva alla espiazione della pena indicata. Diversamente si verserebbe nell’ipotesi ostativa testuale contemplata dal comma 4 dell’art. 657.
Ciò vale vieppiù nei casi in cui l’istituto della fungibilità delle pene espiate senza titolo sia richiamato per imputare la detenzione a reati permanenti, nell’ipotesi in cui la permanenza stessa sia cessata dopo l’espiazione senza titolo (Sez. 1, 6072/2018) (la riassunzione si deve a Sez. 1, 39878/2018).
La disposizione di cui all’articolo 657, comma 4 detta un criterio di computo del cd. pre-sofferto per orientare gli organi dell’esecuzione nella determinazione della pena detentiva da eseguire. Essa pertanto non può essere elevata a disposizione capace di integrare la disciplina di istituti, come la continuazione criminosa, di chiara e indiscussa natura sostanziale, seppure possano essere oggetto di valutazione anche in sede esecutiva.
L’applicazione della continuazione con reato già giudicato, e per il quale la pena sia stata interamente espiata prima che l’altro reato sia stato commesso, non interferisce in ogni caso, pur quando il reato da giudicare sia quello più grave, con la regola del computo del cd. pre-sofferto, perché, quando è applicata la continuazione tra reati commessi e giudicati in tempi diversi e per uno dei quali vi è stata esecuzione di pena o custodia cautelare, quest’ultima, nel giudizio di fungibilità, è valutata con riferimento al reato per il quale è stata applicata, in modo autonomo rispetto al trattamento determinato dalla continuazione (Sez. 1, 28252/2018).
Il principio sancito dall’art. 657 comma 4, per il quale sono computate soltanto la custodia cautelare o le pene sine titulo espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire, trova applicazione anche nel caso in cui il cd. credito di pena si sia formato a seguito del riconoscimento in fase esecutiva della continuazione fra taluni reati, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale (Sez. 1, 1680/2000).
Il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657 comma 4, secondo cui a tal fine vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate sine titulo, dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono (Sez. 1, 25186/2009).
Ai fini della fungibilità prevista dall’art. 657, comma 2, l’espiazione deve ritenersi avvenuta (sempre che sia stata effettiva) indipendentemente dalle modalità con le quali essa ha avuto luogo e, quindi, anche nel caso in cui vi sia stato affidamento in prova al servizio sociale (Sez. 1, 23353/2015).
La pena da espiare, derivante da nuovo titolo esecutivo, va cumulata con la parte di pena relativa al precedente titolo eseguita dopo la commissione del nuovo reato (ovvero che restava da espiare alla data di commissione del nuovo reato), dovendosi i presupposti del concorso di pene determinare con riguardo alla data di commissione dei reati ed alla loro anteriorità rispetto ai vari periodi di carcerazione, a nulla rilevando che talune delle pene concorrenti siano state eseguite in anticipo rispetto ad altre; da ciò consegue l’illegittimità dell’esclusione del cumulo di pene già espiate ma relative a reati commessi anteriormente all’inizio dell’esecuzione penale in corso, non potendo la posizione del condannato essere influenzata da eventi casuali, come le diverse date di irrevocabilità o di esecuzione delle varie sentenze (Sez. 1, 47942/2016).
Il principio dell’unità del rapporto esecutivo, che mira ad evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dalla distinta esecuzione delle sanzioni penali irrogate per una pluralità di reati, è riferibile alle pene comminate per reati commessi prima dell’inizio della detenzione, mentre si deve procedere ad ulteriore cumulo, non più sottoposto alle limitazioni previste dall’art. 78 Cod. pen., comprendente, oltre alla pena inflitta per il nuovo reato, la parte risultante dal cumulo precedente, non ancora espiata alla data del nuovo reato solo qualora durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato. (Sez. 1, 32896/2014).
Se il condannato commette un nuovo reato durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, occorre procedere a cumuli parziali – e quindi al cumulo della pena inflitta per il reato cui si riferisce la pena parzialmente espiata – con applicazione del criterio moderatore previsto dall’art. 78 Cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto, operando successivi, nuovi cumuli, comprensivi della pena residua da espiare e delle pene inflitte per i reati successivamente commessi, fino all’esaurimento di queste ultime, previa detrazione, per ciascuna condanna, della pena già espiata in custodia cautelare o della pena di cui è cessata l’esecuzione; può procedersi, invece, al calcolo unitario delle pene concorrenti se dette pene si riferiscono a reati commessi in epoca antecedente all’inizio della esecuzione di una di esse (Sez. 5, 50135/2015).
La fungibilità fra pena e misura di sicurezza detentiva di cui all’art. 657 opera soltanto nel caso in cui quest’ultima sia stata provvisoriamente applicata per la stessa causa, determinando una ininterrotta privazione della libertà personale dell’imputato, riferibile in parte a custodia cautelare e in parte ad applicazione provvisoria di misura di sicurezza, con la conseguenza che tale criterio non opera quando venga applicata definitivamente la misura di sicurezza poiché l’intero periodo di privazione della libertà personale non può essere computato al contempo come internamento per misura di sicurezza detentiva e come espiazione della pena inflitta (fattispecie nella quale è stata esclusa la fungibilità tra l’esecuzione della pena detentiva e la misura di sicurezza della casa di lavoro, applicata all’imputato a seguito di autonomo procedimento di sorveglianza, nel quale era stato dichiarato delinquente abituale (Sez. 1, 38336/2014).
È di tutta evidenza come, ai fini della revoca dell’indulto, rilevi la pena detentiva di cui alla sentenza di condanna, sulla quale fa leva il disposto normativo appena riportato (“per il quale riporti condanna...”).
E non, invece, come da rilievo difensivo, quella calcolata ai sensi dell’art. 657, al netto del periodo di custodia cautelare subita, in base al c.d. principio di fungibilità.
Principio, quest’ultimo, che impone al PM altresì di computare, nel determinare la pena detentiva da eseguire, quella espiata per un reato diverso, quando la relativa condanna è stata revocata, quando per il reato è stata concessa amnistia o quando è stato concesso indulto, e che comunque non è pertinente al caso in esame, riguardando unicamente il computo della pena detentiva da eseguire e non l’individuazione di quella oggetto di condanna, la sola rilevante, per quanto detto, ai fini della revoca dell’indulto (Sez. 1, 28284/2018).