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Art. 75 - Rapporti tra azione civile e azione penale

1. L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile.

2. L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile.

3. Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.

Rassegna giurisprudenziale

Rapporti tra azione civile e azione penale (art. 75)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 75 comma 3 nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi contenuta non trovi applicazione nel caso di accertato impedimento fisico permanente che non permetta all’imputato di comparire personalmente all’udienza ove questi non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza (Corte costituzionale, sentenza 354/1996).

Nell’ordinamento processuale vigente, l’unico mezzo preventivo di coordinamento tra il processo civile e quello penale è costituito dall’art. 75, il quale esaurisce ogni possibile ipotesi di sospensione del giudizio civile per pregiudizialità, ponendosi come eccezione al principio generale di autonomia, al quale s’ispirano i rapporti tra i due processi, con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e di quello penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell’obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti.

La sospensione necessaria del giudizio civile è pertanto limitata all’ipotesi in cui l’azione in sede civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, prevedendosi, nel caso inverso, la facoltà di trasferire l’azione civile nel processo penale, il cui esercizio comporta la rinuncia ex lege agli atti del giudizio civile, ovvero la prosecuzione separata dei due giudizi (Sez. 6 civile, 26863/2016).

Deve escludersi che il danneggiato dal reato che abbia esercitato l’azione risarcitoria nel processo civile sia legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale per far valere ulteriori profili di danno derivanti dalla stessa causa, qualora sia intervenuta la pronuncia di una sentenza di merito, anche non passata in giudicato, nella sede civile (Sez. 4, 24376/2018).

L’effetto preclusivo sancito dall’art. 75 comma 1, in base al quale il trasferimento dell’azione civile nel processo penale comporta l’automatica rinuncia agli atti del giudizio civile che, di conseguenza, deve essere dichiarato estinto, opera nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza di merito, anche non definitiva, nel giudizio civile; e allorché tra l’azione promossa in sede civile e quella esercitata con la costituzione di parte civile nel processo penale sussista identità di soggetti e di causa petendi (Sez. 2, 43420/2016).

L’abolitio criminis preclude alla Corte di Cassazione l’esame agli effetti civili in relazione al predetto reato, qualora sia intervenuta condanna al risarcimento del danno nei gradi di merito, mentre non priva la parte civile della facoltà di impugnazione ex art. 576 (Sez. 5, 32792/2016).

La sentenza 12/2016 della Corte costituzionale ha delineato la fisionomia generale della disciplina dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale, disciplina informata al «principio della separazione e dell’autonomia dei giudizi»: «il danneggiato può scegliere se esperire l’azione civile in sede penale o attivare la tutela giurisdizionale nella sede naturale.

In questa seconda ipotesi, peraltro, egli non subisce alcuna limitazione di ordine temporale: diversamente che sotto l’impero del codice del 1930, l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto non comporta, di regola, la sospensione del processo civile, nell’ambito del quale l’eventuale giudicato penale di assoluzione non ha efficacia (art. 652). Il giudizio civile di danno prosegue, dunque, autonomamente malgrado la contemporanea pendenza del processo penale (art. 75, comma 2): la sospensione rappresenta l’eccezione, che opera nei limitati casi previsti dall’art. 75, comma 3».

In questa prospettiva, l’art. 538, comma 1, collega «in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell’imputato», con l’unica eccezione - «fortemente circoscritta» - stabilita dall’art. 578 riguardante il giudizio di impugnazione. Il collegamento istituito dall’art. 538 tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato riflette il carattere accessorio e subordinato dell’azione civile proposta nel processo penale rispetto agli obiettivi propri dell’azione penale: obiettivi che si focalizzano nell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato (Sez. 5, 31643/2016).