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Art. 74 - Legittimazione all’azione civile

1. L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile.

Rassegna giurisprudenziale

Legittimazione all’azione civile (art. 74)

Secondo le regole generali attinenti all’esercizio dell’azione civile, è sufficiente, ai fini della sussistenza della legittimazione ad agire (e dunque anche della costituzione di parte civile, trattandosi dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale), la prospettazione della titolarità di una posizione soggettiva (assoluta o relativa) lesa dall’altrui condotta illecita, costituente reato, dunque l’affermazione della idoneità di tale condotta alla produzione di un danno, patrimoniale o non patrimoniale, nella sfera giuridica dell’attore, da dimostrare nella sua effettiva esistenza ed entità nel corso del medesimo processo o di altro giudizio, limitato all’accertamento del suo ammontare.

Ne consegue che al fine della legittimazione alla costituzione di parte civile è sufficiente la prospettazione della idoneità della condotta dell’imputato alla produzione di un danno, anche senza la sua precisa indicazione, che dovrà essere oggetto di preciso accertamento nel corso del medesimo o di altro giudizio (Sez. 3, 790/2018).

Soggetti legittimati all’ esercizio dell’azione civile nel procedimento penale non sono esclusivamente i soggetti titolari dell’interesse di volta in volta protetto in via diretta dalla norma penale (persona offesa primaria), ma anche soggetti diversi  persone offese (secondarie)  cui il reato abbia cagionato, comunque, un danno, come si desume chiaramente dalla previsione letterale dell’art. 74 nonché dal tenore dell’art. 185 Cod. pen.

Si è, invero, correttamente affermato che legittimato all’esercizio dell’azione civile nel processo penale non è solo il soggetto passivo del reato ma anche il danneggiato che abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato; tale rapporto di causalità sussiste anche quando il fatto reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia tuttavia determinato uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato.

Con riferimento alla specifica ipotesi del reato associativo è, poi, stato condivisibilmente affermato che in tema di risarcimento del danno, il soggetto legittimato all’azione civile non è solo il soggetto passivo del reato (cioè il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato, con la conseguenza che, ove un reato si inquadri nel piano criminoso di una associazione per delinquere, la vittima del reato fine (nella specie rapina) è legittimata a costituirsi parte civile sia per il reato fine che per quello associativo (Sez. 2, 31295/2018).

Non rileva ai fini della costituzione di parte civile che il soggetto rivesta la qualità di persona offesa, occorrendo invece che deduca la qualità di danneggiato, avente titolo al risarcimento del danno (Sez. 7, 23802/2018).

Ai sensi dell’art. 444, comma 2, se vi è costituzione di parte civile il giudice non decide sulla relativa domanda, ma l’imputato è condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale.

Tale disposizione recepisce il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale 443/1990. Il principio è stato riaffermato dalle SU nelle decisione 47803/2008 la quale ha rilevato che le ragioni risarcitorie del danneggiato dal reato non possono trovare ascolto nel giudizio di applicazione della pena su richiesta e che l’art. 444, comma 2, si limita a stabilire il diritto della parte civile già costituitasi nell’udienza preliminare, e cioè in un momento processuale antecedente alla introduzione di questo speciale rito, alla rifusione delle spese processuali sostenute (Sez. 6, 26036/2018).

Il sostituto processuale del difensore al quale soltanto il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura o che il danneggiato sia presente all’udienza di costituzione (SU, 12213/2018).

In tema di sequestro conservativo è ammesso il riesame contro l’ordinanza applicativa, ma non è previsto alcun rimedio nei confronti del provvedimento di diniego del sequestro. Tale sistemazione legislativa non può ritenersi limitativa dei diritti della parte danneggiata dal reato che, mediante l’esercizio dell’azione civile, ha la possibilità di una tutela primaria e diretta delle sue pretese (Sez. 4, 1277/2018).

Il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire “ex novo” nella sede naturale, per il risarcimento del danno ed eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile (SU, 46688/2016).

Nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione della parte civile avverso una sentenza di assoluzione, nel conseguente giudizio di rinvio, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità, come pure dei profili di ascrivibilità colposa della condotta, il giudice civile è tenuto ad applicare le regole di giudizio del diritto penale e non quelle del diritto civile, essendo in questione, ai sensi dell’art. 185 Cod. pen., il danno da reato e non mutando la natura risarcitoria della domanda proposta, ai sensi dell’art. 74, innanzi al giudice penale (Sez. 4, 43468/2017).

A differenza di quanto è avvenuto per il diritto al ricorso per cassazione, il diritto all’appello non è stato direttamente costituzionalizzato, sicché esso non può ritenersi indirettamente imposto dall’art. 24 Cost., posto che il diritto alla difesa tutelato dal testo costituzionale non comprende anche il diritto a difendersi attraverso l’appello.

Nè la suddetta limitazione all’appello confligge col principio di ragionevolezza desunto dall’art. 3 Cost., poiché, senza violare tale norma, il legislatore può ragionevolmente escludere l’appello per il caso in cui il giudice abbia condannato il contravventore alla sola pena dell’ammenda e conservarlo per il caso in cui il giudice abbia irrogato la pena dell’arresto: la diversità di trattamento è evidentemente giustificata dalla diversa valutazione giudiziaria della gravità del reato.

Di più, il principio costituzionale di ragionevolezza non appare violato neppure per l’ipotesi in cui il giudice penale abbia pronunciato condanna non solo all’ammenda ma anche alle sanzioni civili conseguenti. Invero il legislatore ordinario ha riconosciuto al soggetto danneggiato da reato la facoltà di esercitare in sede penale la sua azione civile (ex art. 74) con conseguenze non irrilevanti non solo per il regime delle impugnazioni ma anche in tema di regole probatorie.

Eppure questa facoltà di scelta riservata al soggetto attivo del rapporto civilistico (danneggiato da reato), che ha indubbie conseguenze sul regime processuale che deve subire il soggetto passivo del rapporto civilistico (imputato o responsabile civile), non può ritenersi lesiva dei diritti costituzionali di quest’ultimo.

In particolare non lede il diritto di difesa dell’imputato e del responsabile civile, perché questi hanno garantita la possibilità di difendersi anche in sede penale; e perché il diritto all’appello, che viene meno in sede penale (ma - si noti - sia per i predetti sia per la parte civile), non è compreso – come s’è già visto – tra i diritti costituzionalmente tutelati (Sez. 3, 26934/2017).