La surroga del creditore nell’azione di riduzione per lesione di legittima spettante al debitore legittimario pretermesso

La surroga del creditore nell’azione di riduzione per lesione di legittima spettante al debitore legittimario pretermesso
ABSTRACT: Il creditore del legittimario pretermesso deve ritenersi legittimato ad esercitare, nel caso di inerzia di quest’ultimo, l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima. L’intangibilità della quota di riserva costituisce un principio generale dell’ordinamento e pertanto deve considerarsi quale norma imperativa, e quindi, come il creditore dell’erede non legittimario è autorizzato, ex art. 524 c.c., ad accettare l’eredità al posto del debitore (erede rinunciante), così, a maggior ragione, il creditore dell’erede legittimario deve ritenersi legittimato ad agire in riduzione nel caso in cui tale azione non sia stata proposta dallo stesso debitore. Inoltre, tale legittimazione deriva dall’istituto della “mora credendi” (artt. 1206 e ss. c.c.), per effetto del quale il creditore, se non compie quanto è necessario fare per ottenere il pagamento, è destinato a subire una limitazione di tutela dei propri diritti. La suddetta legittimazione trae origine anche dall’art. 1259 c.c., il quale prevede che il subingresso del creditore nei diritti del debitore possa avere ad oggetto anche la somma che quest’ultimo ha conseguito, a seguito di apposita domanda giudiziale da egli proposta, a titolo di risarcimento del danno a causa del perimento della cosa (o deterioramento della stessa), circostanza, quest’ultima, che ha determinato l’impossibilità sopravvenuta della prestazione.
The creditor of the pre-terminated heir must consider himself entitled to exercise, in the event of inertia on the part of the latter, the action to reduce the testamentary provisions due to damage to the legitimate right. The intangibility of the reserve share constitutes a general principle of the legal system and therefore must be considered as a mandatory rule, and therefore, just as the creditor of the non-legitimate heir is authorized, ex art. 524 c.c., to accept the inheritance in place of the debtor (renouncing heir), so Even more so, the creditor of the legitimate heir must consider himself entitled to take action for reduction in the event that such action has not been proposed by the debtor himself. Furthermore, this legitimation derives from the institution of "mora credendi" (articles 1206 et seq. of the Civil Code), as a result of which the creditor, if he does not do what is necessary to obtain payment, is destined to suffer a limitation of protection of their rights. The aforementioned legitimation also originates from art. 1259 of the Civil Code, which provides that the creditor's substitution of the debtor's rights may also concern the sum that the latter has obtained, following a specific judicial request proposed by him, as compensation for damage due to the loss of the thing (or deterioration thereof), circumstance, the latter, which determined the supervening impossibility of the performance.
La Cassazione Sezione Seconda Civile ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., con ordinanza interlocutoria n. 23 del 02.01.2025, la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, tra l’altro, della seguente questione di particolare importanza: se il creditore del legittimario pretermesso possa considerarsi legittimato ad esercitare, nel caso di inerzia di quest’ultimo, l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima.
Ai sensi dell’art. 524 c.c., “se taluno rinunzia, benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti”.
La possibilità, per il creditore del chiamato all’eredità, di accettare la successione al posto di quest’ultimo, è finalizzata ad accelerare il soddisfacimento delle ragioni di credito, mediante un meccanismo tramite cui il creditore si sostituisce al debitore nel riscuotere una somma di denaro (quella, appunto, derivante dall’acquisto della qualità di “erede”) a questi spettante, in modo da ottenere, senza l’intermediazione del debitore stesso, il pagamento del credito. In sostanza, il creditore, anziché agire contro il debitore, agisce direttamente contro chi (in tal caso, gli altri eredi) è a sua volta debitore di quest’ultimo.
Ci si chiede se questo meccanismo di sostituzione del creditore al debitore, nell’esigere una somma a quest’ultimo spettante in quanto erede, possa operare anche quando il debitore stesso è non il “chiamato all’eredità”, ossia una persona che è stata appunto designata dal testatore quale avente diritto all’eredità, bensì un “legittimario pretermesso”, e cioè una persona che, secondo la legge, avrebbe dovuto essere designata quale erede e che invece il testatore ha escluso dalla successione.
Ci si chiede, pertanto, se il creditore del legittimario pretermesso possa esperire, al posto di quest’ultimo, l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima, prevista dall’art. 557 c.c. .
Tale azione ha come effetto quello di reintegrare il legittimario nella titolarità, e quindi nel godimento, di un diritto, ad egli spettante per legge, e che gli è stato tuttavia sottratto dal testatore, il quale ha deciso di destinare ad altri eredi, non legittimari, la quota di competenza del legittimario stesso. Questa sottrazione, peraltro, pur configurando un atto contra legem in quanto lesivo di un diritto che la legge assegna ai legittimari, non viene punito con la “nullità”, nel senso che la disposizione con la quale il testatore esclude il legittimario dalla quota a lui spettante, non è, di per sé, inefficace, ma lo diventa solo se il legittimario stesso non esercita l’azione di riduzione. In caso di mancato esercizio, la disposizione diviene valida ed efficace. Quindi, sotto l’aspetto dell’efficacia, si potrebbe dire che la disposizione sopra citata è non “nulla” bensì “annullabile”, ossia può essere resa invalida solo ed esclusivamente da un’azione giudiziale di chi dalla medesima è stato (illecitamente) leso. Dal fatto che l’unico strumento per rendere invalida la disposizione sia l’azione di riduzione, e che quest’ultima sia esercitabile, ex art. 557 c.c., solo dal legittimario, ossia dal soggetto leso, e non dal creditore di quest’ultimo, si desume che lo stesso creditore, essendo un soggetto terzo rispetto alla vicenda successoria, non possa, suo malgrado, esercitare la suddetta azione al posto del legittimario.
Quindi, per effetto dell’art. 557 c.c., il principio è il seguente: il creditore della persona “chiamata all’eredità”, e cioè non esclusa dal testatore, può sostituirsi, ex art. 524 c.c., alla stessa nel chiedere di poter accettare l’eredità, e ciò in quanto essa, avendo rinunciato ad accettare, ha, indirettamente, causato un danno allo stesso creditore, il quale adesso deve continuare a rivolgere le proprie istanze contro il debitore, che tuttavia potrebbe anche non disporre della liquidità sufficiente a procedere al pagamento del credito (eventualità, quest’ultima, che invece non si sarebbe verificata nel caso in cui egli avesse accettato l’eredità); invece, il creditore della persona (legittimario) illecitamente esclusa dal testatore, non può sostituirsi ad essa nell’esercitare l’azione di riduzione in quanto questa, per legge (art. 557 c.c.), è esercitabile soltanto dal legittimario stesso, il quale potrebbe anche decidere di non esercitarla, in tal modo andando sostanzialmente a “convalidare” la disposizione lesiva del proprio diritto. Ebbene, il fatto che tale azione abbia carattere “personale”, prevale sull’esigenza di tutela del creditore, il quale quindi, nel caso di rinuncia all’esercizio da parte del legittimario, dovrà continuare a rivolgere contro quest’ultimo le proprie istanze, con il rischio tuttavia che il debitore non disponga di una liquidità sufficiente a procedere al pagamento del credito (eventualità, quest’ultima, che invece non si sarebbe verificata nel caso in cui egli avesse esercitato l’azione di riduzione).
In base al suddetto principio, pertanto, il creditore non può sostituirsi al debitore nell’esercitare una facoltà alla quale quest’ultimo abbia rinunciato nonostante che la medesima sia stata predisposta dalla legge al fine di contrastare un atto di disposizione testamentaria qualificata come lesiva di un vero e proprio diritto “intangibile” (“quota di riserva” od anche detta “indisponibile”). Invece al creditore è concesso di sostituirsi al debitore nell’esercitare una facoltà alla quale quest’ultimo abbia rinunciato laddove però l’oggetto della rinuncia (e cioè la quota di eredità ad egli devoluta) non forma oggetto di un diritto “intangibile”, ossia la cui tutela deriva dall’applicazione di un principio (il divieto di ledere la quota di riserva) che costituisce uno dei principi generali dell’ordinamento, ma forma oggetto di un diritto che è tale solo in quanto derivato dalla volontà del testatore, che, dinanzi ad un erede non avente la qualità di “legittimario” ed il quale quindi non è titolare di un diritto protetto dall’ordinamento, potrebbe decidere anche di non disporre a suo favore. In questo modo al creditore viene impedito, mediante il divieto di surroga nell’esercizio dell’azione di riduzione (art. 557 c.c.), di agire per la tutela di un diritto del debitore (intangibilità della quota di riserva) che nell’ordinamento assume una rilevanza generale, mentre gli viene consentito, tramite la facoltà di surroga ex art. 524 c.c., di agire per la tutela di un diritto del debitore (erede non legittimario) che tuttavia non è qualificato dall’ordinamento stesso come “intoccabile”. Questa disparità di trattamento potrebbe prestarsi a sollevare una questione di legittimità dell’art. 557 c.c. per violazione dell’art. 3 Costituzione.
Tuttavia, la suddetta questione potrebbe essere ritenuta infondata per la seguente ragione: se l’intangibilità della quota di riserva del legittimario rappresentasse veramente un principio generale dell’ordinamento, allora dovrebbe, coerentemente, essere previsto che la disposizione testamentaria lesiva della suddetta quota fosse nulla per violazione di una norma imperativa.
Siccome, invece, la disposizione medesima diviene invalida solo nel caso di (vittorioso) esercizio dell’azione di riduzione, allora ciò vuol dire che la stessa non è poi così imperativa, ossia espressione di un principio generale dell’ordinamento, come si vorrebbe far credere: la lesione del diritto alla legittima, se può essere “convalidata” dal titolare di quest’ultimo mediante la rinuncia all’azione di riduzione, non può far assurgere, perciò stesso, questo diritto al rango di una facoltà “intoccabile” e quindi al livello di un principio ipertutelato dalla legge. Diverso sarebbe il discorso nel caso in cui la suddetta azione fosse esercitabile “da chiunque via abbia interesse”, analogamente a quanto accade appunto per l’azione di nullità, ma l’art. 557 c.c. stabilisce che essa è esercitabile solo ed esclusivamente dal legittimario.
Peraltro, simile obiezione potrebbe essere superata osservando quanto segue: il fatto che la lesione di un diritto sia presidiata dalla nullità degli atti posti in essere in violazione del medesimo, non esonera il titolare dall’onere di agire per far dichiarare la nullità stessa. E’ vero che, ai sensi dell’art. 1422 c.c., l’azione volta a far dichiarare la nullità è imprescrittibile, ma è altresì vero che, in base alla stessa norma, tale azione deve comunque essere esercitata in modo tempestivo, altrimenti il terzo, il quale abbia iniziato a possedere il bene oggetto del diritto, potrà usucapire la proprietà del medesimo, ed in questo caso il titolare, dinanzi alla maturata usucapione, non potrà far niente. Quindi anche il titolare di un diritto protetto dalla sanzione della nullità e dunque da una norma imperativa, sarà destinato a perdere definitivamente tale diritto se non esercita l’azione giudiziale volta a difenderlo: egli, fin quando non eserciterà tale azione, andrà sostanzialmente a “convalidare” la lesione che è stata arrecata al diritto stesso, e questa “convalida” costituirà la base per l’acquisto del medesimo diritto per usucapione da parte di terzi. Di conseguenza, anche la violazione di una norma imperativa – la quale a sua volta è espressione di un principio generale dell’ordinamento – può essere “convalidata” dal titolare del diritto che è protetto da tale norma, e quindi la tesi secondo cui la lesione del diritto del legittimario alla quota di riserva, siccome è convalidabile (mediante la rinuncia alla relativa azione), non può essere equiparata alla lesione di un diritto previsto da una norma imperativa (nullità), mostra le sue fragilità, in quanto in realtà anche quest’ultima lesione è “convalidabile” (se così non fosse, l’art. 1422 c.c. non farebbe espressamente salvo, dall’imprescrittibilità dell’azione di nullità, l’acquisto per usucapione).
Pertanto, torna in auge la sopra prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 557 c.c., a motivo del fatto che questo riserva l’azione di riduzione solo al legittimario, titolare di un diritto tutelato dall’ordinamento come principio generale, vietandola pertanto al creditore di quest’ultimo, mentre l’art. 524 c.c. ammette la sostituzione del creditore al debitore nell’accettazione della qualità di erede non legittimario, ossia di colui che non è titolare di un diritto preventivamente protetto dalla legge.
Una questione che inoltre appare fondata anche alla luce di questi altri seguenti aspetti.
La mora credendi, disciplinata dall’art. 1206 e ss. c.c., è un istituto volto a tutelare il debitore dal rischio di rimanere esposto a tempo indeterminato alle pretese del creditore senza che quest’ultimo si sia attivato al fine di consentire allo stesso debitore di adempiere. Il creditore, se non persegue diligentemente i suoi interessi rivolgendo al debitore la propria richiesta di pagamento (e, se necessario, reiterandola), perde una parte dei suoi diritti (l’art. 1207 c.c. prevede infatti che il creditore moroso non ha più diritto agli interessi ed è inoltre tenuto a risarcire i danni che siano derivati dalla mora). Quindi, se in capo al creditore è posto quest’onere di diligenza, dovrebbe a maggior ragione essere consentito al medesimo di sostituirsi alla persona del debitore nel caso in cui questo non eserciti l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie che gli compete in quanto legittimario, poichè in tal caso il suddetto onere viene adempiuto esercitando un’azione giudiziale che, come sopra dimostrato, è prevista a tutela di un principio generale dell’ordinamento (l’intangibilità della quota di riserva dell’erede legittimario).
Se poi guardiamo ai principi generali in materia di obbligazioni, va considerato quanto previsto dall’art. 1259 c.c., ossia la norma che disciplina nello specifico il subingresso del creditore nei diritti del debitore. Tale norma prevede che, se la prestazione avente ad oggetto una cosa determinata è divenuta impossibile (per perimento o deterioramento), ed il debitore ha ottenuto, a seguito di azione giudiziale, un risarcimento del danno conseguente a tale impossibilità sopravvenuta, il creditore subentra nel diritto ad ottenere tale risarcimento. Il principio, quindi, è quello per cui il creditore, mediante la surroga, può beneficiare del risultato ottenuto dal debitore mediante proposizione di una domanda giudiziale. Ma allora lo stesso creditore potrà surrogarsi anche nel diritto del debitore di proporre tale domanda, nel senso che la surroga potrà servire non soltanto a “sfruttare” l’esito positivo dell’azione intrapresa dal debitore ma anche a “proporre” tale azione nel caso di inerzia di quest’ultimo, cosa che accadrebbe appunto laddove al creditore fosse consentito di agire in riduzione ex art. 557 c.c. .
Inoltre, ai sensi dell’art. 1180 comma 2 c.c., “il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli da un terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione”. La ratio di tale rifiuto è nel fatto che il debitore vuole fermamente adempiere in prima persona l’obbligazione, e pertanto il creditore, una volta avute dal debitore le opportune garanzie in tal senso, rifiuta la prestazione che un terzo ha offerto di fornirgli al posto del debitore stesso. Ma se il debitore, rinunciando a chiedere la riduzione della disposizioni testamentarie lesive del suo diritto alla legittima, dimostra chiaramente di non essere intenzionato non solo a godere dei benefici dell’eredità ma anche a pagare il debito (cosa che invece egli potrebbe fare se accettasse l’eredità), allora il creditore, in mancanza dell’offerta di prestazione da parte di un terzo, dovrebbe considerarsi legittimato ad esercitare la riduzione sostituendosi al debitore rimasto in ciò inerte, in quanto tale inerzia è la dimostrazione della propria non volontà di adempiere. Altrimenti, se si nega al creditore tale legittimazione, non si comprende più quale sia la differenza tra il debitore “volenteroso” di adempiere e quindi di concludere in maniera corretta il rapporto contrattuale (art. 1180 comma 2 c.c.), ed il debitore che invece rinuncia ad esercitare un’azione giudiziale (art. 557 c.c.) attraverso la quale egli potrebbe, sia pur indirettamente, soddisfare l’interesse dello stesso creditore: in questa seconda ipotesi, la legittimazione del creditore a chiedere la riduzione al posto del debitore, si giustifica proprio per “sanzionare” il debitore il quale, non proponendo la domanda giudiziale, ha leso il diritto del creditore a ricevere la prestazione (contrariamente al debitore ex art. 1180 c.c. il quale invece si è impegnato, dando le opportune garanzie, ad adempiere).