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Le oscillazioni tra giurisdizione ordinaria e amministrativa per il compenso del commissario ad acta

Giurisdizione
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Indice:

1. Il caso

2. Note sul “silenzio”

3. Conclusioni

 

1. Il caso

La vicenda esaminata dal Consiglio di Stato, sezione V, nella sentenza 1666 del 9.3.2020 riguarda il caso di un commissario ad acta nominato da tre soggetti pubblici (Regione Campania, Comunità Montana e Comune di Ravello) a seguito del mancato rispetto degli accordi derivanti da un Accordo di Programma relativo alla realizzazione dell’Auditorium “Oscar Niemeyer” presso il Comune di Ravello.

L’importante opera, collegata all’erogazione di finanziamenti P.O.R., vedeva il proprio progetto regolarmente approvato con conseguente necessità di indire le procedure ad evidenza pubblica per l’esecuzione dei lavori; stante l’inadempimento degli interlocutori pubblici, il Comitato di Vigilanza istituito all’interno dell’Accordo per sovrintendere la regolarità delle procedure stesse sollecitava l’esercizio di poteri sostitutivi che, previsti in capo al Presidente della Giunta della Regione Campania, venivano da questi esercitati mediante il D.P.G.R.C. n. 470/06 con il quale si stabilì che l’incarico di commissario (in precedenza nominato con decreto del 2006) veniva conferito “per il tempo strettamente necessario all’assolvimento dei compiti attribuiti e comunque per non oltre tre mesi dalla data del presente provvedimento” e che lo stesso avrebbe goduto “di un compenso mensile ragguagliato a quello in godimento dai dirigenti di servizio dell’amministrazione regionale”.

Il commissario veniva quindi a richiedere quanto di sua spettanza alle Amministrazioni solidalmente obbligate senza però ricevere da queste significativi riscontri; da, qui, perdurando l’inadempimento, adiva il Tribunale di Napoli per veder condannare le P.A. al pagamento delle somme dovutegli, ma si vedeva respingere la domanda per assenza di un contratto sottoscritto tra le parti.

Vista la “bocciatura” dinanzi al G.O., il commissario inviava una pec alle Amministrazioni sopra citate chiedendo la corresponsione dell’indennità per l’opera prestata; ne riceveva solo risposte interlocutorie per cui adiva il TAR Campania – Napoli – contestando il silenzio e l’inerzia amministrativa ex articolo 31 e 117 Codice del processo amministrativo

Il TAR respingeva il ricorso ritenendo la giurisdizione in capo al G.O. per la sussistenza di un rapporto sostanziale riconducibile ad una situazione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

Dal che il gravame dinanzi il giudice d’appello.

 

2. Note sul “silenzio”

Il Consiglio di Stato conferma la decisione del giudice prime cure ribadendo come l’effettiva sussunzione del rapporto nella posizione giuridica di diritto soggettivo rappresenti il discrimen per la devoluzione del caso al G.O. piuttosto che al G.A.

Ad approdare a tale conclusione è, prima del Supremo Consesso, la stessa Cassazione che, nelle Sezioni Unite del 23 settembre 2014 (n. 19971), ha sancito il principio secondo cui quando ad essere preteso dal soggetto è un compenso rigidamente predeterminato da un atto normativo (statale e/o regionale), la posizione del soggetto stesso deve essere qualificata di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, “stante l’assenza di ogni potere discrezionale della P.A.”. A tale pronuncia fa da pendant l’altra delle Sezioni Unite (20 settembre 2013 n. 21592) in base alla quale solo laddove il ricorso sia diretto avverso l’atto amministrativo con cui è stato determinato il compenso stesso, in modo da involgere i criteri di determinazione dello stesso, la controversia appartiene al giudice amministrativo, restando altrimenti in capo al G.O. ogni cognizione circa la spettanza e la liquidazione di quanto dovuto.

Il Consiglio di Stato, ritenendo la qualità di funzionario onorario in capo al commissario ad acta, sottolinea dunque la precedente linea già fatta propria dalla Cassazione distinguendo a seconda che l’impugnativa afferisca o meno all’atto amministrativo di determinazione del compenso giungendo alle seguenti conclusioni:

  • laddove siano direttamente contestati gli atti amministrativi con cui si fissino i criteri di liquidazione del compenso, o con cui comunque l’Amministrazione eserciti il potere discrezionale, la posizione “correlata” dell’interessato è di interesse legittimo (al corretto esercizio della potestà amministrativa) con conseguente giurisdizione in capo al G.A.;
  • laddove, all’opposto, la misura dell’indennità è predeterminata per legge, statale o regionale, ogni questione applicativa relativa all’individuazione degli emolumenti, come pure al calcolo degli stessi, appartiene alla giurisdizione del G.O. e la posizione dell’interessato è di diritto soggettivo (diritto riconosciuto normativamente);
  • nel “terzo” caso, quale zone grigia, laddove mancando una disposizione normativa è soltanto l’atto amministrativo a determinare il compenso e le contestazioni attengono non alle modalità di determinazione dello stesso ma all’attuazione al caso concreto – come nella fattispecie qui sottoposta al Collegio –, deve propendersi per la devoluzione della giurisdizione in capo al G.O. non rinvenendosi, anche qui, esercizio di potere discrezionale della P.A.

Occorre, in tale ultimo ambito, avere riguardo – si sottolinea nella pronuncia – al c.d. petitum sostanziale, cioè alla posizione giuridica dedotta in giudizio qualificabile come diritto soggettivo. 

E dunque, essendo il caso esaminato riconducibile alla posizione di diritto soggettivo con appartenenza alla giurisdizione ordinaria, non può ammettersi il ricorso avanzato avverso il silenzio amministrativo, mancando “sia la natura di provvedimento amministrativo autoritativo dell’atto che costituirebbe l’inadempimento dell’amministrazione sia la posizione sostanziale dell’interesse legittimo pretensivo del ricorrente” (cfr. CdS sez. IV, 29.2.2016 n. 860)

 

3. Conclusioni

Il Collegio conclude respingendo il ricorso avverso il silenzio e confermando la giurisdizione del G.O. pur non senza collegare la pronuncia alla precedente decisione del Tribunale di Napoli.

Si sofferma sul dato in base al quale il Tribunale precedente adito aveva rigettato la domanda ritenendo che la stessa, introdotta come azione contrattuale, non fosse dimostrata per carenza del contratto sottoscritto tra le parti; il Consiglio di Stato evidenzia come parrebbe esperibile l’eventuale azione di arricchimento senza causa – prospettata dal giudice ordinario in sentenza – che dovrebbe però avere una causa petendi del tutto distinta da quella azionata.

Ciò premesso, il Collegio conferma la decisione di rimessione al giudice ordinario con modalità e termini ex articolo 11 Codice del processo amministrativo.