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Il diritto di ritenzione: applicabilità generale

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Il diritto di ritenzione: applicabilità generale

 

Sembra potersi affermare il principio generale in base al quale la mancata attribuzione, da parte della disciplina legale del contratto, del diritto di ritenzione, non impedisce, a colui che vanti un credito di rimborso per spese fatte su cose da restituire (e cioè non di sua proprietà), di trattenere la cosa presso di sé, in virtù degli art. 1460 e 1283 c.c. .

It seems possible to affirm the general principle on the basis of which the failure to attribute the right of retention by the legal regulations of the contract does not prevent the person who claims a reimbursement credit for expenses incurred on things to be returned (i.e. not his property), to keep the thing with him, by virtue of the articles. 1460 and 1283 c.c. .

 

Il c.d. “diritto di ritenzione” è quello che viene espressamente riconosciuto dal codice civile alla parte (Tizio) la quale vanti un credito nei confronti della controparte (Caio): Tizio, che aveva ricevuto da Caio una cosa di proprietà di quest’ultima con l’obbligo di restituirla, dopo l’uso, al termine del contratto, può trattenere la cosa presso di sé fin quando Caio non adempirà ai propri obblighi contrattuali.

Tale diritto, tuttavia, non trova sempre un espresso riconoscimento nel codice civile.

In alcuni contratti esso non viene previsto, ed è soprattutto il caso del comodato e del sequestro convenzionale.

In materia di comodato, laddove il comodatario ha il diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie e urgenti (art. 1808 comma 2 c.c.), l’art. 1809 c.c. prevede che “il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto”.

Non è espressamente previsto che il comodatario possa trattenere la cosa fin quando non sarà stato rimborsato.

Allo stesso modo, per quanto riguarda il sequestro convenzionale, ossia il contratto col quale due o più persone affidano a un terzo una cosa o una pluralità di cose, rispetto alla quale sia nata tra esse controversia (art. 1798 c.c.), è previsto che il sequestratario (ossia la persona che riceve in consegna la cosa) debba restituire la cosa alla persona a cui spetterà quando la controversia sarà stata definita. L’art. 1802 c.c. stabilisce che egli ha “diritto al rimborso delle spese e di ogni altra erogazione fatta per la conservazione e per l'amministrazione della cosa”, ma non è previsto che egli possa trattenere presso di sé la cosa fin quando non sarà stato rimborsato.

Sembrerebbe, dunque, che sia il comodatario sia il sequestratario, per poter ottenere tale rimborso, debbano necessariamente intraprendere un’azione giudiziale, mirante a far accertare l’inadempimento, rispettivamente, del comodante e del sequestrante.

Il problema, in questi casi, è quello di vedere se la mancata espressa previsione del diritto di ritenzione obblighi effettivamente la parte, al fine di ottenere il rimborso delle spese fatte, ad intraprendere un’azione giudiziale, oppure se essa possa ugualmente trattenere presso di sé la cosa nonostante la disciplina specifica del contratto non lo preveda.

Ai sensi dell’art. 1460 c.c., “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.

Tale norma, che disciplina la c.d. “eccezione di inadempimento”, attribuisce alla parte (Tizio) il diritto di non adempiere alla prestazione nel caso in cui la controparte (Caio) non adempia alla propria.

Nel caso del comodato o del sequestro, la prestazione di Tizio è quella di restituire la cosa mentre quella di Caio è di rimborsare le spese. Tizio, avvalendosi della suddetta eccezione, potrebbe rifiutarsi di restituire la cosa, di fatto esercitando una sorta di “diritto di ritenzione mascherato”, fin quando Caio non avrà provveduto al rimborso.

Tizio è in assoluta buona fede, in quanto egli ha diligentemente provveduto alle spese per la conservazione della cosa; Caio, invece, non è in buona fede in quanto non ha adempiuto all’obbligazione del rimborso.

Pertanto, sia il comodatario che il sequestratario possono esercitare il diritto di ritenzione in base alla norma generale contenuta nell’art. 1460 c.c., anche se nè la disciplina del comodato né quella del sequestro lo prevedono espressamente.

L’art. 1282 comma 3 c.c. prevede che “se il credito ha per oggetto rimborso di spese fatte per cose da

restituire, non decorrono interessi per il periodo di tempo in cui chi ha fatto le spese abbia goduto della cosa senza corrispettivo e senza essere tenuto a render conto del godimento”.

Chi vanta un credito per il rimborso spese fatte su cosa da restituire (è il caso del comodatario e del sequestratario) non ha diritto agli interessi nel caso in cui abbia goduto della cosa a titolo gratuito e senza obbligo di rendicontare all’altra parte (comodante, depositante) tale godimento.

Ma gli interessi rappresentano solo una voce accessoria al rimborso, e quindi quest’ultimo va comunque tutelato, a prescindere da quello che era previsto nel contratto e pertanto anche nel caso in cui quest’ultimo abbia previsto la gratuità dell’uso della cosa (vedi comodato o sequestro convenzionale gratuiti):

il rimborso deve essere riconosciuto, a prescindere dalle previsioni contrattuali.

Se il diritto al rimborso sussiste anche nel caso in cui sia stata prevista la gratuità dell’uso della cosa, e cioè senza l’obbligo dell’utilizzatore di pagare un corrispettivo, allora lo stesso utilizzatore dovrà poi poter, coerentemente, impiegare tutti gli strumenti negoziali adottabili al fine di ottenere tale rimborso, senza necessariamente adire il Giudice. Altrimenti sarebbe contraddittorio stabilire il diritto al rimborso come principio generale, che cioè si applica anche in assenza di una controprestazione (vedi corrispettivo), e negare poi all’avente diritto di poter trattenere presso di sé la cosa fino a quando il rimborso non sarà stato fatto (vedi diritto di ritenzione), costringendolo ad intraprendere un’apposita azione giudiziale.

Quindi, l’art. 1282 comma 3 c.c. va addirittura oltre l’art. 1460 c.c., in quanto, attribuendo, alla parte la quale abbia fatto spese per la conservazione od il miglioramento della cosa, il diritto al rimborso anche quando essa non abbia l’obbligo di pagare alcun compenso per l’uso della cosa, sottintende l’esercitabilità, ad opera di tale parte, del diritto di ritenzione pure in assenza di una prestazione corrispettiva.

La necessità che il diritto di ritenzione venga riconosciuto, a chi abbia diritto al rimborso delle spese fatte su cose da restituire, anche quando il medesimo non sia espressamente previsto dalla disciplina legale del contratto, si impone anche per il seguente motivo.

La disciplina dettata in materia di privilegio dei creditori, contenuta negli artt. 2745 – 2776 c.c., è incentrata su un principio generale: quello per cui chi vanta un credito di rimborso ha diritto di soddisfarsi sulla cosa di proprietà del debitore, con privilegio e quindi con preferenza rispetto agli altri creditori, solo se la cosa è rimasta in suo possesso.

Infatti, ai sensi dell’art. 2756 c.c., “i crediti per le prestazioni e le spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili hanno privilegio sui beni stessi, purché questi si trovino ancora presso chi ha fatto le prestazioni o le spese”.

Il problema, però, è che – come abbiamo visto (comodato e sequestro convenzionale) non in tutti i contratti il diritto di ritenzione viene riconosciuto in modo espresso a chi abbia sostenuto delle spese per la conservazione od il miglioramento del bene.

Allora, ecco che il comodatario o sequestratario, per poter assumere la qualifica di creditore privilegiato, sarà giocoforza “costretto” ad esercitare il diritto di ritenzione, anche se questo non è previsto dalla disciplina legale del contratto, altrimenti resterà creditore chirografario, con ancor maggiore incertezza di soddisfacimento del credito di rimborso.

Sembra, pertanto, potersi affermare il principio generale in base al quale la mancata attribuzione, da parte della disciplina legale del contratto, del diritto di ritenzione, non impedisce, a colui che vanti un credito di rimborso per spese fatte su cose da restituire (e cioè non di sua proprietà), di trattenere la cosa presso di sé, in virtù degli art. 1460 e 1283 c.c.