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Art. 459 - Casi di procedimento per decreto

1. Nei procedimenti per reati perseguibili di ufficio ed in quelli perseguibili a querela se questa è stata validamente presentata e se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi, il pubblico ministero, quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva, può presentare al giudice per le indagini preliminari, entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato e previa trasmissione del fascicolo, richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna, indicando la misura della pena.

1-bis. Nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l’articolo 133-ter del codice penale.

2. Il pubblico ministero può chiedere l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale.

3. Il giudice, quando non accoglie la richiesta, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, restituisce gli atti al pubblico ministero.

4. Del decreto penale è data comunicazione al querelante.

5. Il procedimento per decreto non è ammesso quando risulta la necessità di applicare una misura di sicurezza personale.

Rassegna giurisprudenziale

Casi di procedimento per decreto (art. 459)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 459 comma 2, come sostituito dall’art. 37 comma 1 della L. 479/1999, nella parte in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in sentenza caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento con l’emissione del decreto penale di condanna (Corte costituzionale, 23/2015).

Il ricorso per cassazione avverso il rigetto della richiesta di decreto penale di condanna è ammissibile solo in caso di abnormità dell’atto, configurabile allorché la decisione si fondi non su profili di legittimità del rito o di idoneità ed adeguatezza della pena con riferimento al caso concreto, ma su generiche ragioni di opportunità concernenti la natura dell’istituto e la sua efficacia (Sez. 6, 23829/2016).

Il giudice chiamato a valutare la richiesta di emissione del decreto penale di condanna può pronunciare sentenza di proscioglimento, secondo il disposto degli artt. 129 e 459, solo quando risulti evidente la prova positiva dell'innocenza dell'imputato, o risulti evidente che non possono essere acquisite prove (ulteriori o anche integrative di quelle già raccolte dall'accusa) della sua colpevolezza, mentre l'analoga sentenza è preclusa quando l'infondatezza dell'accusa dovrebbe essere affermata mediante un esame critico degli elementi prodotti a sostegno della richiesta che si concluda per una incertezza probatoria (Sez. 3, 36240/2020).

In tema di decreto penale di condanna, per quanto la presentazione della richiesta del PM operi effetti non vincolanti per il giudice cui sia rivolta, perché ammette espressamente plurimi esiti decisori alternativi, rimessi alla sua valutazione discrezionale, tuttavia l'area delle verifiche giudiziali conducibili sulla domanda di emissione del decreto penale include, in primo luogo, l'applicabilità della pena pecuniaria e la sua misura, quindi, la verifica di aspetti attinenti alla legalità della sanzione in concreto irrogabile rispetto agli estremi edittali ed alla diminuzione prevista in relazione alla natura speciale del rito, per estendersi poi a tutti gli altri presupposti di ammissibilità del rito stesso, quali la tipologia di reato, il momento di formulazione della richiesta, la qualificazione giuridica del fatto di reato e la congruità della pena. Ciò premesso, risulta affetto da abnormità il provvedimento di restituzione degli atti, motivato da ragioni di mera opportunità, che si traduca in una manifestazione di dissenso rispetto alla scelta, di esclusiva pertinenza dell'organo dell'accusa, di introdurre il procedimento monitorio ed in un'arbitraria usurpazione da parte del giudice di facoltà, riservate dall'ordinamento alla parte pubblica, in conseguenza della difforme considerazione sull'utilità del rito e sui suoi futuri sviluppi (nel caso de quo, la Corte ha stigmatizzato la decisione del giudice il quale non ha espresso apprezzamenti negativi sulla congruità della pena indicata dall'istante in relazione alle caratteristiche della fattispecie concreta, ma valutazioni, per di più immotivate e frutto di un personale ed opinabile metro di giudizio, di meritevolezza e di opportunità dell'emissione del decreto penale di condanna, che interferiscono con le prerogative istituzionali della pubblica accusa determinando un profilo di abnormità, sia sul piano strutturale, che su quello funzionale, per l'indebita invasione dei compiti istituzionali del pubblico ministero e per la provocata indebita regressione del procedimento) (Sez, 1, 38998/2021).

È affetto da abnormità “funzionale” il provvedimento con cui il GIP respinga, in base a valutazioni di mera opportunità, la richiesta di decreto penale di condanna (Sez. 3, 8288/2010).

Non è abnorme l’ordinanza con la quale il GIP rigetta la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, disponendo la restituzione degli atti al PM, se giustificata dalla valutazione della incongruità della pena richiesta in relazione alla gravità della violazione contestata (Sez. 4, 45683/2014).

Non è abnorme, e quindi non è ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il GIP, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al PM perché valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art.131-bis Cod. pen. L’invito a verificare il carattere particolarmente tenue dell’illecito contestato nell’imputazione non implica alcuna invasione delle competenze dell’organo requirente, ma appartiene all’attività di qualificazione giuridica del fatto propria del giudice (SU, 20569/2018).

Non è impugnabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo dell’abnormità, l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari, a fronte della richiesta di archiviazione, dispone “de plano” la trasmissione degli atti al PM per la formulazione dell’imputazione, in quanto la categoria dell’abnormità presuppone il difetto di attribuzione del potere di emettere l’atto da parte del giudice, mentre invece, nell’ipotesi predetta, al GIP compete la funzione di esercitare il controllo sulla domanda di non esercizio dell’azione penale da parte del PM (Sez. 2, 24793/2015).

Non è abnorme l’ordinanza di rigetto della richiesta di introduzione del rito monitorio, in caso di ritenuta insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (Sez. 6, 6663/2016).

Una volta verificatasi, in virtù della disposta restituzione degli atti dal GIP al PM in conseguenza del rigetto della richiesta di decreto penale di condanna, la riespansione dei poteri del PM quanto all’azione penale e alle modalità del suo esercizio, deve ritenersi, da un lato, del tutto legittima, ai sensi dell’art. 50, la richiesta di archiviazione, fatte salve le successive valutazioni dell’organo giudicante in merito a tale richiesta; dall’altro, abnorme un provvedimento che, in concreto, oltre a porsi al di fuori del sistema delineato dall’art. 409 (non avendo il giudice accolto la richiesta di archiviazione, a norma dell’art. 409 comma 1; ma neppure fissato l’udienza camerale a norma del comma 2 dello stesso articolo, ai fini di cui ai successivi commi 4 e 5), ha altresì determinato una stasi del procedimento, non altrimenti rimuovibile (c.d. profilo funzionale), se non attivando il procedimento di impugnazione (Sez. 4, 2368/2018).

L’art. 459, comma 1 consente al PM la richiesta di decreto penale quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva. Il comma 1-bis del medesimo articolo, introdotto dall’art. 1 comma 53 della L.103/2017 stabilisce ora che “nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l’articolo 133-ter del codice penale”. Tale disposizione deroga a quanto disposto dall’art. 135 Cod. pen. in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, disponendo che il computo vada effettuato calcolando 250,00 euro o frazione di 250,00 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva ed è finalizzata, come si ricava dai lavori parlamentari, alla riduzione del numero dei detenuti presso le strutture carcerarie ed all’incameramento di maggiori somme sebbene non quantificabili. La dottrina, poi, ha individuato un ulteriore intento del legislatore nella necessità di diminuire il numero delle opposizioni al decreto penale di condanna, che si ritengono motivate soprattutto dalla gravosità della pena pecuniaria sostitutiva applicata, sebbene si sia fatto anche notare come le esigenze di contenimento del carico processuale incidano in misura significativa sulla determinazione della pena che denota una tendenza al ribasso, definita ormai “cronica”. Non sembra tuttavia assolutamente necessario, ai fini della quantificazione della pena sostituita, l’espletamento di specifiche e mirate attività di verifica, a maggior ragione quando il ragguaglio sia effettuato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge, ove un problema di eventuale incongruità della pena verrebbe a porsi solo nel caso in cui sussistano elementi indicativi di capacità economiche maggiori rispetto a quelle ritenute dal PM richiedente, considerato anche che, come si è detto, la deroga apportata dalla norma in esame all’art. 135 Cod. pen. è senz’altro più favorevole all’imputato. È evidente che, in capo al PM, incombe un onere di allegazione di dati che consentano al giudice di esercitare la facoltà che, come si è detto, la legge gli attribuisce, ma gli elementi valutativi cui la legge si riferisce, tuttavia, ben possono ricavarsi da circostanze obiettivamente apprezzabili comunque rappresentate nel fascicolo processuale, della preventiva considerazione delle quali il PM può anche dare atto nella richiesta di decreto penale. In ogni caso, l’art. 460, comma 2 stabilisce che, nel caso in cui la richiesta del PM non sia accolta, il giudice ha come unica alternativa quella della restituzione degli atti ai sensi dell’art. 459, comma 3 se non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, senza alcuna possibilità, però, di imporre accertamenti (Sez. 3, 22463/2018).

Non vi è dubbio che il GIP possa rilevare l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione nella fase di delibazione della richiesta di decreto penale di condanna, in considerazione della esplicita previsione normativa declinata dall’art. 459 comma 3. È, invece, affetta da abnormità la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, emessa dal GIP successivamente all’ opposizione a decreto penale di condanna, poiché il giudice in tale fase è vincolato all’adozione degli atti di impulso previsti dall’art. 464, e non può pronunciarsi nuovamente sullo stesso fatto-reato dopo l’emissione del decreto né revocare quest’ultimo fuori dai casi previsti (Sez. 5, 21675/2018).

Quando è stato emesso un decreto penale di condanna, l'imputato può chiedere la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, nei casi previsti dalla legge, senza la necessaria presentazione dell'atto di opposizione ma sempre entro il termine di 15 giorni dalla notifica del decreto. In tal caso il gip può operare la sostituzione della pena stabilita nel decreto con il lavoro di pubblica utilità, ovvero, in difetto dei presupposti, può rigettare la richiesta, dichiarando esecutivo il decreto penale in difetto di tempestiva opposizione (Sez. 4, 6879/2021).