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Art. 629 - Condanne soggette a revisione

1. È ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell’articolo 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta.

Rassegna giurisprudenziale

Condanne soggette a revisione (art. 629)

Il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute e insanabili derivanti dall’omessa citazione in giudizio sua o del suo difensore nel giudizio di cognizione, non può adire il giudice dell’esecuzione per richiedere, a norma dell’art. 670, in relazione a tali vizi, la declaratoria dell’illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività. Può invece proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis, allegando l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo derivata dalle indicate nullità. La richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670 in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato secondo il principio di conservazione dell’impugnazione di cui all’art. 568, comma 5 (SU, 15498/2021).

La giurisprudenza di legittimità esprime orientamenti contrastanti circa la ammissibilità della revisione per le sentenze di proscioglimento per prescrizione che rechino al contempo la condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile. Un primo, cospicuo orientamento contrario, ritiene che non sia suscettibile di revisione la sentenza di estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, e ciò in quanto la revisione può riguardare solo una sentenza di condanna. Si puntualizza che siffatto tipo di pronuncia va definito tenendo presente anche dell’art. 6 CEDU, sicché deve intendersi ogni provvedimento con il quale il giudice, al di là del “nomen iuris”, nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva. Ma, si conclude, la condanna al risarcimento del danno ha solo natura riparatoria (Sez. 2, 53678/2017; Sez. 2, 2656/2017). Alla base dell’interpretazione vi è, secondo i suoi sostenitori, il “chiaro dettato normativo, secondo il quale presupposto indefettibile per esperire il rimedio straordinario della revisione di cui all’articolo 629 sia l’esistenza di una sentenza o di un decreto penale di condanna ovvero di una sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444, quest’ultima ipotesi introdotta dalla novella di cui alla legge 12 giugno 2003 n. 134 come conseguenza della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte che aveva escluso il patteggiamento dal novero delle sentenze di condanna assoggettabili a revisione (SU, 6/1998)”. A tale notazione si aggiunge che, essendo la revisione un mezzo (sia pur straordinario) di impugnazione, anche per essa opera il principio di tassatività di cui all’art. 568, comma 1. Si ritiene, poi, che dalla sentenza della Corte Costituzionale 16 aprile 2008 n. 129  intervenuta sul sospetto di illegittimità costituzionale dell’art. 630 nella parte in cui non prevede come titolo per ottenere la revisione la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’art. 6 CEDU, laddove indica quale ratio dell’istituto della revisione la inconciliabilità di ricostruzioni alternative di un determinato accadimento della vita all’esito di due giudizi penali definiti con sentenze irrevocabili (e non la “difforme valutazione di una determinata vicenda processuale in due diverse sedi della giurisdizione penale”), venga la conferma dello stretto ancoraggio della revisione alle sole sentenze di condanna e quindi l’esclusione del ricorso a tale mezzo straordinario quando la conferma delle statuizioni civili si associ a dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. A tale indirizzo si contrappone altro orientamento (Sez. 5, 46707/2016), per il quale è ammissibile l’istanza di revisione della sentenza che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione confermando le statuizioni civili della decisione impugnata. Con piena consapevolezza delle argomentazioni richiamate a sostegno dell’avversa tesi, in tale pronuncia si espongono i rilievi critici che si ritengono caratterizzino quelle ragioni. Ribadendo il principio di tassatività delle impugnazioni e la sua valenza anche per la revisione, si assume che “l’impossibilità di accedere al rimedio straordinario in questa ipotesi è stata tralaticiamente affermata come necessaria conseguenza del difetto di legittimazione dell’interessato ad ottenere la rivisitazione agli effetti penali della sentenza di proscioglimento e sulla base dell’implicito assunto che l’art. 629, nell’individuare i provvedimenti soggetti a revisione, si riferisca esclusivamente a quelli che abbiano affermato in maniera definitiva la responsabilità dell’imputato agli stessi effetti”, ma che l’art. 629 indica tra i provvedimenti soggetti a revisione “le sentenze di condanna”, senza precisare ulteriormente l’oggetto delle stesse e, simmetricamente, il successivo art. 632, nell’individuare i soggetti legittimati a proporre la richiesta di revisione, evochi in maniera altrettanto generica la figura del “condannato”; si osserva che la soccombenza dell’imputato nei confronti della parte civile viene veicolata da una pronunzia di condanna che presuppone l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il fatto di reato, come espressamente stabilito dagli artt. 538 e 539 e che, dunque, lo stesso imputato è “condannato” alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Pertanto, l’assoggettabilità a revisione secondo le regole del rito penale della condanna per la responsabilità civile pronunziata nel processo penale già discende dalla stessa lettera della legge processuale. Si rileva, poi, che le Sezioni Unite, nel ritenere ammissibile il ricorso straordinario ex art. 625-bis del prosciolto condannato agli effetti civili, pur in presenza di una disposizione che menziona genericamente il ‘condannato’, ha implicitamente preso le distanze da quell’orientamento che fondava la tesi dell’inammissibilità del ricorso proprio sull’analogia con la revisione. Ulteriore argomento a favore della tesi propugnata viene individuata nella possibilità che la pronuncia di condanna agli effetti civili venga emessa per la prima volta in sede di appello, giacché “in tal caso il rimedio verrebbe esperito non già contro una sentenza (anche) di proscioglimento, bensì esclusivamente di condanna, a meno di non voler considerare quella pronunziata dal giudice dell’appello ai soli effetti civili come un ibrido tertium genus, del quale, come detto, non vi è prima di tutto traccia nel lessico codicistico”. Ai sensi dell’art. 618 va rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se sia ammissibile l’istanza di revisione proposta dall’imputato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione e declaratoria di conferma della condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, al fine di veder eliminate le statuizioni civili” (Sez. 4, 27539/2018).  

La risposta delle Sezioni unite è stata la seguente: “è ammissibile, sia agli effetti penali che agli effetti civili, la revisione, richiesta ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. c), della sentenza del giudice di appello che, decidendo anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, in applicazione della disciplina dettata dall’art. 578, abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato e contestualmente confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile” (SU, 6141/2019).

A norma dell’art. 629, sono soggetti a revisione soltanto le sentenze di condanna e i decreti penali di condanna e non le ordinanze da qualunque giudice emesse, sia di merito che di legittimità (Sez. 2, 29517/2017).

L’inconciliabilità tra giudicati non è ravvisabile nell’ipotesi in cui il contrasto verta sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti da due diversi giudici a fronte della identica ricostruzione dell’accaduto quanto alla sua verificazione fenomenologica, posta a base delle due decisioni (Sez. 2, 14785/2017).

Il presupposto indefettibile della revisione è costituito, secondo il dettato dell’art. 629, dall’irrevocabilità della sentenza di condanna di cui si chiede la revisione. L’istituto della revisione non costituisce, infatti, un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo non è stato rilevato o non è stato dedotto, ma un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato, dando priorità alla esigenza di giustizia sostanziale rispetto a quella di certezza dei rapporti giuridici (Sez. 2, 28381/2017).

Riguardo alla revisione delle sentenze di applicazione pena ai sensi dell’art. 444, pur considerando la modifica apportata dall’art. 3, comma 1 L. 134/2003 all’art. 629, includendo la sentenza di patteggiamento tra i provvedimenti suscettibili di revisione, va tenuto conto del diverso ambito in cui opera la valutazione del giudice, essendo la stessa limitata, nel caso dell’applicazione di pena concordata, all’assenza di elementi tali da consentire il proscioglimento ai sensi dell’art. 129, come tale non superabile dalle emergenze probatorie raccolte nell’istruzione dibattimentale. Tale assunto trova però un limite nel caso in cui la sentenza irrevocabile di assoluzione comporti il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di patteggiamento cui si chiede la revisione (Sez. 3, 30678/2018).

Il caso di revisione di cui all’art. 630 comma 1, lett. a), sussiste anche se i fatti ritenuti inconciliabili - e stabiliti a fondamento della decisione - siano contenuti in una sentenza di patteggiamento e in una sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario. Infatti, l’art. 629, come modificato dalla L. 134/2003, prevede espressamente la revisione delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444, comma 2 (Sez. 2, 6289/2017).

É inammissibile la richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma alla revoca della confisca disposta ai sensi dell’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356 - ora art. 240 bis c.p. (Fattispecie nella quale il ricorrente aveva proposto richiesta di revisione limitatamente al punto della sentenza che aveva disposto la confisca della propria abitazione ai sensi dell’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, istanza rigettata dalla corte di appello perché non riguardava l’affermazione di responsabilità ma soltanto una statuizione ad essa accessoria. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha dichiarato inammissibile il ricorso) (Sez. 2, 3853//2022).