Art. 631 - Limiti della revisione
1. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d’inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531.
Rassegna giurisprudenziale
Limiti della revisione (art. 631)
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di revisione, la norma di cui all’art.634 secondo la quale la Corte di appello dichiara d’ufficio, con ordinanza, l’inammissibilità della relativa richiesta, qualora sia stata proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni contenute negli artt. 631, 632, 633 e 641, ovvero risulti manifestamente infondata, non preclude l’adozione della declaratoria di inammissibilità, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato disposto (SU, 624/2001).
È stata, infatti, evidenziata la struttura bifasica del procedimento di revisione, che si sviluppa in due momenti: il primo, riservato alla valutazione – che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio – dell’ammissibilità della relativa istanza e che mira a verificare che la stessa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, oltre a non essere manifestamente infondata; il secondo è, invece, costituito dal vero e proprio giudizio di revisione, finalizzato all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove” per stabilire se queste, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui debba essere prosciolto.
In questa seconda fase – che si svolge nelle forme previste per il dibattimento – è consentito alla Corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell’istanza e di respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio di merito (in questo senso, già SU, 10 dicembre 1997).
E tanto è possibile all’esito del dibattimento, nel corso del dibattimento ed anche nella fase degli atti preliminari, ove risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste difettino del requisito di novità o della idoneità a determinare l’assoluzione del condannato – imprescindibile perché si debba procedere all’assunzione delle prove dedotte e alla valutazione dei risultati delle stesse – non residuando alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva (Sez. 5, 10091/2018).
L’art. 631 impone che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere tali da dimostrare, ove accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531.
Ovvero perché l’azione non doveva essere iniziata o proseguita; perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato; perché il reato è stato commesso da non imputabile o da soggetto non punibile per altra ragione, o il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità; o, infine, perché il reato è estinto.
Risulta evidente che un vizio nella costituzione del rapporto processuale in capo all’imputato non può mai condurre ad una sentenza di proscioglimento.
D’altronde, simili ipotesi sono oggetto di una disciplina specifica, che mira a garantire il giusto processo a chi, pur in caso di procedimenti di notificazione non più contestabili, non abbia avuto, ed incolpevolmente, conoscenza del processo: la restituzione nel termine di cui all’art. 175, comma 2, nel caso di decreto penale di condanna, e la rescissione del giudicato prevista dall’art. 629- bis (Sez. 7, 42743/2018).
Allorché l’istanza di revisione sia fondata sulla sopravvenienza o sulla scoperta di nuove prove, il giudice non deve limitarsi a una semplice valutazione circa la possibilità che elementi prospettati siano astrattamente idonei, da soli o insieme agli altri già raccolti, a condurre al proscioglimento del condannato, ma deve anche compiere un’indagine volta a verificare, oltre a una sufficiente affidabilità delle nuove circostanze, anche la persuasività della fonte e del contenuto della prova stessa.
Tale conclusione si ricava dalla disposizione contenuta nell’art. 631, richiamata dall’art. 634, secondo cui i nuovi elementi addotti devono essere tali da “dimostrare”, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto. Ciò può verificarsi soltanto quando si tratti, di elementi che, qualora apprezzati, da soli o insieme agli altri già emersi, rendono evidente l’innocenza del condannato (Sez. 7, 47218/2018).
La disciplina normativa vigente prevede due ipotesi di inammissibilità della domanda introduttiva del giudizio di revisione. La prima ipotesi è quella indicata dall’art. 631, disposizione richiamata nel corpo del successivo art. 634.
Tale norma prevede che gli elementi posti a fondamento della revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531.
Pur essendo previsione generale, tale disposizione va tuttavia ritenuta applicabile essenzialmente alla ipotesi di cui all’art. 630, comma 1, lett. c) (sopravvenienza di nuove prove), posto che la prevista subordinazione ad una esigenza di accertamento è in tutta evidenza correlata, come la prassi applicativa dimostra, ad una tipologia di giudizio di revisione basata sulla novità di un elemento di prova idoneo, secondo la prospettazione, a determinare la crisi del giudicato.
In tal senso, la valutazione che il giudice è tenuto a compiere, in fase preliminare, è quella della astratta incidenza dell’elemento di prova in rapporto ai contenuti dimostrativi della decisione irrevocabile, senza anticipare l’esame approfondito del merito (Sez. 5, 15403/2014). La seconda norma posta dal legislatore in punto di inammissibilità è contenuta nell’art. 634.
Oltre a contenere il segnalato riferimento all’art. 631 e a regolamentare l’effetto di inadempienze formali (artt. 632 e 633) e di proposizione fuori dei casi previsti dalla legge attraverso il rinvio alle disposizioni degli artt. 629, 630 e 641), la disposizione consente di emettere la declaratoria di inammissibilità de plano per l’ipotesi di manifesta infondatezza.
In detta ultima ipotesi è necessario che si tratti di una constatazione di infondatezza del tutto piana e rilevabile ictu oculi, senza necessità di un particolare esame, posto che, in caso contrario, la trattazione della domanda di revisione va obbligatoriamente realizzata nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, 43871/2018).